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giovedì 19 marzo 2020

Imprevedibilità degli eventi e felicità. Parte 1


Artista sconosciuto (Firmato L. Pesta)
I giocatori di dadi
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Possiamo stare attenti e cercare di scansare i guai ma non è possibile assicurarsi su niente. 
“Il motto degli antichi mai mentì”

Il topos della imprevedibilità degli eventi

La conclusione del Coro dell’Elena di Euripide è uguale a quella di Alcesti , v. 1159 ss.; Andromaca, v. 1284 ss.; Elena, v. 1688 ss.; Baccanti, v. 1388 ss..

Coro
Molteplici sono gli aspetti del soprannaturale " pollai; morfai; tw'n daimonivwn
e molti eventi in modo insperato (ajevlptw~) compiono gli dèi;
e i fatti aspettati non vennero portati a compimento,
mentre per quelli inaspettati un dio trovò la via.
Così è andata a finire questa azione (Elena, 1688 - 1692). 

Nella Medea è differente solo il primo verso dei cinque: pollw`n tamiva~ Zeu;~ ejn JOluvmpou (v. 1415), di molti casi è dispensatore Zeus sull’Olimpo.
Questo finale è topico.

Anche l'Ippolito si conclude con la constatazione, da parte della Corifea che su Trezene è caduto un dolore comune inaspettatamente ajevlptw~ (v. 1463), un dolore che provocherà un fluire continuo di lacrime.

L'affermazione dell'imprevedibilità della vita umana in effetti costituisce uno dei tovpoi della letteratura. Si tratta di un motivo sapienziale arcaico già presente in Archiloco (fr. 58D.):"toi'" qeoi'" tiqei'n a{panta...pollavki" d j ajnatrevpousi kai; mavl j eu\ bebhkovta"/uJptivou" klivnous j ", bisogna attribuire ogni cosa agli dei...spesso rovesciano e stendono supini anche quelli ben saldi.

L’ alternarsi di successi e insuccessi, benessere e malessere, costituisce il ritmo evidenziato da Archiloco:" animo, animo sconvolto da affanni senza rimedio/sorgi e difenditi dai malevoli, contrapponendo/il petto di fronte, piantandoti vicino agli agguati dei nemici/con sicurezza: e quando vinci non gloriartene davanti a tutti,/e, vinto, non gemere buttandoti a terra in casa./ Ma nelle gioie gioisci e nei dolori affliggiti/non troppo: riconosci quale ritmo governa gli uomini" (fr.128 West).

Ne troviamo un'eco nei Malavoglia di Verga: "Lasciò detto il povero nonno, il riso e i guai vanno a vicenda" (capitolo VIII).
Padron 'Ntoni sapeva anche certi motti e proverbi che aveva sentito dagli antichi, perché il motto degli antichi mai mentì" (capitolo 1). Gli antichi per i Siciliani, soprattutto per quelli della Sicilia orientalr, sono sempre anche i Greci.

Il topos del resto non manca nella cultura orientale: "Ma proprio come nel classico taoista del Tao Te Ching, quando la fortuna di un uomo tocca il fondo finalmente le cose cominciano a cambiare"[1].

Anche Sofocle denuncia questa insicurezza: nei suoi drammi si trova più volte l'immagine dell'altalena fatale:" nell'Esodo dell'Antigone il messo sentenzia:"tuvch ga;r ojrqoi' kai; tuvch katarrevpei - to;n eujtucou'nta to;n te dustucou'nt j ajeiv (vv.1157 - 1158), la sorte infatti raddrizza e la sorte butta giù/ il fortunato e il disgraziato via via.
 Nell'Edipo re il coro chiede ad Apollo:"intorno a te ho sacro timore: che cosa, o di nuovo/o con il volgere delle stagioni ("peritellomevnai" w{rai"") un'altra volta/effettuerai per me?"(vv. 155 - 157). In questo scorrere rapido dei giorni, nel girare vorticoso delle stagioni, avvengono mutamenti continui e alcune cose si ripetono, ma altre accadono inopinatamente.
Gli ultimi versi del dramma contengono questa sentenza: sicché, uno che sia nato mortale, non ritenga felice nessuno,/considerando quell'ultimo giorno a vedersi, prima che/abbia passato il termine della vita senza avere sofferto nulla di doloroso ("pri;n aj;n /tevrma tou' bivou peravsh/ mhde;n ajlgeino;n paqwvn", Edipo re, vv.1528 - 1530).
L'imprevedibilità del futuro è denunciata anche da Deianira all'inizio delle Trachinie (vv. 1 - 3) :" esiste un antico detto ("Lovgo" me;n e[st j ajrcai'o"") diffuso tra gli uomini: che non puoi conoscere la vita di un uomo prima che uno sia defunto, né se per lui sia stata buona o cattiva".
Più avanti la Nutrice afferma addirittura che è sconsiderato (mavtaiovv" ejstin), v. 945 chi conta su due giorni o anche più: infatti non c'è il domani se prima uno non ha passato l'oggi.
 Queste parole ribadiscono gli insegnamenti delfici del conoscere, anche attraverso se stessi, la natura umana, i suoi limiti e pure le sue connessioni con il cosmo, per rifuggire ogni eccesso, ogni rottura dell'equilibrio e dell'armonia.
In ogni caso, è la conclusione delle Trachinie:"koujde;n touvtwn o{ ti mh; Zeu" "(1278), nulla di questo che non sia Zeus.

Pindaro afferma che Tantalo era l'uomo più amato dagli dèi che lo onoravano frequentando la sua mensa; egli però non seppe smaltire la grande felicità:" se mai i protettori dell'Olimpo onorarono un uomo/mortale, era Tantalo questo; però/ di fatto non seppe/digerire la grande felicità, e con la sazietà attirò/un accecamento pieno di prepotenza, e su di lui/il padre sospese un macigno pesante,/che egli desidera sempre stornare dal capo/ed erra lontano dalla gioia. (Olimpica I, vv. 54 - 61).
 "E' il culmine della felicità quando gli dèi si assidono alla nostra tavola e portano i loro doni - ma da quel momento non è possibile che tramontare. "I venti che soffiano sulle cime incessantemente mutano. La felicità non dura a lungo ai mortali, quand'essa viene nella sua pienezza" (PindaroPiticheIII, 104 - 106)"[2].

Poiché la vita umana è imprevedibile, non si può chiamare felice né fortunato chi non l'ha ancora compiuta tutta: è una constatazione della mutevolezza e imprevedibilità della tuvch, una forza soprannaturale che durante l'età ellenistica acquisterà ogni credito e sostituirà tutti gli dèi dell'Olimpo e degli Inferi.
 “Cosa sa l’uomo della vita? Niente di reale. Viviamo tra figure stereotipate, simili a cartoline illustrate”[3].

Aristofane nella Lisistrata echeggia questo locus in chiave parodica: “ h\ povll j a[elpt j e[nestin ejn tw'/ makrw'/ bivw/ " (v. 256) davvero in una lunga vita ci sono molte cose impreviste. Infatti le donne "odiose a Euripide e a tutti gli dèi", come le definisce il corifèo (v. 283) hanno occupato l'Acropoli e intendono fare lo sciopero del sesso per impedire la continuazione della guerra. La parola d'ordine lanciata dalla loro "capa" Lisistrata è :"ajfekteva toivnun ejstivn hJmi'n tou' pevou""(v. 124), bisogna astenersi dal bischero. 
Nelle Rane il personaggio Euripide recita i primi due versi della sua Antigone che non ci è arrivata: "Edipo dapprima era un uomo felice" (v. 1182)..."ma poi divenne viceversa il più infelice dei mortali" (v. 1187). Ogni giorno infatti è assolutamente diverso dal precedente. Soprattutto per chi ricerca. “Edipo è l’uomo della ricerca, colui che interroga, indaga. Da quando ha lasciato Corinto per partire all’avventura, è anche un uomo per cui l’avventura della riflessione, dell’indagine è sempre una strada da tentare. Edipo non si ferma”[4].

Concetti analoghi si trovano in diversi drammi euripidèi.


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[1] Qiu Xiaolung, Quando il rosso è nero, p 63.
[2]M. Cacciari, L'arcipelago, p. 53.
[3]Sándor Márai, La sorella, p. 39.
[4]J. P. Vernant, L’Universo, gli dèi, gli uomini, p. 167.

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