Leggo (“Il fatto quotidiano”
del 31 agosto, p. 12 ) una risposta di Leonardo Coen a un lettore, Ennio Valli,
che domanda se siano spericolati i ciclisti uccisi dalle automobili o se
piuttosto sono irresponsabili gli autisti.
La risposta è “non è questo
un paese per ciclisti”. Segue il conteggio dei morti che ogni anno sono più di
200; nel 2016 sono arrivati a 338 “uno ogni 26 ore.
Questi sono anni di piombo
per noi ciclisti ma alle violenze che subiamo non viene dato rilievo e gli
assassini che guidano le automobili rimangono quasi sempre del tutto impuniti o
risibilmente multati. Più di una volta da ciclista ho dovuto adoperarmi per
scansare la morte che l’automobilista impegnato con il telefonino mi avrebbe
inflitto se mi fossi distratto un attimo.
Sono in corso sulle strade
dei circenses sanguinari cui la folla assiste fermandosi a
osservare, con interesse morboso talora pure compiaciuto le ferite, le piaghe
le mutilazione e spesso la morte per macchina: fear death by car!
Succede anche spesso che gli
automobilisti si ammazzino tra loro come in una guerra civile che come sappiamo
è crudele e nefanda.
Sicché? Sicché propongo una
tregua seguita dalla pace.
Talora gli infelici di un
popolo mandato a combattere contro un altro popolo capiscono che ogni guerra è
una guerra civile. Sappiamo che durante la prima guerra mondiale ci furono
momenti brevi ma molto belli di solidarietà tra gruppi di soldati mandati ad
ammazzare persone che non conoscevano dello schieramento opposto.
Un fatto che avvenne anche
durante i bella plus quam civilia
narrati da Lucano, poeta dell’età di Nerone, nel poema Pharsalia. L’episodio dei Cesariani e Pompeiani che fraternizzano
si trova nella prima parte del IV libro (1-401) che racconta la guerra in Spagna
prima di Farsalo.
Come i soldati dei duci
nemici dunque si trovarono di fronte e
si furono visti e guardati in faccia si accorsero che erano reciprocamente
fratelli e : “deprensum est civile nefas” (172) si scoprì la guerra civile ossia
il suo orrore.
Tolta la maschera alla personata pulchritudo del conflitto, i
soldati delle due parti tenuere parumper-
ora metu (172-173) per un poco
tennero chiuse le bocche per la paura e tantum nutu motoque salutant-ense suos (173-174)
e salutano i propri simili solo con cenni del capo e muovendo le spade. Ma poi
si arriva agli abbracci: “Mox, ut
stimulis maioribus ardens-rupit amor leges, audet transcendere vallum-miles, in
amplexus effusas tendere manus” (174-176), subito dopo, come l’amore ardendo
con stimoli più forti, ebbe rotto le norme, il soldato osa passare oltre la
trincea e tendere le palme aperte agli abbracci.
Quindi questi uomini
risvegliati dall’incubo della guerra comandata, parlano tra loro, si
riconoscono come amici e parenti, addirittura arma rigant lacrimis
(180), rigano di lacrime le armi. “iam
iam civilis Erinys concidet”, l’Erinni
della guerra civile cadrà auspica il poeta e trionferà la concordia. Poi però
Petreio legato di Pompeo in Spagna “famulas
scelerata ad proelia dextras excitat (…)
iunctosque amplexibus ense-separat et multo disturbat sanguine pacem” (207-210)
incita a combattimenti scellerati le mani serve di nuovo (…) e separa con una
spada quelli uniti in abbracci, e con molto sangue sconvolge la pace.
In conclusione vorrei che noi
umani rifiutassimo la ferocia che ci vuole inculcare la propaganda dell’egoismo,
dell’edonismo , del consumismo, della fretta, e ci ricordassimo di essere
appunto umani che ricavano maggiore contentezza, e perfino gioia, dall’aiuto
reciproco, dai sorrisi, dalle benedizioni, dagli abbracci, che dalla
supponenza, dal ceffo adirato, dal ringhio, dai gesti e dalle parole violente.
Che così non sia più.
Sorrisi e abbracci a chi mi
legge.
gianni
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