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martedì 17 settembre 2019

La nascita della tragedia. Apollineo e Dionisiaco. Parte 1


Nietzsche, La nascita della tragedia. Apollineo e dionisiaco

La sapienza silenica è stata dei Greci superata grazie all’impulso apollineo verso la bellezza, e alla
gioia dionisiaca scaturita dal sentimento dell’unità degli uomini tra loro e con la natura.
"Il Greco conobbe e sentì i terrori e le atrocità dell'esistenza: per poter comunque vivere, egli dové
porre davanti a tutto ciò la splendida nascita sognata degli dèi olimpici. L'enorme diffidenza verso
le forze titaniche della natura, la Moira spietatamente troneggiante su tutte le conoscenze,
l'avvoltoio del grande amico degli uomini Prometeo, il destino orrendo del saggio Edipo, la
maledizione della stirpe degli Atridi, che costringe Oreste al matricidio, insomma tutta la filosofia
del dio silvestre con i suoi esempi mitici, per la quale perirono i melanconici Etruschi, fu dai Greci
ogni volta superata, o comunque nascosta e sottratta alla vista, mediante quel mondo artistico
intermedio degli dei olimpici. Fu per poter vivere che i Greci dovettero, per profondissima
necessità, creare questi dèi: questo evento noi dobbiamo senz'altro immaginarlo così, che
dall'originario ordinamento divino titanico del terrore fu sviluppato attraverso quell'impulso
apollineo di bellezza, in lenti passaggi, l'ordinamento divino olimpico della gioia, allo stesso modo
che le rose spuntano da spinosi cespugli (…) Così gli dèi giustificano la vita umana vivendola essi
stessi-la sola teodicea soddisfacente! L'esistenza sotto il chiaro sole di dèi simili viene sentita come
ciò che è in sé desiderabile, e il vero dolore degli uomini omerici si riferisce al dipartirsi da essa,
soprattutto al dipartirsene presto: sicché di loro si potrebbe dire, invertendo la saggezza silenica, " la
cosa peggiore di tutte è per essi morire presto, la cosa in secondo luogo peggiore è di morire
comunque un giorno". Se una volta risuona il lamento, ciò avviene per Achille dalla breve vita, per
l'avvicendarsi e il mutare della stirpe umana come le foglie 21, per il tramonto dell'età degli eroi.
Non è indegno neanche del più grande eroe bramare di vivere ancora, fosse pure come un lavoratore
a giornata22. Nello stadio apollineo la "volontà" desidera quest'esistenza così impetuosamente,
l'uomo omerico si sente con essa così unificato, che perfino il lamento si trasforma in un inno in sua
lode"23.



Note
21 Cfr. Iliade, VI, 146:"οἴη περ φύλλων γενεή, τοίη δὲ καὶ ἀνδρῶν", proprio quale la stirpe delle foglie, tale è anche quella degli uomini. Lo dice Glauco a Diomede. Quindi Mimnermo: "Noi, come le foglie (ἡμεῖς δ᾽οἷά τε φύλλα) che genera la fiorita stagione / di primavera, quando crescono in fretta ai raggi del sole, noi, simili a quelle, per il tempo di un cubito, godiamo dei fiori / di giovinezza, senza conoscere dagli dèi né il male / né il bene. Destini neri ci stanno accanto / uno che ha il termine della vecchiaia tremenda, / l'altro di morte: un attimo dura il frutto / di giovinezza, per quanto sulla terra si diffonde un raggio di sole. / Ma quando questo termine di tempo sia trapassato, / subito essere morto è meglio della vita: / infatti molti mali sopraggiungono nell'animo: talora la casa va in rovina e ci sono le vicende dolorose della povertà: / a un altro poi mancano figli, di cui soprattutto / sentendo il desiderio va sotto terra nell'Ade; / un altro ha una malattia che gli consuma il cuore: non c'è nessuno / degli uomini, cui Zeus non dia molti mali" (fr. 2 D.). N. d. r..
22 Achille nella Νέκυια dice al figlio di Laerte " non consolarmi della morte, splendido Odisseo. / Io preferirei, mentre / sono un uomo che vive sulla terra, servire un altro,/presso un uomo povero, uno che non avesse molti mezzi per / vivere,/piuttosto che regnare su tutti i morti consunti" (Odissea, XI, 488-491). Già nel IX canto dell’Iliade , quello dell’ambasceria, Achille aveva detto: niente per me ha lo stesso valore della vita: “οὐ γὰρ ἐμοὶ ψυχῆς ἀντάξιον (v. 401): non le ricchezze di Ilio prima della guerra, non quanto racchiude la soglia di pietra del tempio di Apollo. Buoi e grassi montoni si possono rapire, i tripodi si possono comprare e pure bionde criniere di cavalli, ma la vita di un uomo (ἀνδρὸς δὲ ψυχήv) non la puoi rapire né afferrare perché torni indietro, quando
ha superato la chiostra dei denti (405-408). Ndr.
23 Nietzsche, La nascita della tragedia, capitolo 3

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