E’
la smania del profitto che porta veleni, infelicità e talora pure la
morte all’uomo incontentabile.
Seneca
nel De ira ricorda
che i re incrudeliscono e compiono rapine e distruggono città
costruite con lunga fatica di secoli per cercare oro e argento dentro
le ceneri delle città: "reges
saeviunt rapiuntque et civitates longo saeculorum labore constructas
evertunt ut aurum argentu mque in cinere urbium scrutentur"
(III, 33, 1). Costoro sono infelici e rendono infelici molti altri
esseri umani e violentano la natura per giunta.
Nel
primo coro dell'Agamennone di Seneca le donne di
Micene notano che la Fortuna/ fallax (vv. 57 - 58)
inganna con grandi beni collocandoli troppo alti in
praecipiti dubioque (v. 58), in luogo scosceso e
insicuro. Infatti le cime sono maggiormente esposte alle
intemperie, ai colpi della Fortuna, e predisposte alle cadute
rispetto alle posizioni medie: "quidquid in altum Fortuna
tulit,/ruitura levat./Modicis rebus longius aevum est;/felix mediae
quisquis turbae/sorte quietus" (Agamennone, vv. 101 -
104), tutto ciò che la Fortuna ha portato in alto, per atterrarlo lo
solleva. E' più lunga la vita per le creature modeste: fortunato
chiunque sia della folla mediana contento della sua sorte.
Sentiamo Massimo Cacciari: "Questa colpa è iscritta tragicamente nella
costituzione del nostro esserci, fino a farci apparire gli
infelicissimi tra tutti i viventi. Dirà l’amarissimo porco
incontrato dall’Asino machiavellico (Asino d’oro, che
attraverso la sofferenza viene iniziato al duro sapere, non afflitto
dalla ‘asinità’ bruniana): “Non basta quel che ’n terra si
ricoglie, /ché voi entrate a l’Oceano in seno/ per potervi saziar
de le sue spoglie” (L’Asino, VIII, vv. 100 - 102).
La nostra natura è la vera matrigna, la sua
ontologica stultitia che mai ti rende di alcuna
natura contento né sazio”. Questa colpa è
iscritta tragicamente nella costituzione del nostro esserci, fino a
farci apparire gli infelicissimi tra tutti i viventi” ( La
mente inquieta. Saggio su l’Umanesimo, capitolo quarto,
p. 58).
Ora leggiamo la conclusione
del porco nell’Asino d’oro Machiavelli.
Dice dunque il porco dell’uomo
“Nessun altro animal si
trova ch’abbia
Più fragil vita e di viver
più voglia,
più confuso timore o maggior
rabbia.
Non dà un porco a l’altro
porco doglia,
l’un cervo a l’altro;
solamente l’uomo
l’altr’uomo ammazza,
crocifigge e spoglia.
Pens’or come tu vuoi ch’io
ritorni uomo,
sendo di tutte le miserie
privo,
ch’io sopportava nentre che
fui uomo
E s’alcuno infra gli uomin
ti par divo
Felice e lieto, non gli creder
molto.
Ché in questo fango più
felice vivo,
dove senza pensier mi bagno e
volto” (L’asino d’oro, VIII vv.139 - 151)
Sicché il maiale che è stato
uomo non vuole tornare a esserlo.
Rileggiamo
anche Parini il quale scrive contro una aristocrazia
che stava perdendo la sua funzione e il suo potere come ora sta
accadendo alla piccola borghesia:
“e ben fu dritto
Se Cortes e Pizzarro umano
sangue
Non istimar quel ch’oltre
l’Oceàno
Scorrea le umane membra, onde
tonando
E fulminando, alfin
spietatamente
Balzaron giù da’ loro aviti
troni
Re Messicani e generosi
Incassi;
poiché nuove così venner
delizie,
o gemma de gli eroi, al tuo
palato!" ( Il Giorno, Il Mattino,vv 149 - 157)
Concludo citando Leopardi:
“…coverte
Fien di stragi l’Europa e
l’altra riva
Dell’atlantico mar, fresca
nutrice
Di pura civiltà, sempre che
spinga
Contrarie in campo le fraterne
schiere
Di pepe o di cannella o
d’altro aroma
Fatal cagione, o di melate
canne
O cagion qual si sia ch’ad
auro torni” (Palinodia al Marchese Gino Capponi”, 61 -
68).
Il Recanatese è il
Momus della sua età e si sente superiore ad essa
“Di questa età superba
che di vote speranze si
nutrica,
vaga di ciance e di virtù
nemica
tolta, che l’util chiede
e inutile la vita
quindi più sempre divenir non
vede
maggior mi sento”
” (Il pensiero
dominante , vv 61 - 65).
Ma la conclusione è quella
della Ginestra che invita gli uomini alla solidarietà:
“Nobil natura è quella
Che a sollevar s’ardisce
Gli occhi mortali incontra
Al comun fato,
e che con franca lingua,
nulla al ver detraendo,
confessa il mal che ci fu dato
in sorte;
quella che grande e forte
mostra
sé nel soffrir[1],
négli odi e l’ire
fraterne ancor più gravi
d’ogni altro danno, accresce
alle miserie sue
(…)
Tutti fra sé confederati
estima
Gli uomini, e tutti abbraccia
Con vero amor, porgendo
Valida e pronta ed aspettando
aita
Negli alterni perigli e nelle
angosce
Della guerra comune (La
ginestra, vv. 111 e ss.)
giovanni ghiselli
[1] Nell’Asino
d’oro leggiamo “si
debbe a’ colpi de la sua fortuna - voltar il viso di lagrime
asciutto” (86 - 87).
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