Zeus saettatore |
Il tema dell'insicurezza si intreccia spesso con
quello della felicità inficiandola.
La felicità, se pure è possibile, non è mai sicura. Tanto meno
assicurabile.
Siccome la
vita umana è imprevedibile, non si può chiamare felice né fortunato, e nemmeno
disgraziato, chi non l'ha ancora compiuta tutta.
Gli
ultimi versi della Medea di Euripide affermano
l'imprevedibilità di quanto avviene nella vita umana: "Di molti casi Zeus
è dispensatore sull' Olimpo (Pollw'n tamiva" Zeu;" ejn jOluvmpw/),/e molti eventi fuori dalle nostre
speranze (ajevlptw") portano a compimento gli dèi;/e i fatti attesi non
si avverarono,/mentre per quelli inaspettati un dio trovò la via./Così è andata
a finire questa azione" (vv. 1415 - 1419).
La
conclusione dell'Alcesti, dell'Andromaca, dell'Elena e
delle Baccanti è uguale, tranne che per il primo verso di
questo finale: " pollai; morfai; tw'n daimonivwn" (Alcesti , v.
1159; Andromaca, v. 1284; Elena, v. 1688; Baccanti,
v. 1388), molte sono le forme della divinità".
Questo
costituisce un tovpo" della letteratura. Si tratta di un motivo
sapienziale arcaico già presente in Archiloco (fr. 58D.): "toi'"
qeoi'" tiqei'n a{panta: pollavki" me;n ejk kakw'n - a[ndra"
ojrqou'sin melaivnh/ keimevnou" ejpi; cqoniv, - pollavki" d j
ajnatrevpousi kai; mavl j eu\ bebhkovta"/uJptivou" klivnous j: e[peita polla; givgnetai
kakav, - kai; bivou crhvmh/ plana'tai kai; novou parhvoro"" (fr. 58 D.), attribuisci ogni
cosa agli dei: spesso sollevano dai mali uomini stesi sulla nera terra, spesso
rovesciano e piegano supini anche quelli ben saldi sui piedi; poi invece
nascono molte sventure e uno va errando per mancanza di sostentamento e fuori
di sé.
Archiloco ricorda l’alternanza delle umane sorti anche in un altro
frammento :"
cuore, cuore sconvolto da affanni senza rimedio/sorgi e difenditi dai malevoli,
contrapponendo/il petto di fronte, piantandoti vicino agli agguati dei
nemici/con sicurezza: e quando vinci non gloriartene davanti a tutti,/e, vinto,
non gemere buttandoti a terra in casa./ Ma nelle gioie gioisci e nei dolori
affliggiti/non troppo: riconosci quale ritmo governa gli uomini" (mh; livhn:
givgnwske d j oi|o" rjusmo;" ajnqrwvpou" e[cei” fr. 67a D.).
La memoria
che conserva il ricordo di cose buone e fatti egregi può essere fonte di
beatitudine:
“Ma più
beata ché in un tempio accolte
Serbi
l’itale glorie, uniche forse
Da che le
mal vietate Alpi e l’alterna
Onnipotenza
delle umane sorti
Armi e
sostanze t’invadeano ed are
E patria e,
tranne la memoria, tutto” U. Foscolo, Dei Sepolcri, 180 - 185)
Nulla dunque
deve essere considerato definitivo.
Anche Sofocle denuncia
più di una volta questa insicurezza e nei suoi drammi si trova l'immagine dell'
altalena fatale: nell’Aiace, Odisseo davanti alla rovina del Telamonio
schiacciato dall’ate ne prova pietà, anche se era suo nemico, e constata che
noi mortali siamo solo fantasmi e ombra vana (vv. 125 - 126). Atena ammonisce
chi ha visto la caduta di Aiace a non pronunciare mai parola superba contro gli
dèi e a non gofiarsi di orgoglio per la potenza o la ricchezza conseguite: “wJ"
hjmevra klivnei te kajnavgei pavlin - a{panta tajnqrwvpeia” (131 - 132) siccome un giorno abbatte e risolleva tutte le cose umane.
Nell'esodo dell'Antigone il messo annuncia il racconto della morte
di Antigone e di Emone con questa sentenza: "tuvch ga;r
ojrqoi' kai; tuvch katarrevpei - to;n eujtucou'nta to;n te dustucou'nt j ajeiv
- kai; mavnti" oujdei;" tw'n kaqestwvtwn brotoi'" (Antigone, 1158 - 1160), la sorte di fatto raddrizza e butta giù il
fortunato e il disgraziato via via, e non c’è indovino della stabilità delle
cose per i mortali.
Nella parodo dell’Edipo re il coro chiede ad
Apollo:"intorno a te ho sacro timore: che cosa, o di nuovo (nevon)/o con il volgere delle stagioni ("peritellomevnai"
w{rai"") un'altra volta (pavlin)/effettuerai per me?"(vv. 155 - 157).
In questo scorrere rapido dei giorni, nel girare vorticoso delle
stagioni, avvengono mutamenti continui e alcune cose si ripetono, ma altre
accadono inopinatamente, e il nevon è
inquietante.
Il coro di vecchi Tebani conclude l'Edipo re con questi versi
:" sicché, uno che sia nato mortale, non ritenga felice
nessuno,/considerando quell'ultimo giorno a vedersi, prima che/abbia passato il
termine della vita senza avere sofferto nulla di doloroso ("pri;n a]n /tevrma tou' bivou peravsh/ mhde;n ajlgeino;n paqwvn", vv.1528 - 1530).
Edipo da salvatore di Tebe dal flagello della Sfinge, sposo della regina e
re amato dal popolo, si è scoperto mivasma della città, incestuoso, parricida ed è diventato il farmakov" che deve essere espulso per allontanare la contaminazione proveniente da
lui.
Sofocle propone questo lovgo" ajrcai'o" all'inizio delle Trachinie :"Lovgo"
me;n e[st j ajrcai'o" ajnqrwvpwn faneiv" - wJ" oujk a]n aijw'n j
ejkmavqoi" brotw'n, pri;n a]n - qavnh/ ti", ou[t j eij crhsto;"
out j ei[ tw'/ kakov"", c'è un detto apparso in tempo antico tra gli uomini: che non si può
conoscere la vita dei mortali prima che uno sia defunto, se la sua sia stata buona
o cattiva (vv.1 - 3). E’ l’infelice protagonista che parla.
Più avanti, alla fine del quarto episodio, la Nutrice di Deianira afferma
addirittura che è sconsiderato (mavtaiovv" ejstin v. 945) chi conta su due giorni o anche più: infatti non c'è il
domani se prima uno non ha passato bene l'oggi.
In ogni caso
il coro delle donne di Trachis conclude il dramma dicendo: "koujde;n
touvtwn o{ ti mh;
Zeu" "(1278),
nulla di questo che non sia Zeus.
Marcel Proust considera
emblematico della vita umana il cadere: "E meglio di un coro di Sofocle
sull'umiliato orgoglio di Edipo, meglio della morte stessa e di qualsiasi
orazione funebre, il saluto premuroso e umile del barone alla signora di Saint-Euverte proclamava quanto di fragile e perituro c'è nell'amore d'ogni terrena
grandezza e d'ogni umana superbia. Il signor Charlus, che prima di allora mai
avrebbe accettato di pranzare con la signora di Saint-Euverte, s’innchinava
fino a terra davanti a lei"[1].
Continua
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