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lunedì 2 marzo 2020

La peste odiosissima

Michael Sweerts, Peste in un'antica città
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La peste dell’Edipo re di Sofocle, del  De rerum natura di Lucrezio e dell’Oedipus di Seneca.

La peste di Atene è stata presentata da Tucidide nel II libro in maniera più descrittiva e oggettiva
Virgilio nella Georgica III (478 sgg.) racconta la peste del Norico con la morte degli animali morbo caeli, per infezione del cielo.
 Ovidio nel segno del fantastico la peste di Egina (met. 7, 523 - 613), poi Seneca nell’Oedipus (52 - 101) sulla traccia dell’Edipo re di Sofocle, poi il Decameron di Bccaccio etc.
 Giuseppe Ripamonti[1] De pesteMediolani  quella del1630, poi Manzoni, quindi Camus.

La peste di Atene dunque venne dall’Egitto e seminò di cadaveri la terra di Cecrope.
Tutto il corpo si ammalava a partire dal capo
Atque animi interpres manabat lingua cruore (1149) la lingua interprete dell’animo stillava sangue
Oltre il male c’era l’angoscia  piena di ansia anxius angor  e i lamenti mischiati col pianto  (1158 - 9)
Questa iunctura denota anche la pena amorosa (III, 993).
 Tucidide la chiama megavlh talaipwriva (2, 49, 3) grande pena quella della peste.
Poi un singultus frequens (1160) che contraeva i nervi e le membra.
Quindi tutto il corpo pieno di ulcere simili a ustioni ulceribus quasi inustis (ulcus indica  pure la piaga amorosa). Poi un ardore interno bruciava viscere e ossa. Gli appestati si gettavano nei fiumi e nei pozzi per combattere l’arsura
Nec requies erat ulla malis defessa iacebant -  (1177) corpora . Mussabat tacito medicina timore  (1178). Esitava, era incerta la medicina. I malati erano terrorizzati.
Alla fine, un gelo saliva dalla pianta dei piedi, poi nari sottili, la punta del naso affilata, gli occhi infossati, le tempie scavate, la gelida pelle indurita, in ore iacens rictus  una fauce spalancata sovrapposta alla bocca.

Si pensi anche al rictus - (us) la fauce del v. 94 dell’Oedipus di Seneca , le fauci spalancate e insanguinate della Sfinge, dal volto che ringhia (ringor).
Edipo rivendica il proprio coraggio davanti al mostro_ “:
"Nec Sphinga coecis verba nectentem modis
fugi; cruentos vatis infandae tuli
rictus et albens ossibus sparsis solum
  " (v. 92 - 9a) io non sono fuggito davanti alla Sfinge che intricava le parole in ciechi stilemi, ho resistito davanti alle fauci spalancate e insanguinate della mostruosa profetessa e al suolo che biancheggiava di ossa sparpagliate  



Nec requies erat nulla mali (1177). Gli ammalati non dormivano ma volgevano senza posa lumina oculorum expertia somno (1181).
Furiosus vultus et acer (1184) lo sguardo demente e feroce, plenaeque sonoribus aures (1185), creber spiritus aut ingens raroque coortus (1186), il respiro affrettato o lento e profondo,
Poi c’è uno il sudoris splendidus umor, il liquido del sudore lucente  madens per collum ((1187) grondante giù per il collo, tenuia sputa minuta croci contacta colore - salsaque per fauces rauca vix edita tussi -  (1188 - 9), sputi sottili sminuzzati macchiati di color giallo, e salati a stento emessi per le fauci da una tosse rauca. 
   
Cfr. generazioni spietate dell’Edipo re: “E la città muore senza tenere più conto di questi/e generazione prive di pietà –nhleva - giacciono/ a terra portatrici di morte senza compassione (vv180 - 182 della Parodo).

Le mani tremavano, i nervi si contraevano e non tardava a  risalire il freddo dalla pianta dei piedi – non dubitabat - a pedibusque minutatim succedere frigus (1190 - 1).
Poi nell’ora suprema “compressae nares, nasi primoris acumen - tenue, cavati oculi, cava tempora, frigida pellis - duraque , in ore iacens rictum , frons tenta manebat” ( 1192 - 1195) le nari sottili, la punta del naso affilata, gli occhi infossati, le tempie incavate, fredda la pelle e indurita, nella bocca cascante la fauce aperta, la fronte rimaneva tirata

Cfr. Enrico V  (1599) con la morte di Falstaff raccontata dall’ostessa: “his nose (nasus e nareswas as sharp as a pen (penna), aveva il naso affilato come una penna, 
So a’bade me lay more clothes on his feet - pouvς - pesI put my hand - palma into the bed and felt them, and they were as cold - congeal - gelidus - as any stone - stiva - pietruzza; then I felt to his knees - govnu - genu - , and so upward, and upward, and all was as cold as any stone(II, 3, 20 - 25). Allora mi ha detto di mettergli altre coperte sui piedi…

All’ottavo o al nono giorno gli infermi restituivano la vita  (1198).
La stirpe degli uccelli non mangiava quei cadaveri, ma balzava lontano per fuggirne il fetore aut procul absiliebat ut acrem exiret odorem (1217)
Oppure se li assaggiava, moriva.
Anche le altre bestie morivano. Cum primis fida canum vis (1222)
La gente non era più capace di reagire.
I più non visitavano i malati per paura della morte, ma poi quando si ammalavano gli incuranti, morivano a loro volta non curati, derelitti e privi di aiuto con una morte vergognosa e infame..
Chi rimaneva vicino ai propri cari per pudor, incorreva nel contagio.
Optimus hoc leti genus ergo quisque subibat (1246) tutti i migliori morivano così.
Morivano dentro le mura ,ma anche in campagna pastor et armentarius, il guardiano di armenti,  et robustus item curvi moderator aratri (1253) e la guida robusta dell’aratro ricurvo.
 Dentro i modesti abituri madri, padri e figli giacevano ammucchiati.

Come nell’incesto.
Nec ulla pars immunis exitio vacat:/sed omnis aetas pariter et sexus ruit,/iuvenesque senibus iungit, et gnatis patres/funesta pestis" (Oedipus, vv. 52 - 55), nessuna parte è esente e libera dalla rovina: ma ogni età e sesso senza distinzione cade a precipizio, e la pestilenza funesta unisce i giovani ai vecchi, ai figli i padri.
Cfr. Sofocle,  Edipo re 179: w|n povli" ajnavriqmo" o[llutai, e la città muore senza tenere più conto di questi.

M. Bettini in un suo articolo su "Dioniso" indica delle analogie tra l'incesto, l'arcobaleno, l'enigma e la peste. Le vedremo via via. Sono intrecci, tutti presenti nell'Oedipus, i quali mescolano e confondono entità diverse, che dovrebbero rimanere divise:"Effetto della malattia è appunto quello di confondere, di identificare quello che altrimenti dovrebbe restare diviso. Non c'è più distinzione di età o di sesso: i giovani muoiono contemporaneamente ai vecchi, i figli contemporaneamente ai padri. Nella descrizione della peste, Seneca sembra dunque applicare lo stesso principio codificato altrove da Aristotele per l'enigma: sunavyai ajduvnata. Come l'incesto ovviamente, come l'arcobaleno"[2]. Precedentemente (p. 145) Bettini aveva utilizzato un passo di Aristotele per  chiarire il nesso tra enigma e incesto:"Aristotele[3], definendo la aijnivgmato" ijdeva, dice che il procedimento dell'enigma consiste nel "parlare di cose vere legando fra loro adynata ", cioè cose che non possono (almeno in apparenza) esser legate fra loro. L'incesto, naturalmente, verifica per l'appunto questo principio. Come si può essere contemporaneamente "padre" e "fratello" dei propri figli?".
Aristotele considera pregio del linguaggio l'essere chiaro e non pedestre. Bisogna evitare dunque l'enigma la cui caratteristica (ijdeva) è il mettere insieme delle assurdità dicendo cose vere (to; levgonta uJpavrconta ajduvnata sunavyai , Poetica 1458a).
 Dunque  peste, l'incesto, l'enigma e l'arcobaleno producono adynata:" Il fatto è che l'incesto in quanto produttore di adynata, in quanto osa congiungere e  confondere ciò che deve restare rigidamente distinto, apre una partita sciagurata: la sua regola è una sola, la confusione. Chi osa connettere in sé due ruoli che devono restare divisi, apre la via al sole notturno, all'aurora del vespero: così come apre la via alla peste, cancellatrice di ogni opposizione. La peste cresce sugli adynata, si nutre di adynata"[4].


Il contagio secondo Lucrezio si diffuse dalla campagna nella città dove il contagio veniva portato da una folla sfinita affluita da tutte le zone già infette
Nec minimam partem ex agris is maeror in urbem
confluxit, languens quem contulit agricolarum
copia conveniens ex omni morbida parte (1259 - 1261)
Morivano dappertutto, presso le fonti, nei templi
Non si teneva più in onore il culto divino né c’era il timore dei numi: praesens dolor exsuperabat (1277), il dolore presente vinceva.

Cfr. (omnia vincit Amor, et nos cedamus amori " Ecloga X, v. 69,
omnia vincit dolor et nos cedamus dolori

 I funebri riti erano sconvolti. Mettevano i morti sulle cataste erette per altri appiccandovi il fuoco e lottando tra loro

Cfr. Seneca, Oedipus. Nel Prologo edipo descrive la peste:  I lutti si accumulano sui lutti[5] e per i disgraziati, come per i delinquenti, cadono i valori forti della tradizione e della vita ordinata. Anche nella morte irrompe la confusione:"
tum propria flammis corpora alienis cremant
diripitur ignis nullus est miseris pudor.
Non ossa tumuli sancta discreti tegunt;
arsisse sat est " (v. 65 - 67) allora bruciano i cadaveri dei propri familiari su roghi altrui, si ruba il fuoco,   i disgraziati non hanno più alcun pudore. Non ci sono tombe distinte[6] a coprire le ossa sacre; basta averle bruciate.
In questa peste descritta da Lucrezio la disgrazia improvvisa e la miseria indussero a orribili cose  "multaque <res> subita et paupertas horrida suasit./ Namque suos consanguineos aliena rogorum - insuper exstructa ingenti clamore locabant "[7]. infatti con alto clamore gettavano i cadaveri dei congiunti morti sulle cataste erette per i roghi degli altri. Quindi appiccano il fuoco “multo cum sanguine saepe - rixantes” (1285 - 1286) lottando in zuffe cruente.

Nella peste di Egina descritta da Ovidio c'è lo stesso tipo di confusione per la medesima caduta di foedera:" Et iam reverentia nulla est,/deque rogis pugnant alienisque ignibus ardent" (Metamorfosi, VII, 609 - 610), non c'è più alcuna vergogna, lottano per i roghi, e ardono con i fuochi degli altri.

Tucidide racconta che molti si volsero a tipi di sepoltura indecenti per mancanza di oggetti necessari, dato il gran numero di morti: infatti prevenendo quelli che avevano ammucchiato la pira, alcuni ci mettevano sopra i propri  morti, poi davano fuoco, altri vi gettavano  un cadavere che già ardeva, quello di un loro parente. Il lato più terribile della malattia era lo scoraggiamento  deinovtaton de; panto;" h\n tou1 kakou'  h[ te ajqumiva  (II, 52, 4)

Quando il male divenne troppo violento (ujperbiazomevnou ga;r tou' kakou') ,  gli uomini caddero nell’incuria del santo e del divino ejς oligwrivan ejtravponto kai; iJerw̃n kai; oJsivwn oJmoivwς. (II, 52, 3)

Chiudo per ora - sperando del resto che l’attualità dell’argomento venga meno - con la peste odiosissima (v. 28) descritta all’inizio dell’Edipo re di Sofocle. In questo caso si tratta di un loimov" anche morale, associato alla sterilità della terra e delle donne, una peste che rende desolata la città di Tebe e la sua terra e dipende da un mivasma, una contaminazione che deriva dall’u{bri" umana,  dall’empietà per la quale “tramontano gli dèi”

Copio la mia traduzione dei vv. 1 - 39 dell’Edipo re di Sofocle.

Edipo
O figli, nuova stirpe dell'antico Cadmo 1
quali seggi mai sono questi dove state seduti
con i supplici rami incoronati?"
la città è piena tanto del fumo dei sacrifici,
quanto di preghiere, quanto di gemiti 5
ed io ritengo giusto ascoltare queste disgrazie, o figli, non da messaggeri,
da altri, e sono venuto qua in persona,
io noto a tutti, chiamato Edipo.
Su vecchio, racconta, poiché sei adatto
a parlare per questi: in quale modo siete disposti: 10
avendo concepito timore oppure amore? Poiché vorrei bastare
io ad aiutarvi in tutto: infatti sarei disumano
se non avessi compassione di tale seduta”.

Sacerdote
 Edipo, che sei padrone della mia terra
tu vedi noi,di quale età siamo seduti 15
davanti ai tuoi altari, gli uni senza ancora la forza
di volare a lungo, gli altri appesantiti dalla vecchiaia
 sacerdote io sono  di Zeus; quelli poi sono stati scelti
tra i giovani ancora celibi, e il resto del popolo incoronato
sta seduto nelle piazze, davanti ai due templi di Pallade 20
presso la cenere profetica dell'Ismeno.
La città infatti, come anche tu stesso vedi,troppo
già ondeggia, e di sollevare il capo
dai gorghi del fluttuare insanguinato non è più capace
e si consuma nei calici infruttuosi della terra, 25
si consuma nelle mandrie dei buoi al pascolo, e nei parti
senza figli delle donne; e intanto, il dio portatore di fuoco,
scagliatosi, si avventa sulla città, peste odiosissima,
dalla quale è vuotata la casa di Cadmo, e il nero
Ades si arricchisce di gemiti e lamenti. 30
Senza renderti dunque uguale agli dei,
io e questi fanciulli sediamo supplici
però ti giudichiamo il primo tra gli uomini nei casi della vita
e nei rapporti con i demoni
tu che, venuto alla città di Cadmo, hai fatto cessare 35
il tributo della cantatrice dura che pagavamo,
e questo, senza sapere da noi nulla di più,
e senza avere ricevuto insegnamenti, ma con l'aiuto di un dio
sei detto e sei ritenuto quello che ci ha raddrizzato la vita. 39

Bologna 2 marzo 2020 giovanni ghiselli




[1] 1573 - 1643.
[2]  M. Bettini, L'arcobaleno, l'incesto e l'enigma a proposito dell'Oedipus di Seneca, "Dioniso", 1983, p. 148.
[3] Poet. , 1458a, 26.
[4] M. Bettini op. cit. pp. 148 - 149.
[5] "Tanto nella commedia quanto nella tragedia assistiamo a una distruzione di forme e di persone; dobbiamo meditare su Shylock e Lear, le cui energie negative possono trovare appagamento solo nell'auto - annichilimento". H.Bloom, La saggezza dei libri, p. 139.
[6] Ancora la confusione.
[7] De rerum natura, VI, 1282 - 1284.

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