Giocasta miniatura dal De mulieribus claris di Boccaccio. |
Un argomento scabroso visto da alcuni classici: l’incesto
La Sfinge,
flagello di Tebe, è nata da un incesto come Edipo figlio e marito di Giocasta.
Il padre
della Sfinge, il cane Orto un mostro con due teste e due ceffi, era figlio e
amante di Echidna, la vipera, da cui ebbe la Sfinge.
Ermione
nell’Andromaca di Euripide attribuisce ai barbari la pratica
dell’incesto: “toiou'ton pa'n to; bavrbaron gevno": - pathvr te
qugatri; pai'" te mhtri; mivgnutai - kovrh t j ajdelfw'/, dia; fovnou d j
oiJ fivltatoi - cwrou'si, kai; tw'nd j oujde;n ejxeivrgei novmo" (vv. 173 - 176), siffatta è
la razza dei barbari, il padre si unisce alla figlia, il figlio alla madre, la
sorella al fratello, mentre gli amici più cari muovono all’uccisione l’uno
dell’altro e la legge non impedisce nessuno di questi orrori.
L'ombra di Laio nell'Oedipus punta subito il dito contro
l'incesto: "maximum Thebis
scelus/maternus amor est " (629 - 630). E’ questo il verso
chiave della tragedia.
Nelle Phoenissae Edipo considera l'incesto il più grave
dei suoi due delitti, anzi di tutti i delitti: "Nullum crimen hoc maius
potest/natura ferre" (vv. 272 - 273), la natura non può produrre
nessun crimine più grande di questo.
Le commento con queste di C.
Pavese: "Se nascerai un'altra volta dovrai andare adagio anche
nell'attaccarti a tua madre. Non hai che da perderci".[1]
Sentiamo anche Kundera:
"Non c'è attaccamento più forte di quello di una madre verso il suo
bambino. Questo attaccamento mutila per sempre l'anima del bambino e prepara
per la madre, quando il figlio diventa grande, i più crudeli tormenti d'amore
che esistano al mondo"[2].
Procedo con E. Fromm :" Rimanendo legato
alla natura, alla madre o al padre, l'uomo riesce quindi a sentirsi a suo agio
nel mondo[3],
ma, per la sua sicurezza, paga un prezzo altissimo, quello della sottomissione
e della dipendenza, nonché il blocco del pieno sviluppo della sua ragione e
della sua capacità di amare. Egli resta un fanciullo mentre vorrebbe diventare
un adulto"[4].
Fromm definisce
"matura" la persona che "si è liberata delle figure esteriori
del padre e della madre e li ha ricreati in se stessa"[5].
Diversa è
l’interpretazione di S. Freud
In Totem e tabù Freud scrive che “tabù è
un vocabolo polinesiano” di traduzione difficile in tedesco, ma equivalente in
modo esatto al latino sacer. Quindi aggiunge: “Anche l’a[go~ dei greci e il kodausch (kadosch) degli ebrei deve
avere avuto lo stesso significato del tabù per i polinesiani…I divieti tabù più
antichi e più importanti sono i due princìpi fondamentali della legge
totemica: non uccidere l’animale
totemico e fuggire il rapporto sessuale con individui di sesso diverso
appartenenti allo stesso totem…L’uomo che ha violato un tabù, diventa
egli stesso tabù in quanto possiede la pericolosa capacità di indurre gli altri
a seguire il suo esempio”[6].
L’esogamia dunque venne imposta all’orda primigenia dal padre che, in
seguito a una rivolta della banda dei figli aizzati e guidati da uno di loro
“il caporione”, venne ammazzato e sostituito simbolicamente con l’animale
totemico. Questo poi
fu alternatamente venerato e ucciso per essere mangiato nel pasto totemico[7] cui
è succeduta la comunione cristiana. Ebbene l’ambivalenza della parola sacer rifletterebbe
l’ambivalenza del rapporto tra il padre e i figli: “L’imperio dell’esogamia, la cui espressione
negativa è l’orrore dell’incesto, si fondava sulla volontà del padre e continuò
questa volontà dopo il parricidio. Di qui
l’intensità del suo tono affettivo e l’impossibilità di una fondazione
razionale, cioè il suo carattere sacro. Siamo fiduciosi che l’esame di tutti
gli altri casi di divieto sacro condurrebbe allo stesso risultato del caso
dell’orrore dell’incesto, e cioè che in origine il sacro non è altro che la prosecuzione della volontà del padre
primigenio. Con ciò si farebbe anche un po’ di luce sull’ambivalenza,
finora incomprensibile, delle parole che esprimono il concetto di sacro. E’ la
stessa ambivalenza che domina in genere il rapporto con il padre. “Sacer”
significa non solo “sacro”, “consacrato”, ma anche qualcosa che possiamo
tradurre soltanto con “infame”, “esecrando” (“auri sacra fames”[8]). Tuttavia la volontà del
padre non era soltanto qualcosa di intoccabile, qualcosa da tenere altamente in
onore, ma anche qualcosa di fronte a cui si tremava, perché esigeva una
dolorosa rinuncia pulsionale ”[9].
[3]Non certo nel caso di Antigone e Aiace che comunque fondano l'identità
sull'imitazione della figura paterna (n. d. r,).
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