NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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giovedì 5 marzo 2020

Parlare senza leggere. Un presunto beneficio del virus che invero ha la corona del male



Parlare senza leggere per non perdere la memoria (Biden).
Un presunto beneficio del virus (De Masi a “Linea notte”)

Ieri sera (4 marzo 2020) si è visto in televisione (“Atlantide”) il candidato alle primarie Biden che leggeva un discorso di poche parole sul proprio progamma. Se le parole fossero state le sue, o se almeno avesse capito quelle scritte da un altro, non avrebbe avuto bisogno di leggerle. Se fossi un cittadino degli Stati Uniti voterei Bernie Sanders senza esitazione. Chi ha bisogno di leggere un appello agli elettori, non può avere alcuna capacità politica.

Si dice che non si deve perdere la memoria dei campi di sterminio o delle foibe. Giusto.

Tanto meno però, e questo non si dice mai, si deve perdere la memoria delle parole da dire nel parlare.
Si deve parlare senza leggere. Si legge, si impara e si scrive in solitudine monastica, certosina, prima di parlare in pubblico.

Nell’ultima trasmissione televisiva della serata (“Linea notte”) si parlava del virus che ci sta avvelenando la vita. C’era il sociologo De Masi.
Ha detto, almeno non letto, parole che a parer mio costituiscono la negazione di una buona didattica e pure un’offesa al dolore portato da questo virus la cui corona è  solo quella del male.
Ebbene l’ "esimio” professore “emerito” di sociologia ha detto che questo re della paura, del dolore e della morte “per fortuna” (sic!) ha portato anche un bene: ora le lezioni si possono fruire da casa.
Questa è una bestemmia perché la chiusura delle scuole è un male che si aggiunge al male siccome toglie ai ragazzi già reclusi nei telefonini ogni forma di socialità, di confronto vero, di attenzione attiva e partecipata.
Sì ma i professori, secondo l’anziano emerito, devono svecchiarsi e impadronirsi della tecnologia che conoscono meno dei loro studenti.
La tecnologia deve servire per studiare, non per parlare. Gli insegnanti che leggono parole magari proiettate come un filmino detto slide per nobilitare l'imbroglio-  non hanno imparato quello che leggono e non inducono ad apprenderlo. L’ho constatato. 

Personalmente come altri studiosi seri, vado alle mie conferenze con tanti fogli preparati qui a casa con i libri e il computer dove anche adesso sctrivo, ma siccome ci ho lavorato parecchio, ho impiegato tanto tempo rinunciando ad altre attività, e ho imparato faticando, non leggo i miei fogli: do loro un’occhiata per i titoli degli argomenti, poi parlo.
Chi ha assistito alle mie conferenze può confermarlo, o smentirlo se non mi vuole bene per le mie posizioni politiche o per invidia.
Ma basta con il personale.

Chiudo con un paio di testimonianze antiche contrario all’abuso di uno strumento che inficia la memoria. Sono parole paradossali ma contengono una parte di verità.
La scrittura viene denunciata come male da Platone nel mito del dio Theuth, cui il re dell’Egitto denuncia la negatività dell’invenzione che i Greci facevano risalire a Prometeo, con parole siffatte: “  Questa infatti produrrà dimenticanza nelle anime di coloro che l'hanno imparata, per incuria della memoria, poiché per fiducia nella scrittura, ricordano dall'esterno, da segni estranei, non dall'interno, essi da se stessi: dunque non hai trovato un farmaco della memoria ma del ricordo"( ou[koun mnhvmh~, alla; uJpomnhvsew~, favrmakon hu|re~, Fedro, 275a).
Pure i Drùidi del De bello gallico di Giulio Cesare (VI, 14) non vogliono fare uso sbagliato della scrittura, per la medesima ragione.
Leggiamo alcune parole e magari impariamole. Sarà facile se toccheranno la nostra sfera emotiva: "Magnum ibi numerum versuum ediscere dicuntur. itaque annos nonnulli XX in disciplina permanent. Neque fas esse existimant ex litteris mandare, cum in reliquis fere rebus, publicis privatisque rationibus, Graecis litteris utantur. Id mihi duabus de causis, instituisse videntur, quod neque in vulgum (sic!) disciplinam efferri velint neque eos, qui discunt, litteris confisos, minus memoriae studere; quod fere plerisque accidit, ut praesidio litterarum, diligentiam in perdiscendo ac memoriam remittant". Se qualcuno vuole la traduzione, me lo faccia sapere, gliela manderò, gratis ovviamente.
Ma prima provate a capire animo vestro 
Bologna 5 marzo giovanni ghiselli

p. s
in questi giorni ho dovuto, e forse dovrò ancora rinunciare alle mie conferenze, parlate non lette. Ma questo è un male, non un bene, uno dei tanti mali portati dal virus da esecrare in tutti i suoi effetti.

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