lunedì 2 marzo 2020

La peste e l’economia

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La peste colpisce la salute e sgonfia l’economia dilatata  a dismisura tanto nei fatti quanto nella reputazione tra le genti.

Parto da alcuni versi del III stasimo delle Baccanti di Euripide
Felice - eujdaivmwn -  colui che fuori dal mare
sfuggì alla tempesta, e raggiunse il porto[1];
felice -  eujdaivmwn  - quello che riuscì al di sopra
degli affanni; in vario modo uno supera
l’altro per benessere e potenza o[lbw kai; dunavmei[2].
Non numerabili inoltre per  innumerevoli
sono le speranze: quelle che
si compiono nella prosperità ejn o[lbw/
per i mortali, quelle che svaniscono;
quello la cui esistenza è felice  - o{tw/ bivoto" eujdaivmwn -
giorno per giorno, chiamo beato - makarivzw - “ (Baccanti, vv. 902 - 911)                                                                                                    

La prosperità va digerita e  assimilata evitando l’indigestione.
Pindaro afferma che Tantalo era l'uomo più amato dagli dèi che lo onoravano frequentando la sua mensa; egli però non seppe -   la grande fortuna:" se mai i protettori dell'Olimpo onorarono un uomo/mortale, era Tantalo questo; però/ di fatto non seppe/digerire la grande prosperità - ajlla; ga;r katapevyai mevgan o[lbon oujk ejdunavsqh - e con la sazietà attirò/un acciecamento pieno di prepotenza, e su di lui/il padre sospese un macigno pesante,/che egli desidera sempre stornare dal capo/ed erra lontano dalla letizia - eujfrosuvna"  ajla'tai (Olimpica I, vv. 54 - 57b).
eu[frwn è quello lieto in quanto persona di eu\ frhvn -  di animo, cuore e intelletto che funzionano bene.
La prosperità insomma può causare indigestione.
Nel primo stasimo dell’Agamennone di Eschilo il coro canta : “se la cautela (o[kno") getta una parte delle ricchezze  con lancio misurato, non si immerge tutta quanta la casa troppo piena di sazietà, né affonda lo scafo” (1006 - 1010)

 "E' il culmine della felicità quando gli dèi si assidono alla nostra tavola e portano i loro doni - ma da quel momento non è possibile che tramontare. "I venti che soffiano sulle cime incessantemente mutano. La felicità non dura a lungo ai mortali, quand'essa viene nella sua pienezza" (Pindaro, Pitiche, III, 104 - 106)"[3].
Nella Pitica III Pindaro ricorda le alterne vicende di Cadmo di Peleo e dei loro figli, quindi le commenta scrivendo che “se alcuno dei mortali tiene nella mente la via della verità, deve gioire del bene che gli mandano i numi. Di qua e di là spirano i soffi dei venti che volano alti. Non procede a lungo  la prosperità degli uomini - o[lbo"  ajndrw'n - che è grossa quando arriva con tutto il suo peso (102 - 105)
giovanni ghiselli




[1] cfr. Lucrezio: “ suave mari magno turbantibus aequora ventis - e terra magnum alterius spectare laborem - (non quia vexari quemquamst iucunda voluptas,/ sed quibus ipse malis careas quia cernere suave est”, De rerum natura, II, 1 - 4) 
[2] duvnami" è la potenza da non confondersi con kravto", il potere come leggiamo in questa stessa tragedia “ Via Penteo, da’ retta a me: non presumere che il potere to; kravto" -  abbia potenza - duvnamin - sugli uomini,  Baccanti, 309 - 310.
Sono parole di Tiresia cui associo quanto dice il nobile Otane ai suoi pari possibili successori e pretendenti al ruolo di grande re durante il dibattito costituzionale erodoteo. Otane non entrò in lizza per diventare re dicendo parole molto belle, una specie di manifesto dell'antisadismo:"ou[te ga;r a[rcein ou[te a[rcesqai ejqevlw" (III, 83, 2), infatti non voglio comandare né essere comandato.
[3] M. Cacciari, L'arcipelago, p. 53.

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