Artista sconosciuto (Firmato L. Pesta) I giocatori di dadi |
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Possiamo stare attenti e cercare di scansare i guai ma non è possibile assicurarsi su niente.
Possiamo stare attenti e cercare di scansare i guai ma non è possibile assicurarsi su niente.
“Il motto degli antichi mai mentì”
Il topos della imprevedibilità degli eventi
La conclusione del Coro dell’Elena di Euripide è uguale a
quella di Alcesti , v. 1159 ss.; Andromaca, v.
1284 ss.; Elena, v. 1688 ss.; Baccanti, v. 1388 ss..
Coro
Molteplici sono gli aspetti del soprannaturale " pollai;
morfai; tw'n daimonivwn
e molti eventi in modo insperato (ajevlptw~) compiono gli dèi;
e i fatti aspettati non vennero portati a compimento,
mentre per quelli inaspettati un dio trovò la via.
Così è andata a finire questa azione (Elena, 1688 - 1692).
Nella Medea è differente solo il primo verso dei cinque: pollw`n
tamiva~ Zeu;~ ejn JOluvmpou (v. 1415), di molti casi è dispensatore
Zeus sull’Olimpo.
Questo finale è topico.
Anche l'Ippolito si conclude con la constatazione, da parte
della Corifea che su Trezene è caduto un dolore comune inaspettatamente ajevlptw~ (v. 1463), un
dolore che provocherà un fluire continuo di lacrime.
L'affermazione dell'imprevedibilità della vita umana in effetti costituisce
uno dei tovpoi della letteratura. Si tratta di un
motivo sapienziale arcaico già presente in Archiloco (fr. 58D.):"toi'"
qeoi'" tiqei'n a{panta...pollavki" d j ajnatrevpousi kai; mavl j eu\
bebhkovta"/uJptivou" klivnous j ", bisogna
attribuire ogni cosa agli dei...spesso rovesciano e stendono supini anche
quelli ben saldi.
L’ alternarsi di successi e insuccessi, benessere e
malessere, costituisce il ritmo evidenziato da Archiloco:" animo, animo
sconvolto da affanni senza rimedio/sorgi e difenditi dai malevoli,
contrapponendo/il petto di fronte, piantandoti vicino agli agguati dei
nemici/con sicurezza: e quando vinci non gloriartene davanti a tutti,/e, vinto,
non gemere buttandoti a terra in casa./ Ma nelle gioie gioisci e nei dolori
affliggiti/non troppo: riconosci quale ritmo governa gli uomini" (fr.128
West).
Ne troviamo un'eco nei Malavoglia di Verga: "Lasciò detto il povero
nonno, il riso e i guai vanno a vicenda" (capitolo VIII).
Padron 'Ntoni sapeva anche certi motti e proverbi che
aveva sentito dagli antichi, perché il motto degli antichi mai mentì"
(capitolo 1). Gli antichi per i Siciliani, soprattutto per quelli della Sicilia
orientalr, sono sempre anche i Greci.
Il topos del resto non manca nella cultura orientale: "Ma proprio come
nel classico taoista del Tao Te Ching, quando la fortuna di un uomo
tocca il fondo finalmente le cose cominciano a cambiare"[1].
Anche Sofocle denuncia
questa insicurezza: nei suoi drammi si trova più
volte l'immagine dell'altalena fatale:" nell'Esodo dell'Antigone il
messo sentenzia:"tuvch ga;r ojrqoi' kai; tuvch katarrevpei
- to;n eujtucou'nta to;n te dustucou'nt j ajeiv (vv.1157
- 1158), la sorte infatti raddrizza e la sorte butta giù/ il fortunato e il
disgraziato via via.
Nell'Edipo
re il coro chiede ad
Apollo:"intorno a te ho sacro timore: che cosa, o di nuovo/o con il
volgere delle stagioni ("peritellomevnai" w{rai"") un'altra volta/effettuerai per me?"(vv.
155 - 157). In questo scorrere rapido dei giorni, nel girare vorticoso delle
stagioni, avvengono mutamenti continui e alcune cose si ripetono, ma altre
accadono inopinatamente.
Gli ultimi versi del dramma contengono questa sentenza:
sicché, uno che sia nato mortale, non ritenga felice nessuno,/considerando
quell'ultimo giorno a vedersi, prima che/abbia passato il termine della vita
senza avere sofferto nulla di doloroso ("pri;n
aj;n /tevrma tou' bivou
peravsh/ mhde;n ajlgeino;n paqwvn", Edipo
re, vv.1528 - 1530).
L'imprevedibilità del futuro è denunciata anche da
Deianira all'inizio delle Trachinie
(vv. 1 - 3) :" esiste un antico detto ("Lovgo"
me;n e[st j ajrcai'o"") diffuso tra gli
uomini: che non puoi conoscere la vita di un uomo prima che uno sia defunto, né
se per lui sia stata buona o cattiva".
Più avanti la Nutrice afferma addirittura che è
sconsiderato (mavtaiovv" ejstin), v. 945 chi conta su due giorni o anche più: infatti
non c'è il domani se prima uno non ha passato l'oggi.
Queste parole ribadiscono gli insegnamenti delfici del conoscere,
anche attraverso se stessi, la natura umana, i suoi limiti e pure le sue
connessioni con il cosmo, per rifuggire ogni eccesso, ogni rottura
dell'equilibrio e dell'armonia.
In ogni caso, è la conclusione delle Trachinie:"koujde;n
touvtwn o{ ti mh; Zeu" "(1278),
nulla di questo che non sia Zeus.
Pindaro afferma che Tantalo era l'uomo più amato dagli
dèi che lo onoravano frequentando la sua mensa; egli però non seppe smaltire la
grande felicità:" se mai i protettori dell'Olimpo onorarono un uomo/mortale, era
Tantalo questo; però/ di fatto non seppe/digerire la grande felicità, e con la
sazietà attirò/un accecamento pieno di prepotenza, e su di lui/il padre sospese
un macigno pesante,/che egli desidera sempre stornare dal capo/ed erra lontano
dalla gioia. (Olimpica I, vv. 54 - 61).
"E' il culmine della felicità quando gli dèi si assidono alla
nostra tavola e portano i loro doni - ma da quel momento non è possibile che
tramontare. "I venti che soffiano sulle cime incessantemente mutano. La
felicità non dura a lungo ai mortali, quand'essa viene nella sua pienezza"
(Pindaro, Pitiche, III, 104 - 106)"[2].
Poiché la vita umana è imprevedibile, non si può chiamare felice né
fortunato chi non l'ha ancora compiuta tutta: è una constatazione della
mutevolezza e imprevedibilità della tuvch, una forza
soprannaturale che durante l'età ellenistica acquisterà ogni credito e
sostituirà tutti gli dèi dell'Olimpo e degli Inferi.
“Cosa sa l’uomo della vita? Niente di reale. Viviamo tra figure
stereotipate, simili a cartoline illustrate”[3].
Aristofane nella Lisistrata echeggia questo locus in chiave parodica: “ h\
povll j a[elpt j e[nestin ejn tw'/ makrw'/ bivw/ "
(v. 256) davvero in una lunga vita ci sono molte cose impreviste. Infatti le
donne "odiose a Euripide e a tutti gli dèi", come le definisce il
corifèo (v. 283) hanno occupato l'Acropoli e intendono fare lo sciopero del
sesso per impedire la continuazione della guerra. La parola d'ordine lanciata
dalla loro "capa" Lisistrata è :"ajfekteva
toivnun ejstivn hJmi'n tou' pevou""(v.
124), bisogna astenersi dal bischero.
Nelle Rane
il personaggio Euripide recita i primi due versi della sua Antigone che
non ci è arrivata: "Edipo dapprima era un uomo felice" (v.
1182)..."ma poi divenne viceversa il più infelice dei mortali" (v.
1187). Ogni giorno infatti è assolutamente diverso dal precedente. Soprattutto
per chi ricerca. “Edipo è l’uomo della ricerca, colui che interroga, indaga.
Da quando ha lasciato Corinto per partire all’avventura, è anche un uomo per
cui l’avventura della riflessione, dell’indagine è sempre una strada da
tentare. Edipo non si ferma”[4].
Concetti analoghi si trovano in diversi drammi euripidèi.
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