Strasburgo |
Josiane: la pulzella di Strasburgo
Mi accorsi che una ragazzina francese, conosciuta solo di
vista e di nome, una diciottenne piuttosto bellina e fine, Josiane[1], fresca come una fiore di mandorlo in marzo, mi stava
guardando con occhi splendenti di simpatia. L’amabile esca del suo sguardo
crepitava di vita e di grazia vivace. Mi sorrideva quasi ammiccando.
“Per niente timida - pensai
- sana come un pesce, liscia come una susina, lieta e graziosa al pari di una
cinciallegra passeriforme, e magari pure lasciva. Voglio dirle che se non
mi amerà morirò come una farfalla cui sono sono state sciupate le ali. Non si
può impedire al sole di sorgere”. Ero mezzo brillo e volevo provarci. Volevo
vedere a quale punto poteva arrivare la ricchezza d’inventiva della mia vita.
Continua a seguirmi lettore: ti piacerà.
Il diavolo mi suggeriva che
difficilmente la bellezza si accompagna alla verecondia.
Attirato e incuriosito, andai
dalla fanciulla fresca e radiosa. Le domandai perché mi osservasse e sorridesse
così simpaticamente. Glielo chiesi in modo molto diretto. Fisicamente mi
sentivo in gran forma, affettivamente e sessualmente avevo le spalle coperte
dalla bella donna matura e pronta a fruttificare: potevo rischiare anche un
secco rifiuto dalla luccicante pulzella che, in tal caso, avrei considerato una
ragazzetta incosciente, incompiuta, insomma una “grazioso prefigurazione di
femmina umana”.
Nove anni di differenza non
bastano a fare scattare la comprensione del padre verso la figlia.
La ragazza rispose molto
benevolmente che voleva conoscermi poiché amava il greco e il latino e aveva
saputo che li avevo studiati nell’antica Università di Bologna.
“Sei molto carina - le dissi - sei
l’Afrodite di Debrecen”. Poi le chiesi: “Vuoi ballare con me?”.
“Pourquoi pas?”, fece lei
con un filo di voce, si alzò, e mi pose le braccia intorno alle spalle.
Bellina, bellina assai, odorosa. Rosellina odorosa.
Ma avevamo poco da dirci:
il suo amore per le lettere classiche era più velleitario che altro, data
l’età, e io, dopo due anni di insegnamento alle medie e tre mesi di servizio
militare, stavo dimenticando il latino e ancora di più il greco.
Dicevamo luoghi comuni infarinati
di classicità. Però lei era davvero gradevole, gentile, volteggiava elegante
come una rondine. Accordava con me l’amabile cadenza dei piedi, delle mani, dei
sorrisi. Mi attraeva in modo straordinario.
Forse desideravo una figlia
dopo avere trovato la madre. Un virgulto odoroso di carne, aulentissima,
lievitante, preziosa. Il desiderio della donna - figlia si sarebbe ripetuto
nella mia perpetua carenza di progenie.
Soprattutto dopo l’abortimento
della bambina che aspettavo da Päivi, la finnica amata nel 1974. Ma forse
cominciavo a sentirmi attirato dalle femmine giovani, le donne figlie per
succhiare come un vampiro la loro gioventù e ritardare il più possibile l’atroce senectus,
e l’orribile, inevitabile exitus. Dopo una vita folta comunque
di peripezie.
Dopo qualche minuto di ballo, ci
sentimmo stranamente legati da qualche arcano e ambiguo vincolo culturale, o
razziale, o scolastico: la fanciulla di Strasburgo si sarebbe iscritta a
lettere classiche in autunno. O forse, più semplicemente, ci piacevamo. Fatto
sta che lei mi guardava negli occhi con un sorriso per lo meno accattivante,
mentre io le sussurravo lusinghe come “tu sei intelligente, raffinata, bella,
colta, profumata, preziosa”. L’aroma di quel dolcissimo, giovane corpo in
effetti mi inebriava.
Lei rilanciava, dicendo che mi
aveva visto correre a mezzogiorno, nello stadio, classicamente, cioè quasi
nudo, abbronzato, leggero e potente, con un ritmo e una forza che le
ricordavano quelli degli agonisti semidivini celebrati dalla dorica lira di
Pindaro. Mi schermivo dicendo: Velox sum? Et equi.
Probabilmente i suoi complimenti
sperticati corrispondevano alle spacconate o alla falsa modestia con le quali
cercavo di affascinarla. Non ricordo. Anche io la adulavo, poiché le lusinghe
funzionano sempre, perfino con le monache vergini e sante.
Lei sorrideva compiaciuta e
mi guardava negli occhi. Ma probabilmente, più che attirata dalla mia persona e
da quanto facevo o dicevo, la ragazzina era stuzzicata dal pensiero, caro alla
sua vanità adolescenziale, che l’adulto già accoppiato con una donna coetanea,
il professore bravo, intelligente e sportivo quale nella sua ingenuità credeva
che io fossi, travolto dalle sue grazie fiorenti, dai suoi vezzi deliziosi,
arrivasse a umiliare la bella compagna e se stesso. Probabilmente era illibata
e, ad una mia proposta diretta di sesso avrebbe opposto un rifiuto secco,
magari pure sdegnato. Lo immaginai, e anche per questo evitai il tentativo di
affondo, nonostante sentissi montare la fregola. Era tutto un gioco, o una
commedia e la magistra ludi, la regista era lei. Aspettavo che si
scoprisse. In qualche maniera lo fece.
A un tratto mi domandò se cercavo
una figlia.
“Non ancora”, risposi in francese
usando alcune tra le poche parole che conoscevo di questo idioma parente del
nostro. Tanto tempo fa perdemmo un impero ma ne conquistammo un altro con la
lingua latina.
La sua domanda non mi aveva
smontato del tutto e avevo cominciato a parlarle dell’orto botanico e degli
alberi strani, dei fiori rari dal nome latino scritto in un cartello che
forse, per certam lunam sub luce benigna, poteva essere letto con
piacere da noi due, amantissimi della classicità.
Ubriacato dall’aulente fanciulla,
e pure dalle palinke all’albicocca, rischiavo di abboccare la ghiotta,
saporitissima esca della sua gioventù, di sfondarmi così il palato ingordo con
l’amo, e di perdere la donna che avevo convinto a contraccambiare il mio amore
in nome della felicità e della crescita umana di entrambi. Il mio demone buono
mi trattenne, ma la tentazione fu grande. Con la testa confusa sotto il cielo
stellato mi domandavo se era il caso di stringermi forte al petto la graziosa
che da parte sua aveva accostato la sua incantevole faccia alla mia. Se mi
vedeva come un padre forse le mancava tale figura. Intanto Ezio e il povero
Alfredo che ancora oggi compiango, da dietro le spalle della francesina mi
facevano segno di non lasciarmela sfuggire, tanto le donne tradiscono sempre,
da bipedi pantere quali appunto sono tutte o quasi, e noi dobbiamo adeguarci.
Quindi i due compari, attempatelli
e ancora studenti, scoprendo denti affamati, battevano i pugni sul tavolo,
piegavano i colli e abbassavano le teste, compiaciuti del ritmo, quasi certi di
rafforzare e rendere logica la loro proposta di libertinaggio tambureggiando
diabolici ditirambi nella notte dell’estate già tarda. Una megera si mise a
lanciare celie nauseabonde, infernali. Altri indirizzavano complimenti
pompieristici convenienti alla coppia danzante che sprizzava letizia e metteva
in mostra spumeggianti sorrisi.
Mentre mi domandavo se
tradire Elena, posto che la fanciulla mi si fosse concessa, mi avrebbe
procurato maggiori piaceri o rimorsi, a un tratto sulla terrazza del casinetto
del tennis, sotto la luna incerta, nel fosco bagliore di una luce quasi
maligna, apparve la donna matura: aveva il volto stanco e l’aria infelice, come
se fosse disgustata o davvero malata.
Come vide me e i due sodali che
mi aizzavano diabolicamente, il suo volto assunse un pallore spettrale, quasi
fosforescente.
giovanni ghiselli
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1La incontrerò
di nuovo tre anni più tardi nel 1974, più matura e interessante come racconto
in un episodio della storia di Päivi. Ma non cercai di afferrare nemmeno la
seconda occasione. Neppure il numero di telefono le chiesi. E ne sono pentito.
Mi piacerebbe poterti parlare adesso cara ragazza dei primi anni Settanta. Anni
belli. Ora dovresti averne 65 più o meno. Ti immagino ancora piacente. I belli
rimangono tali per tutta la vita. Se pure sei ingrossata, noli timere eventum
formae tuae: anche io, sebbene mi difenda con le unghie e con i denti sono
meno fiorente di allora. In compenso sono diventato molto più bravo nelle
nostre materie. Le ho insegnate per 40 anni in licei e università tra Imola,
Bologna, Bolzano e Urbino. Ora tengo conferenze in varie città d’Italia. Quando
mi rivedo nelle foto di quell’estate divento addirittura geloso di quel gianni
in gran forma capace di farsi amare da Elena e ammirare da te Josiane cara.
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