"Io non sono materia"
Elena dunque mi stava lasciando. Allora
finalmente compresi. Capii di essere stato stupido, volgare e crudele; capii
che quella creatura in attesa di un’altra creatura, non doveva subire
ingiustizia, umiliazioni e dolori. Non da me. Avevo compreso e sentivo che non
vi è felicità grande senza morale profonda1.
Ne avrei avuto
rimorso per tutta la vita, forse anche oltre. E non solo per questo: io
l’amavo, lei mi aveva reso migliore, e siccome in sua presenza mi vergognavo di
essere ingiusto, mi avrebbe reso ancora migliore. La terra è in mezzo alle
stelle, e sulla terra ci sei tu amore mio. Già il tuo nome è circondato da un
alone antico e nobile.
Mi alzai, le
afferrai la mano sinistra e dissi: “Scusa, Elena, aspetta. Ora devo parlare io
a te. Ne ho bisogno. Ti prego”. Si fermò, mi guardò, poi sedette di nuovo.
Questa volta sul mio, sul nostro letto, sul talamo sacro dove Eros ci aveva
uniti in tanti, tantissimi sebbene mai troppi tripudi gioiosi. Sospirai
profondamente, le accarezzai i capelli neri, folti, lucenti. Mettevano in
risalto il bianco vivo della pelle. Il suo volto cominciò a rischiararsi come
un paesaggio mentre la nebbia si dirada al tramonto.
La guardai
con simpatia autentica. Elena era come me quando venivo vessato dai prepotenti:
chiedeva giustizia a uno che aveva provato l’iniquo impulso del tradimento e
dell’oppressione.
“Scusami, amore,
hai ragione. - dissi - Prima stupidamente ho bevuto due o tre palinke e ho
perso la lucidità mentale. Poi ho ballato e ho sorriso sfacciatamente con quella
ragazza francese. E’ vero, le ho fatto la corte, ma niente di più. Ho detto
poche parole vuote, insensate”. Mi fermai un momento.
Poi le
citai quanto dice Hans Castorp a madame Chauchat, la donna dagli occhi da
Chirghisa: “Parler français, c’est parler sans parler, en quelque manière (…) sans
responsabilité, ou comme nous parlon en rêve”
Helena mi guardò
perplessa.
“Ora ti metti anche
a parlare francese?”, mi domandò.
“No, je ne parle
guère le français: ho solo imparato a memoria alcune parole di Thomas Mann”4, risposi.
Poi continuai:
“L’ho abbracciata, come si fa quando si balla, le ho fatto qualche complimento,
ma non l’ho baciata. Non ho profanato il nostro amore santo. Non sono un
traditore di questo talamo nostro. Non sono un ingrato. Comunque mi dispiace,
ora mi vergogno. Io voglio te, ne sono sicuro, voglio stare con te, soltanto
con te, finché tu mi vorrai. Voglio rispettarti come rispetto me stesso, perché
tu sei la mia compagna e ancora di più perché ti amo. Tu devi essere sempre
felice, almeno per quanto dipende da me. Ne sento la responsabilità”.
Mi osservava, prima
con sguardo dubbioso, poi capì e sentì che parlavo sul serio, con la testa e
con il cuore, con tutto me stesso insomma. Infine mi sorrise convinta e mi
accarezzò. Allora io, spingendole in basso le spalle, la stesi sul letto,
quindi cominciai a lisciarle una coscia, sotto la gonna, con l’intento evidente
di fare l’amore subito. Ma lei scostò la mano intempestiva e tutta la mia
persona importuna, si rimise seduta, e disse: “Aspetta”.
“Perché aspetta? ”
le domandai, fingendo di non capire o senza capire davvero. Non ricordo.
“Perché voglio
parlare ancora. Io non sono…” Disse in inglese una parola che non compresi. Le
chiesi di ripeterla. “In latin is 'materia'" spiegò. Io non
sono materia.
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1 Cfr. R. Musil, L’uomo
senza qualità. Verso il regno millenario. “E sostengo che non vi è profonda
felicità senza morale profonda”.
3 Cfr. Esiodo, Opere
e giorni, v. 265. Questa legge del contrappasso è ribadita nell’ Hercules
furens: " quod quisque fecit, patitur: auctorem scelus
repetit " (vv. 735 - 736) , ciò che ciascuno ha fatto lo patisce:
il delitto ricade sull'autore.
4 La montagna
incantata. V Notte di Valpurga. Parlare francese è parlare senza parlare (…
) senza responsabilità, oppure come parlare in sogno (…) quasi non parlo il
francese.
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