Statua di Polluce (Roma) |
Secondo libro
Nel secondo libro
c’è la gara di pugilato tra Polluce e Amico, il feroce signore dei Bebrici. Si
trovano nella Propontide a ovest del Bosforo. Chi arrivava là doveva fare a
pugni con lui che uccideva lo sconfitto.
Si accostò alle navi
e senza nemmeno chiedere chi fossero sfida il campione che dovevano scegliere
Polluce raccolse la
sfida
Amico lo fissò
roteando gli occhi, come il leone colpito dall’asta
Lo scontro è tra
tecnica e violenza.
Amico sembrava un
parto mostruoso del tremendo Tifeo o della Terra medesima;
Polluce era simile all’astro che ha i raggi
più belli quando si leva al crepuscolo. Tuttavia aveva la forza (ajlkhv) e il vigore (mevno~) di una belva.
Amico si rivolse con
ira e violenza a Polluce che rispose con un sorriso e prese i cesti (iJmavnta~, 52, specie di guanti). Amico attaccava e
Polluce schivava gli assalti come una nave che evita le onde. Quando ebbe
capito l’impostazione di Amico, Polluce contrattaccò. Si colpivano e
digrignavano i denti. Facevano qualche pausa, poi si lanciavano di nuovo come
due tori che si battono per la giovenca
Amico si alzò sulle punte
dei piedi e tese il corpo come fa il macellaio per uccidere il bove, ma Polluce
piegò il capo e ricevette il colpo solo sulla spalla, poi contrattaccò e colpì
Amico sopra l’orecchio e gli spezzò l’osso e lo uccise
Segue una zuffa
generale e gli Argonauti spargevano il terrore tra i Bebrici come i lupi grigi
che entrano in un ovile all’insaputa dei cani sagaci e dei pastori (II, 129)
Quindi gli eroi
cantavano un inno in onore di Polluce al suono della lira di Orfeo e al loro
canto si rallegrava la riva senza vento ijaivneto nhvnemoς ajkthv (162). Ma quando il sole splendette sui monti bagnati dalla rugiada e
diede la sveglia ai pastori (165), gli eroi si diressero al Bosforo. Tifi evitò
un’onda simile a una montagna scoscesa e alta come una nuvola e giunsero sulla
terra Tinia nal Bosforo europeo. Qui
abitava Fineo, punito poiché aveva rivelato agli uomini il pensiero di
Zeus. Le brutte Arpie gli
strappavano il cibo dalla bocca e insozzavano quello che gli lasciavano (cfr. Eneide III, 216-218:; Inferno XIII, 10-15).
Ma Fineo sapeva che
i sopraggiunti lo avrebbero salvato. Si azò dal letto come un sogno senza vita,
appoggiato al bastone, tastando i muri, il corpo era secco e duro di sudiciume,
la pelle teneva insieme soltanto le ossa. Uscito di casa lo colse una scura
vertigine e gli parve che la terra gli girasse intorno.
Quando vide gli
Argonauti, disse che la sua mente conosceva tutte le cose per scienza divina,
grazie ad Apollo. Chiede aiuto ai Greci: l’Erinni ha preso a calci i miei occhi,
e le Arpie mi rapiscono il cibo di bocca. Se ne lasciano un poco, questo manda
un odore schifoso ouj tlhtovn,
insopportabile. Il banchetto schifoso. Eppure la necessità amara lo costringe a
mettere quel cibo nel suo ventre maledetto. L’arte profetica gli ha detto che
saranno Calais e Zete i figli di Orizia e Borea a salvarlo. Fineo quando era
signore dei Traci aveva sposato la loro sorella Cleopatra dalla quale aveva
avuto i figli Ornito e Crambi, poi acciecati da Idea figlia di Cadmo e seconda
moglie di Fineo.
Zete gli chiede
l’assicurazione che loro due non verranno in odio agli dèi se cacceranno le
Arpie. Fineo giura. Poi preparano un pasto sul quale si gettano le Arpie,
smaniose, con immenso stridore (269). Quindi volarono via lasciando un odore
insopportabile. I figli di Borea le inseguirono. Le avrebbero fatte a pezzi ma
li fermò Iride, “la sciarpa del cielo” dicendo che non potevano uccidere le
cagne del grande Zeus. Iride giurò che le Arpie non sarebbero tornate da Fineo,
il figlio di Agenore e Cassiopea.
I Boreadi tornarono
indietro veloci e le isole Erranti dove erano arrivati si chiamarono Strofadi
(cfr. strevfw, volgo). Poi una buona cena con Fineo che fa
profezie ma solo di quanto poteva dire senza offendere Zeus. Il dio vuole che i
profeti diano agli uomini oracoli monchi perché essi abbiano sempre bisogno del
soccorso divino (315). Per varcare le Simplegadi dovranno fare una prova con
una colomba per vedere se passa le rupi, se no, dovranno tornare indietro. Non
dovete andare oltre i miei vaticini
Dopo navigheranno
nel mar Nero costeggiando la terra delle Amazzoni dove sfocia il Termodonte e
la terra dei Calibi che estraggono il ferro dal suolo. Procedete fino alla foce
del Fasi che bagna le terre dei Colchi. Là c’è il bosco di Ares dove c’è una
quercia sulla cui cima è disteso il vello d’oro custodito da un drago insonne. (mostri e tiranni non dormono. (Cfr. Medea di Euripide, 481 a[upnoς detto
da Medea del drago di cui rivendica l’uccisione)
Giasone rimase angosciato - ajmhcanevwn (410) dal vaticinio terribile. Quindi chiede
a Fineo come faranno a tornare.
Il vecchio risponde
che ce la faranno ma solo cercando l’aiuto di Cipride ingannevole: in lei sta
l’aiuto delle fatiche (422-423). E ora non chiedetemi altro. Quindi tornarono i
due Boreadi.
Fineo si augura la
morte. Poi c’è un sacrificio. Segue un ai[tion l’origine dei venti etesii il mito di Cirene che fu amata da Apollo e
gli partorì Aristeo che poi fu allevato dal centauro Chirone. Poi ci fu una
catastrofe: la stella Sirio bruciava le Cicladi e gli abitanti chiamarono
Aristeo per difenderli. Sicché Aristeo abbandonò la Ftiotide e andò a Ceo
nelle Cicladi dove costruì un altare a Zeus, dio delle piogge e il dio mandò i
venti Etesi a rinfrescare per 40 giorni la terra. Ebbene ancora oggi i
sacerdoti di Ceo compiono sacrifici prima che sorga la costellazione del cane.
Gli Argonauti dunque sentirono soffiare i venti Etesii. Allora si imbarcarono
con una colomba trepida per il terrore (535)
Atena si mosse per
aiutare i rematori che arrivarono allo stretto chiuso dalle rupi scoscese.
Eufemo lanciò la colomba. Le rocce le tagliarono la coda ma l’uccello passò.
Atena stessa spinse la nave cui le rocce
tagliarono solo la punta
dell’aplustre-l’ornamento di poppa. Allora le rocce sconfitte misero le
radici. Gli eroi si sentirono scampati al regno dei morti. Tifi disse a Giasone
che non doveva più avere paura: tutto sarebbe andato bene.
Ma Giasone risponde
di avere sbagliato nell’accettare il comando datogli da Pelia. Dovevo morire
piuttosto (622ss.). Dice che dappertutto ci sono uomini ostili (630) e aggiunge
che non dorme in quanto teme non tanto per sé quanto per i compagni. Il poeta
commenta che voleva mettere alla prova gli eroi. Una prova del genere la fa
Agamennone che nel II canto dell’Iliade,
dice che metterà alla prova l’esercito (peirhvsomai, II, 73) ordinando la fuga.
I compagni di
Giasone rumoreggiarono con parole ardite e lui prese coraggio.
Invece nell’Iliade la truppa con grida di gioia
balzò verso le navi.
I marinai remavano e sembravano buoi che sotto
il giogo sudano e volgono gli occhi obliqui puntando i piedi sulla terra. Osservazione
precisa della realtà.
Quando giunsero nel
porto dell’isola di Tiniade (prima di Eraclea) apparve Apollo con i riccioli
d’oro che si agitavano sulle sue guance come grappoli d’uva (676-677). Nella
sinistra aveva l’arco d’argento e la faretra sulle spalle. Orfeo lo prega. Poi
celebrarono dei riti in suo onore e Orfeo cantò la storia del dio che sotto il
Parnaso uccise con le sue frecce il mostruoso Pitone. Le ninfe coricie[1]
gridavano i{h
i{e per incitarlo e da questo
grido deriva il ritornello in onore di Febo (713). Cfr. i{ei “lancia!”
Poi costeggiarono la
terra dei Mariandini (Eraclea). Lico, il re del paese, li accolse con amicizia
poiché Polluce aveva ucciso Amico e loro erano in guerra con i Bebrici. Giasone
racconta gli episodi del viaggio già compiuto e Lico ascoltava con l’animo in
preda all’incanto
Prima della
ripartenza l’indovino Idmone, esperto di vaticini, muore ucciso da un
cinghiale, un mostro che terrorizzava anche le ninfe dell’acqua. Ida ammazzò il
cinghiale.
Poi muore Tifi di
malattia e i compagni temettero di non tornare più indietro . Allora Anceo
incoraggiato da Era si offre come pilota. Peleo rimprovera i compagni per
l’inutile lutto. Si muore per il destino
e bisogna mettere da parte il dolore. Giasone risponde che senza pilota rischiano di invecchiare là
inutilmente, ma anche Nauplio ed Eufemo e Ergino fratello di Anceo si fecero
avanti e la maggioranza scelse Anceo. C’è democrazia dunque.
Quindi partirono e
giunsero presso la foce del fiume Callicoro così chiamato (dalle belle danze-corovς-oJ)
perché Dioniso, tornando dall’India istituì danze davanti alla grotta
dove passò notti sacre, senza sorriso (910). In età ellenistica si ricordava
questo viaggio di Dioniso in India in quanto precedente divino della spedizione
di Alessandro Magno. Poi il profeta Mopso
esorta i compagni a rendere onore
alla tomba di Stenelo figlio di Attorre[2].
Orfeo vi consacrò la lira e ora quel luogo si chiama Lira (929)
Ripartono e la nave
Argo avanzava veloce come sparviero con le ali aperte e ferme nel vento.
Sbarcarono a Sinope che prende il nome dalla ragazza ostinatamente vergine :
rifiutò Zeus, Apollo e il fiume Halys. Quindi ripartirono e approdarono alle
foci del Termodonte dove Ippolita diede il suo cinto a Eracle per riscattare la
sorella Melanippe. Qui abitano le Amazzoni, le figlie di Ares e della ninfa Armonia
che amano sopra ogni cosa la guerra. Si stavano armando contro gli Argonauti ma
Zeus mandò il vento Argeste che li portò via. Uno dei tanti atti mancati da
questi strani eroi. Poi costeggiarono il paese dei Calibi che aprono la terra
per il ferro e lo vendono e ne traggono mezzi di vita.
Catullo li menziona
maledicendoli nel carme 66 dove la chioma di Berenice, tagliata dal ferro,
rimpiange la testa della regina invita, o
regina, tuo de vertice cessi, -invita
", contro voglia o regina mi sono allontanata dal tuo capo, contro
voglia, le fa dire, con un verso (39) che verrà in gran parte utilizzato anche
da Virgilio (Eneide , VI, 460) a
proposito della partenza quasi coatta di Enea dal lido cartaginese:"invitus, regina, tuo de litore cessi
".
Per quanto riguarda
la forza non resistibile del ferro che
scava canali tra i monti, Catullo scrive (66, vv.45-47):
"cum Medi peperere novum mare, cumque
iuventus
per medium classi barbara navit Athon.
Quid facient crines, cum ferro talia cedant? ",
quando i Persiani crearono un nuovo mare, e
quando la gioventù barbarica navigò con la flotta in mezzo all'Athos. Cosa
possono fare i capelli, quando tali monti cedono al ferro?
Quindi la
maledizione: “Iupiter, ut Chalybon omne
genus pereat” v. 48). Cfr. Erodoto I, 68, 4: il ferro è stato scoperto per
il male dell’uomo”
Poi proseguirono
costeggiando la terra dei Tibareni. Quando le donne devono partorire i maschi
si mettono a letto e gemono, mentre le donne li accudiscono e preparano i bagni
rituali del parto. E’ la couvade, la
mimesi del parto fatta dagli uomini.
Quindi costeggiano
la terra dei Mossimeli che fanno tutto, sesso compreso coitus publicus, in mezzo alla strada come maiali al pascolo. Il re
è infelice: se sbaglia un giudizio lo chiudono per tutto il giorno a digiuno.
Di fronte all’isola di Ares un uccello scagliò una penna che come una freccia
ferì Oileo a una spalla. Poi arrivò un’altra penna-freccia. Allora Amfidamante
ricordò che Eracle in Arcadia disperse gli uccelli del lago Stimfalide facendo
rumore con il bronzo, sicché essi spaventarono gli uccelli armati battendo gli
scudi e mandando truci bagliori con gli elmi di bronzo. Gli scudi poi li
protessero dall’ultimo lancio di frecce.
Intanto i figli di
Frisso stavano andando a Orcomeno e in seguito a un naufragio il mare li gettò
nell’isola di Ares dove erano sbarcati gli Argonauti.
Argo, figlio di Frisso,
li prega invocandoli con oi{ tivneς ejste ajndrw'n (II, 1124) chiunque voi siate. Chiede l’aiuto che si dà ai supplici e
agli ospiti. Giasone chiede chi siano e Argo racconta di Frisso che giunse
nella città di Eeta cavalcando un montone il quale fu sacrificato a Zeus come
chiese il montone stesso. Quindi Frisso sposò Calciope, figlia di Eeta. Frisso
è morto vecchio e ora i 4 figli vanno a Orcomeno per raccogliere l’eredità di
Atamante, padre di Frisso. Giasone dice loro che sono parenti in quanto il loro
nonno Atamante era fratello di suo nonno Creteo padre di Esone. Quindi andarono
nel tempio di Ares e sacrificarono dei cavalli. Poi Giasone chiede aiuto a sua
volta ai Frissidi: diano una mano a riportare in Grecia il vello d’oro poiché
lui compie l’impresa in espiazione del tentato sacrificio di Frisso ed Elle
voluto dalla matrigna Ino, la seconda moglie di Atamante, una u{briς per cui Zeus si sdegnò con gli Eolidi (Eolo
era il padre di Atamante).
I Frissidi
inorridirono e Argo disse che Eeta è crudele e terribile, inoltre il vello è
custodito da un serpente insonne, immortale, figlio della terra fecondata dal
sangue di Tifone colpito dal fulmine di Zeus. Peleo risponde che loro non hanno
paura.
Poi oltrepassarono
l’isola di Filira dove Crono che allora regnava si unì a Filira, ma Rea, moglie e sorella di Crono li sorprese nel
letto, allora Crono fuggì mutandosi in un cavallo e quindi Filira partorì Chirone
un mezzo cavallo. Poi passarono sotto il Caucaso dove Prometeo nutriva l’aquila
con il proprio fegato. La videro muovere le ali simili a remi.
E’ il contrappasso
per Prometeo che ha inventato la navigazione Nel Prometeo incatenato di Eschilo,
Il
Titano si vanta di avere dato agli uomini il numero, “la combinazione delle
lettere, memoria di tutto” (vv. 460- 461), di avere aggiogato gli animali
selvatici, di avere inventato le navi, veicoli dalle ali di lino (v. 462),
prefigurando addirittura il volo.
Gli
Argonauti udirono anche il lamento di Prometeo straziato nel fegato. Quindi
arrivarono al corso del Fasi, sugli estremi confini del Ponto. Giasone versò da
una coppa d’oro nel fiume libagioni soavi di vino puro.
Anceo, il successore
di Tifi disse che si doveva decidere se saggiare Eeta con maniere cortesi o in
altro modo (II, 1278-1280)
Fine secondo libro
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