Mattia Preti, Il poeta filosofo |
Pindaro e Platone
Pindaro Olimpica I: “oj
mevga" de; kivn-duvno" a[nalkin ouj fw'-ta lambavnei, il grande rischio
non prende l’uomo imbelle.
Per quelli per i quali morire è
necessario, perché si dovrebbe
smaltire invano una vecchiaia
anonima seduto nell'ombra (ejn skovtw/
-kaqhvmeno") senza parte di tutte le cose belle? ( ajpavntwn
kalw'n a[mmoro~;) (vv.81-84)
Olimpica VI, 9-11: “ ajkivndunoi d j ajretaiv-ou[te par j ajndravsin
ou[t j ejn nausi; koivlai"-tivmiai: polloi de mev-mnantai
kalo;n ei[ ti ponaqh'/” le
virtù prive di rischio non sono onorate né fra gli uomini né in concave navi,
ma molti ricordano se qualcosa di bello è compiuto con fatica.
Nella Pitica
IV , 186-187) Era accendeva negli uomini un desiderio dolce della nave
Argo perché nessuno rimanesse presso la madre a smaltire una vita priva di
rischi (ta;n akivndunon para; matri; mevnein aij-w`na
pevssonta).
Platone scrive:
“kalo;ς ga;
r oJ kivndunoς” (Fedone, 114d), bello è infatti il rischio. È il rischio di credere
nei miti relativi alla sorte delle anime, dato che è chiaro che l’anima è
immortale.
I
miti sull’aldilà - dice Socrate - non si addicono a un uomo che abbia senno (ouj prevpei noũn e[conti ajndriv)
ma, siccome è chiaro che l’anima è immortale, si addice pensare che le cose
relative all’anima vadano così o in maniera simile con il giudizio dei morti e
tutto il resto (cfr. il Gorgia).
Bisogna
incantare se stessi con storie siffatte. Per questo motivo io da tempo
protraggo il mito: kalo;ς ga;r oJ kivndunoς, dio; ga;r e[gwge kai; pavlai mhkuvnw to;n mu`qon.
Fedone
racconta a Echecrate le ultime ore di Socrate.
Nel prologo del Fedro Socrate dice a Fedro che
se non credesse al mito di Borea che rapì Orizia figlia del re Eretteo, come
non ci credono oiJ sofoiv, non
sarebbe l’uomo strano (a[topo~) che
è (229c). Potrei dire, facendo il sapiente sofizovmeno~, che
un colpo di vento di Borea gettò Orizia giù dalle rupi o dall’Areopago. È
un’interpretazione ingegnosa, ma chi la fa, poi deve raddrizzare gli
Ippocentauri, la Chimera, e Gorgoni e Pegasi e tutte le stranezze della natura.
E per questo ci vuole molto tempo libero: ejmoi;
de; pro; ~ aujta; oujdamw`~ scolhv (229e).
Io non sono ancora in grado di
conoscere me stesso kata; to;
Delfiko;n gravmma, perciò mi sembra ridicolo geloi`on dhv moi faivnetai indagare
cose che mi sono estranee - ta;
ajllovtria skopei`n. Dunque dico addio a tali questioni, esamino me
stesso skopw` ejmautovn, per
vedere se per caso io non sia una bestia più intricata e più invasa da brame di
Tifone o se sono un essere vivente (zw`/on)
più mite e semplice, partecipe per natura di una sorte divina e priva di
superbia fumosa (Fedro, 230a)
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