Gustave Moreau, Edipo e la sfinge |
Echidna con Tifone generò Orto, poi Cerbero, il cane crudivoro dalla voce
di bronzo per Gerione tricefalo, poi l’Idra esperta di lutti (Esiodo, Teogonia, 313 - lugra; ijduvian) il mostro di Lerna, poi la Chimera con tre teste: di leone, di capra e di
drago. Pegaso e Bellerofonte la tolsero di mezzo.
La Sfinge nacque da un incesto: Echidna, vinta dalla
passione per il figlio Orto generò questa creatura funesta, flagello dei Cadmei
(Esiodo, Teogonia, 326 - 327)
Gerione, Orto e il bovaro Eurizione vennero uccisi da Eracle nella stalla
oscura dell’isola di Eritea, al di là dell’inclito Oceano (293 - 294)
Nei Sette a Tebe JEpta; ejpi; Qhvbaς (467) di Eschilo, tragedia che faceva parte del gruppo Laio, Edipo e
il satiresco la Sfinge compare questo mostro.
Il quinto
duce si trova alla porta Borrea, presso il tumulo di Anfìone. E’ Partenopeo nato da montanina
madre (Atalanta). Si presenta con animo crudo e occhio truce non congruente con
il nome verginale. Sul bronzeo scudo ha l’onta della città povlewς o[neidoς la crudivora Sfinge (Sfivgg j
wjmovsiton, 541)
inchiodata con arte. Un mostro che ha tra gli artigli uno dei Cadmei. Ad Argo
Partenopeo arcade è un meteco ma paga il conto del lauto nutrimento lanciando
una sfida alle torri.
Contro
questo giovanissimo guerriero Eteocle schiera Attorre : la sua mano guarda i fatti e non permetterà che la
lingua disgiunta dagli atti dilaghi dentro le porte: oujk ejavsei
glw'ssan ejrgmavtwn a[ter - e[sw pulw'n rJevousan (556 - 557) né che in Tebe penetri di nuovo
l’abominata Sfinge.
Il canto variopinto della Sfinge
Nell'Edipo re di Sofocle il figlio di Laio chiede:" Ma quale male,
caduta così la tirannide,/stando tra i piedi (ejmpodwvn), vi impediva di sapere
questo?" (vv. 128 - 129).
E Creonte
risponde: La Sfinge dal canto variopinto (hJ poikilw/dov"
Sfivgx) ci
spingeva a guardare/quello che era lì tra i piedi (to; pro;"
posiv), e a
lasciare perdere quanto non si vedeva (tajfanh'). (vv. 130 - 131).
Il canto
variopinto è la parola ingannevole e adulatoria della propaganda, del demagogo,
del sofista, oggi è quella della pubblicità.
E' il brutto
senza semplicità.
L'essere variopinto è un difetto anche per le
costituzioni: Platone biasima la mancanza di serietà della democrazia,
una politeiva piacevole,
anarchica e variopinta (hJdei'a kai; a[narco" kai; poikivlh, Repubblica 558c)
che non si dà pensiero delle abitudini morali da cui proviene chi entra alla
politica ma lo onora purché dica di essere amico del popolo.
Nell’Edipo re di Sofocle “la Sfinge dal canto
variopinto"(v.130), non è solo un atroce flagello ma è pure un’ allettante
voce pubblicitaria: Edipo la chiama hJ rJayw/dov" (…) kuvwn (v. 391), la cagna cantatrice.
La Sfinge è anche "la ragazza con le ali" (pterovess j h\lqe
kovra, Edipo re v.508) che venne a Tebe e fu
sconfitta da Edipo, canta il coro nel primo stasimo. Comunque non fu una
vittoria definitiva.
Nell’Edipo re di Sofocle “la Sfinge dal canto
variopinto"(v.130), non è solo un atroce flagello ma è pure un’ allettante
voce pubblicitaria: Edipo la chiama hJ rJayw/dov" (…) kuvwn (v. 391), la cagna cantatrice.
La
Sfinge e la Magna Mater dai molti nomi
Nel Prometeo Incatenato è
menzionata la Magna Mater sconfitta con il figlio, il Titano
che la invoca:"Qevmi" - kai; Gai'a,
pollw'n ojnomavtwn morfh; miva"( vv. 209 - 210), Temide e Terra, una sola forma di molti nomi.
Alla fine
della trilogia ci sarà una riconciliazione ma in questa il predominio rimarrà a
Zeus e Prometeo con la Magna Mater resteranno subordinati.
Maurizio Bettini ricorda una definizione della Sfinge che può avvicinare tale " enigma vivente"
alla Magna mater invocata da Prometeo "Dione Crisostomo[1] la
definisce[2] ejk pantodapw'n
fuvsewn miva morfhv [3]",
una sola forma di molte nature.
Nel lIBRO XI dell’ Asino
d’oro di Apuleio, Lucio ancora asino si sveglia di notte e vede la
luna, immagine di Iside e la prega, attribuendole molti nomi. Chiede di
deporre diram faciem quadripedis e di renderlo a se
stesso redde me meo Lucio (11, 2), rendimi al Lucio che sono.
La dea dunque è invocata con diversi nomi tra i quli Cerere, Venere
Celeste, Diana, Proserpina.
Cerere. Venere e Diana sono i tre aspetti luminosi della dea cosmica;
Proserpina, nocturnis ululatibus horrenda, è l’aspetto oscuro.
Nel sonno appare una divina figura, una dea con foltissimi, lunghi capelli,
con una veste di lino sottile, dal colore cangiante , ora candida, ora gialla
come fiore di croco, ora rossa. Era coperta da una sopraveste di un nero
splendente.
Pure in alcune opere di Pirandello la
donna compare binominata: nella commedia Ma non è una cosa seria (del
1918) per esempio la protagonista è una sola donna di due nomi: Gasparina e
Gasparotta.
Altrettanto Evelina Morli[4]
che viene chiamata "Eva" dal marito Ferrante Morli, e
"Lina" dall'amante Lello Carpani.
Se questo da una parte può significare la lacerazione della donna e la
divisione dei suoi affetti, dall'altra rimanda alla magna mater: pollw'n ojnomavtwvn morfh; miva del Prometeo
incatenato appunto.
Edipo e la Sfinge
L’Edipo di
Seneca si dà animo e rivendica il proprio coraggio davanti al mostro “:
"Nec Sphinga coecis verba nectentem modis
fugi; cruentos vatis infandae tuli
" (v. 92 - 94) io non sono fuggito davanti alla Sfinge che intricava le parole in ciechi
stilemi, ho resistito davanti alle fauci spalancate e insanguinate della
mostruosa profetessa e al suolo che biancheggiava di ossa sparpagliate .
La Sfinge che inanellava parole funeste con tenebrosi enigmi[6], è chiamata da Sofocle anche "sklhra;
ajoidov""[7],
la cantatrice dura.
Edipo ha
risolto l’enigma della Sfinge ma non ha fatto cessare definitivamente le
sciagure di Tebe che soffre il flagello della peste quale vendetta postuma del
mostro sconfitto : “Ille, ille dirus callidi monstri cinis/in nos rebellat;
illa nunc Thebas lues/perempta perdit "
(vv. 106 - 108), proprio quella cenere tremenda del mostro scaltro riprende la
guerra contro di noi: ora quella peste ammazzata uccide Tebe,
lamenta Edipo mentre Giocasta cerca di incoraggiarlo.
La colpa
di Edipo secondo Sofocle è
la presunzione intellettuale
Sofocle
condanna Edipo il quale dopo avere risolto l'enigma della Sfinge con
l’intelligenza, ne ha menato vanto.
La presunzione intellettuale costituisce il vero peccato di Edipo il quale
crede troppo nella propria intelligenza e, istigato per giunta dalla madre,
arriva a bestemmiare gli oracoli.
Uno dei centri ideologici del dramma è costituito dai versi 396 - 398:"arrivato
io,/ Edipo, che non sapevo nulla, lo feci cessare/ azzeccandoci con l'intelligenza
(gnwvmh/// kurhvsa" ) e senza avere imparato nulla
dagli uccelli". Questa affermazione di autonomia, per Sofocle, poeta
tradizionalista e pio, è dismisura, prepotenza, cecità
mentale e morale che fa crescere la mala pianta del tiranno (v.873), il quale,
salito su fastigi altissimi è però, destinato a precipitare nella necessità
scoscesa[8] dove
non si avvale di valido piede, ajpovtomon…eij~ ajnavgkan e[nq j ouj podi; crhsivmw/ - crh'tai" (vv. 877 - 879). Il despota è spesso affetto da zoppia, quanto meno
mentale, ma non solo, e la tirannide è una “sovranità claudicante” [9].
Augusto capì che doveva diffidare della Sfinge. Svetonio racconta: “in
diplomatibus libellisque et epistolis signandis initio Sphinge usus est, mox
imagine Alexandri, novissime sua, Dioscoridis manu sculpta (Augusti Vita,
50).
continua
[1] Vissuto tra il I e il II sec. d. C. (40 - 112) fu tra gli iniziatori
della Seconda Sofistica. Ci sono arrivate circa 80 orazioni.
[3] M. Bettini, L'arcobaleno, l'incesto e l'enigma a proposito
dell'Oedipus di Seneca, "Dioniso", 1983, p. 152.
[5] Rictus - us, m.
(c’è anche rictum - i) sono le fauci spalancate e
insanguinate della Sfinge, dal volto che ringhia mostrando i denti (ringor).
[6]Cfr. Seneca, Fenicie (vv. 131 - 132): "Saeva
Thebarum lues - luctifica coecis verba committens modis ".
[8] Troviamo un locus analogo nel primo
coro dell'Agamennone di Seneca quando le donne di Micene notano che
la Fortuna/ fallax (vv. 57 - 58) inganna con grandi beni
collocandoli troppo alti in praecipiti dubioque (v. 58), in
luogo scosceso e insicuro. Infatti le cime sono maggiormente esposte alle
intemperie, ai colpi della Fortuna, e predisposte alle cadute rispetto alle
posizioni medie:"quidquid in altum Fortuna tulit,/ruitura
levat./Modicis rebus longius aevum est;/felix mediae quisquis turbae/sorte
quietus…" (vv. 101 - 104), tutto ciò che la Fortuna ha portato in
alto, per atterrarlo lo solleva. E' più lunga la vita per le creature modeste:
fortunato chiunque sia della folla mediana contento della sua sorte. La
caduta dall'alto è prevista dal Viceré del Portogallo in La tragedia
spagnola di
Thomas Kyd (del 1585) :"Sciagurata condizione dei re, assisi fra
tanti timori senza rimedio! Prima, noi siam posti sulla più eccelsa altezza, e
spesso scalzati dall'eccesso dell'odio, ma sempre soggetti alla ruota della
fortuna; e quando più in alto, non mai tanto godiamo quanto insieme sospettiamo
e temiamo la nostra rovina" (III, 1). Non solo nella tragedia il potere è malvisto da
Seneca: nel De brevitate vitae troviamo l’immagine
di Augusto che, come altri potenti, desidererebbe discendere dalla sua sommità:
“cupiunt interim ex illo fastigio suo, si tuto liceat, descendere; nam, ut
nihil extra lacessat aut quatiat, in se ipsa fortuna ruit " (4,
1, 2), desiderano talora discendere da quel culmine, se fosse possibile farlo
senza pericolo; infatti posto che nulla dall'esterno la minacci o scuota, la
fortuna implode da sola. Del resto Proust ci ricorda che la vecchiaia fa
precipitare tutti: "la vecchiaia... è pur sempre lo stato più miserando
per gli uomini, e che li precipita dai loro fastigi a somiglianza dei re delle
tragedie greche" Il tempo ritrovato , p. 359..
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