Se il racconto è dolore anche il silenzio è dolore come ha detto Prometeo citato da Giuseppe Berto.
Il Prometeo di Eschilo inizia il
suo racconto dicendo: ajlgeina; mevn
moi kai, levgein ejsti;n tavde,-a[lgo" de; siga'n "(vv.
197-198), doloroso è per me raccontare queste cose,/ma doloroso è anche
tacere, e dappertutto sono le sventure
Due versi questi, usati come
epigrafe da Giuseppe Berto per il suo Il male oscuro (1964)
che narra la terapia di una nevrosi: “Il racconto è dolore, ma anche il
silenzio è dolore”.
Il racconto infatti è doloroso e pure
terapeutico.
Così Enea racconta a Didone la
distruzione di Troia: “Infandum, regina,
iubes renovare dolorem(…)Sed si tantus amor
casus cognoscere nostros/et breviter Troiae supremum audire laborem,/quamquam
animus meminisse horret luctuque refugit,/incipiam” (Eneide, II, 3,
10-13), regina, mi ordini, di rinnovare un dolore indicibile (…) ma se tanto
grande è il desiderio di conoscere la nostra caduta e di udire in breve
l’estrema agonia di Troia, sebbene l’aimo rabbrividisca a ricordare e rifugga
dal pianto, comincerò.
Nella Tebaide di
Stazio (45-96 d. C.) Ipsipile inizia la sua storia dolorosa affermando che
raccontare le proprie pene è una consolazione per gli infelici:"dulce
loqui miseris veteresque reducere questus" (V, 48), è dolce parlare
per gli infelici e rievocare le pene antiche.
CarloEmilio Gadda "La cognizione del dolore" reca la medesima epigrafe, tratta dal "Prometeo"
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