Michael Sweerts, Peste in un'antica città |
La
peste dell’Edipo re di Sofocle, del De
rerum natura di Lucrezio e dell’Oedipus di
Seneca.
La
peste di Atene è stata presentata da Tucidide nel II libro
in maniera più descrittiva e oggettiva
Virgilio nella Georgica III
(478 sgg.) racconta la peste del Norico con la morte degli
animali morbo caeli, per infezione del cielo.
Ovidio nel
segno del fantastico la peste di Egina (met.
7, 523
- 613),
poi Seneca nell’Oedipus (52
- 101)
sulla traccia dell’Edipo
re di Sofocle,
poi il Decameron di Bccaccio etc.
La
peste di Atene dunque venne dall’Egitto e seminò di cadaveri la
terra di Cecrope.
Tutto
il corpo si ammalava a partire dal capo
Atque
animi interpres manabat lingua cruore (1149) la lingua
interprete dell’animo stillava sangue
Oltre
il male c’era l’angoscia piena di ansia anxius
angor e i lamenti mischiati col pianto (1158
- 9)
Questa iunctura denota
anche la pena amorosa (III, 993).
Tucidide
la chiama megavlh
talaipwriva (2,
49, 3) grande pena quella della peste.
Poi
un singultus frequens (1160) che contraeva i nervi e
le membra.
Quindi
tutto il corpo pieno di ulcere simili a ustioni ulceribus
quasi inustis (ulcus indica pure la
piaga amorosa). Poi un ardore interno bruciava viscere e ossa. Gli
appestati si gettavano nei fiumi e nei pozzi per combattere l’arsura
Nec
requies erat ulla malis defessa iacebant
- (1177) corpora . Mussabat
tacito medicina timore (1178). Esitava, era incerta la
medicina. I malati erano terrorizzati.
Alla
fine, un gelo saliva dalla pianta dei piedi, poi nari sottili, la
punta del naso affilata, gli occhi infossati, le tempie scavate, la
gelida pelle indurita, in ore iacens rictus una
fauce spalancata sovrapposta alla bocca.
Si
pensi anche al rictus - (us) la
fauce del v. 94 dell’Oedipus di Seneca , le fauci
spalancate e insanguinate della Sfinge, dal volto che ringhia
(ringor).
Edipo
rivendica il proprio coraggio davanti al mostro_ “:
"Nec
Sphinga coecis verba nectentem modis
fugi;
cruentos vatis infandae tuli
rictus et
albens ossibus sparsis solum
"
(v. 92
- 9a)
io non sono fuggito davanti alla Sfinge che
intricava le parole in ciechi stilemi, ho resistito davanti alle
fauci spalancate e insanguinate della mostruosa profetessa e al suolo
che biancheggiava di ossa sparpagliate
Nec
requies erat nulla mali (1177). Gli ammalati non dormivano
ma volgevano senza posa lumina oculorum expertia
somno (1181).
Furiosus
vultus et acer (1184) lo sguardo demente e
feroce, plenaeque sonoribus aures (1185), creber
spiritus aut ingens raroque coortus (1186), il respiro
affrettato o lento e profondo,
Poi
c’è uno il sudoris splendidus umor, il liquido del
sudore lucente madens per collum ((1187)
grondante giù per il collo, tenuia sputa minuta croci
contacta colore - salsaque
per fauces rauca vix edita tussi -
(1188 - 9), sputi
sottili sminuzzati macchiati di color giallo, e salati a stento
emessi per le fauci da una tosse rauca.
Cfr.
generazioni spietate dell’Edipo re: “E
la città muore senza tenere più conto di questi/e generazione prive
di pietà –nhleva - giacciono/
a terra portatrici di morte senza compassione (vv180
- 182 della Parodo).
Le
mani tremavano, i nervi si contraevano e non tardava a risalire
il freddo dalla pianta dei piedi – non dubitabat
- a pedibusque minutatim succedere frigus (1190
- 1).
Poi
nell’ora suprema “compressae nares, nasi primoris acumen
- tenue, cavati oculi, cava tempora, frigida pellis
- duraque , in ore iacens rictum , frons tenta manebat”
( 1192 - 1195) le nari sottili, la
punta del naso affilata, gli occhi infossati, le tempie incavate,
fredda la pelle e indurita, nella bocca cascante la fauce aperta, la
fronte rimaneva tirata
Cfr. Enrico
V (1599) con la morte di Falstaff raccontata
dall’ostessa: “his nose (nasus e nares) was
as sharp as a pen (penna), aveva il naso affilato
come una penna,
So
a’bade me lay more clothes on his feet
- pouvς - pes: I
put my hand - palma into
the bed and felt them, and they were as cold
- congeal
- gelidus
- as any stone
- stiva - pietruzza;
then I felt to his knees -
govnu - genu
- , and so upward, and
upward, and all was as cold as any stone” (II,
3, 20 - 25). Allora
mi ha detto di mettergli altre coperte sui piedi…
All’ottavo
o al nono giorno gli infermi restituivano la vita (1198).
La
stirpe degli uccelli non mangiava quei cadaveri, ma balzava lontano
per fuggirne il fetore aut procul absiliebat ut
acrem exiret odorem (1217)
Oppure
se li assaggiava, moriva.
Anche
le altre bestie morivano. Cum primis fida canum vis (1222)
La
gente non era più capace di reagire.
I
più non visitavano i malati per paura della morte, ma poi quando si
ammalavano gli incuranti, morivano a loro volta non curati, derelitti
e privi di aiuto con una morte vergognosa e infame..
Chi
rimaneva vicino ai propri cari per pudor, incorreva nel
contagio.
Optimus
hoc leti genus ergo quisque subibat (1246) tutti i migliori
morivano così.
Morivano
dentro le mura ,ma anche in campagna pastor et armentarius,
il guardiano di armenti, et robustus item curvi
moderator aratri (1253) e la guida robusta dell’aratro
ricurvo.
Dentro
i modesti abituri madri, padri e figli giacevano ammucchiati.
Come
nell’incesto.
Nec
ulla pars immunis exitio vacat:/sed omnis aetas pariter et sexus
ruit,/iuvenesque senibus iungit, et gnatis patres/funesta pestis"
(Oedipus, vv. 52 - 55), nessuna
parte è esente e libera dalla rovina: ma ogni età e sesso senza
distinzione cade a precipizio, e la pestilenza funesta unisce i
giovani ai vecchi, ai figli i padri.
Cfr.
Sofocle, Edipo
re 179: w|n
povli" ajnavriqmo" o[llutai,
e la città muore senza tenere più conto di questi.
M.
Bettini in un suo articolo su "Dioniso" indica delle
analogie tra l'incesto, l'arcobaleno, l'enigma e la peste. Le vedremo
via via. Sono intrecci, tutti presenti nell'Oedipus,
i quali mescolano e confondono entità diverse, che dovrebbero
rimanere divise:"Effetto della malattia è appunto quello di
confondere, di identificare quello che altrimenti dovrebbe restare
diviso. Non c'è più distinzione di età o di sesso: i giovani
muoiono contemporaneamente ai vecchi, i figli contemporaneamente ai
padri. Nella descrizione della peste, Seneca sembra dunque applicare
lo stesso principio codificato altrove da Aristotele per
l'enigma: sunavyai
ajduvnata. Come
l'incesto ovviamente, come l'arcobaleno"[2].
Precedentemente (p. 145) Bettini aveva utilizzato un passo di
Aristotele per chiarire il nesso tra enigma e
incesto:"Aristotele[3],
definendo la aijnivgmato"
ijdeva,
dice che il procedimento dell'enigma consiste nel "parlare di
cose vere legando fra loro adynata ",
cioè cose che non possono (almeno in apparenza) esser legate fra
loro. L'incesto, naturalmente, verifica per l'appunto questo
principio. Come si può essere contemporaneamente "padre" e
"fratello" dei propri figli?".
Aristotele
considera pregio del linguaggio l'essere chiaro e non pedestre.
Bisogna evitare dunque l'enigma la cui caratteristica (ijdeva)
è il mettere insieme delle assurdità dicendo cose vere (to;
levgonta uJpavrconta ajduvnata
sunavyai , Poetica 1458a).
Dunque peste,
l'incesto, l'enigma e l'arcobaleno producono adynata:"
Il fatto è che l'incesto in quanto produttore di adynata,
in quanto osa congiungere e confondere ciò che deve
restare rigidamente distinto, apre una partita sciagurata: la sua
regola è una sola, la confusione. Chi osa connettere in sé due
ruoli che devono restare divisi, apre la via al sole notturno,
all'aurora del vespero: così come apre la via alla peste,
cancellatrice di ogni opposizione. La peste cresce sugli adynata,
si nutre di adynata"[4].
Il
contagio secondo Lucrezio si diffuse dalla campagna nella città dove
il contagio veniva portato da una folla sfinita affluita da tutte le
zone già infette
Nec
minimam partem ex agris is maeror in urbem
confluxit,
languens quem contulit agricolarum
copia
conveniens ex omni morbida parte (1259
- 1261)
Morivano
dappertutto, presso le fonti, nei templi
Non
si teneva più in onore il culto divino né c’era il timore dei
numi: praesens dolor exsuperabat (1277), il dolore
presente vinceva.
Cfr.
(omnia vincit Amor, et nos cedamus amori " Ecloga X,
v. 69,
omnia
vincit dolor et nos cedamus dolori
I
funebri riti erano sconvolti. Mettevano i morti sulle cataste erette
per altri appiccandovi il fuoco e lottando tra loro
Cfr. Seneca, Oedipus.
Nel Prologo edipo descrive la peste: I lutti si accumulano
sui lutti[5] e
per i disgraziati, come per i delinquenti, cadono i valori forti
della tradizione e della vita ordinata. Anche nella morte irrompe la
confusione:"
tum
propria flammis corpora alienis cremant
diripitur
ignis nullus est miseris pudor.
Non
ossa tumuli sancta discreti tegunt;
arsisse
sat est "
(v. 65
- 67)
allora bruciano i cadaveri dei propri familiari su roghi altrui, si
ruba il fuoco, i disgraziati non hanno più alcun
pudore. Non ci sono tombe distinte[6] a
coprire le ossa sacre; basta averle bruciate.
In
questa peste descritta da Lucrezio la disgrazia improvvisa
e la miseria indussero a orribili cose "multaque
<res> subita et paupertas horrida suasit./ Namque suos
consanguineos aliena rogorum
- insuper
exstructa ingenti clamore locabant "[7].
infatti con alto clamore gettavano i cadaveri dei congiunti morti
sulle cataste erette per i roghi degli altri. Quindi appiccano il
fuoco “multo
cum sanguine saepe
- rixantes”
(1285
- 1286)
lottando in zuffe cruente.
Nella
peste di Egina descritta da Ovidio c'è lo stesso tipo
di confusione per la medesima caduta di foedera:" Et
iam reverentia nulla est,/deque rogis pugnant alienisque ignibus
ardent" (Metamorfosi, VII, 609
- 610), non c'è più alcuna vergogna, lottano per i roghi, e
ardono con i fuochi degli altri.
Tucidide racconta che molti si volsero a tipi di sepoltura indecenti per mancanza di oggetti necessari, dato il gran numero di morti: infatti prevenendo quelli che avevano ammucchiato la pira, alcuni ci mettevano sopra i propri morti, poi davano fuoco, altri vi gettavano un cadavere che già ardeva, quello di un loro parente. Il lato più terribile della malattia era lo scoraggiamento deinovtaton de; panto;" h\n tou1 kakou' h[ te ajqumiva (II, 52, 4)
Quando
il male divenne troppo violento (ujperbiazomevnou
ga;r tou' kakou') , gli uomini caddero nell’incuria
del santo e del divino ejς oligwrivan
ejtravponto kai; iJerw̃n kai; oJsivwn
oJmoivwς. (II, 52, 3)
Chiudo
per ora - sperando del resto che
l’attualità dell’argomento venga meno -
con la peste odiosissima (v. 28) descritta all’inizio
dell’Edipo re di Sofocle. In questo caso si tratta di
un loimov" anche morale,
associato alla sterilità della terra e delle donne, una peste che
rende desolata la città di Tebe e la sua terra e dipende da
un mivasma, una contaminazione che
deriva dall’u{bri" umana, dall’empietà
per la quale “tramontano gli dèi”
Copio
la mia traduzione dei vv. 1 - 39
dell’Edipo re di Sofocle.
Edipo
O
figli, nuova stirpe dell'antico Cadmo 1
quali
seggi mai sono questi dove state seduti
con
i supplici rami incoronati?"
la
città è piena tanto del fumo dei sacrifici,
quanto
di preghiere, quanto di gemiti 5
ed
io ritengo giusto ascoltare queste disgrazie, o figli, non da
messaggeri,
da
altri, e sono venuto qua in persona,
io
noto a tutti, chiamato Edipo.
Su
vecchio, racconta, poiché sei adatto
a
parlare per questi: in quale modo siete disposti: 10
avendo
concepito timore oppure amore? Poiché vorrei bastare
io
ad aiutarvi in tutto: infatti sarei disumano
se
non avessi compassione di tale seduta”.
Sacerdote
Edipo,
che sei padrone della mia terra
tu
vedi noi,di quale età siamo seduti 15
davanti
ai tuoi altari, gli uni senza ancora la forza
di
volare a lungo, gli altri appesantiti dalla vecchiaia
sacerdote
io sono di Zeus; quelli poi sono stati scelti
tra
i giovani ancora celibi, e il resto del popolo incoronato
sta
seduto nelle piazze, davanti ai due templi di Pallade 20
presso
la cenere profetica dell'Ismeno.
La
città infatti, come anche tu stesso vedi,troppo
già
ondeggia, e di sollevare il capo
dai
gorghi del fluttuare insanguinato non è più capace
e
si consuma nei calici infruttuosi della terra, 25
si
consuma nelle mandrie dei buoi al pascolo, e nei parti
senza
figli delle donne; e intanto, il dio portatore di fuoco,
scagliatosi,
si avventa sulla città, peste odiosissima,
dalla
quale è vuotata la casa di Cadmo, e il nero
Ades
si arricchisce di gemiti e lamenti. 30
Senza
renderti dunque uguale agli dei,
io
e questi fanciulli sediamo supplici
però
ti giudichiamo il primo tra gli uomini nei casi della vita
e
nei rapporti con i demoni
tu
che, venuto alla città di Cadmo, hai fatto cessare 35
il
tributo della cantatrice dura che pagavamo,
e
questo, senza sapere da noi nulla di più,
e
senza avere ricevuto insegnamenti, ma con l'aiuto di un dio
sei
detto e sei ritenuto quello che ci ha raddrizzato la vita.
39
Bologna
2 marzo 2020 giovanni ghiselli
[1] 1573
- 1643.
[2] M.
Bettini, L'arcobaleno,
l'incesto e l'enigma a proposito dell'Oedipus di Seneca,
"Dioniso", 1983, p. 148.
[3] Poet. ,
1458a, 26.
[4] M.
Bettini op. cit. pp. 148
- 149.
[5] "Tanto
nella commedia quanto nella tragedia assistiamo a una distruzione di
forme e di persone; dobbiamo meditare su Shylock e Lear, le cui
energie negative possono trovare appagamento solo nell'auto
- annichilimento".
H.Bloom, La
saggezza dei libri,
p. 139.
[6] Ancora
la confusione.
[7] De
rerum natura,
VI, 1282
- 1284.
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