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martedì 31 marzo 2020

la storia di Kaisa. Capitolo 7. Il corteggiamento procede con metodo. La ripetizione del bluff funzionale al successo

Raffaello, Deposizione

Il corteggiamento procede con metodo. La ripetizione del bluff  funzionale al successo

Poi continuai: “Kaisa volentieri (1) morirei, piuttosto che rinunciare a te”.
Intanto stavo seduto con il braccio destro che pendeva, ingessato, verso il pavimento. Con quel gesto di resa volevo mimare il topos gestuale della desolazione ricorrente nelle arti figurative: risale a un sarcofago romano con la morte di Meleagro e viene riusato da Raffaello nella Deposizione dove si vede il braccio destro del Cristo esanime, abbandonato nell’impotenza della morte, e il tenero atto pietoso della Maddalena che tiene nelle proprie mani la sinistra di Gesù (2). Ero deciso a recitare un’altra volta la commedia di credere che la bella sposa immacolata non potesse essere disposta a commettere la trasgressione della fedeltà coniugale. Dovevo dissimulare il fatto che ero convinto del contrario, senza farle escludere del tutto, però, che speravo ardentemente di indurla a trasgredire con me.
Sicché dissi queste parole quasi ridicole;
“Ti parlerò in modo ardimentoso ma sempre pieno del rispetto dovuto alla tua persona. Ho riflettuto mentre scendevo poi risalivo le scale. Una catabasi non proprio infernale e un’anabasi per tornare alla luce, ossia a te, amore mio. 
Ho elaborato con il pensiero le percezioni impresse sui sensi.
Tu, come un angelo mandato da Dio, hai risuscitato la mia vita mortificata, e ora quest’anima appena risorta alla luce non può procedere senza di te, ma rischia di tornare ad aggirarsi confusa, svigorita, esangue, in un labirinto buio come il Tartaro, compiendo, per il tempo che mi resta da vivere, nient’altro che una sinistra, inconcludente confusa congerie di gesti insensati. 
 Eppure credo sia meglio soffocare nel petto questo sentimento d’amore, povero amore mio chiuso nell’animo senza speranza, piuttosto che fare torto alla tua immagine, senza dubbio sacra, di madre e sposa buona, premurosa, fedele, cara al marito, al figlio, al padre, a chiunque ti veda e ti conosca. A me più di tutti”.
 Così la adulavo senza decenza. E data la sua attenzione, non smettevo, anzi rincaravo la dose fino al ridicolo.
La provocavo per vedere se a un certo punto si sarebbe messa a ridere o se mi avrebbe chiesto di non canzonarla più. Ma Kaisa mi guardava con gli occhi spalancati, un lieve sorriso enigmatico, e non parlava . Finché lei stava zitta, e le sue orecchie offrivano un facile accesso alla mia voce, alle parole mie, io non dovevo smettere. 
“Sì, preferisco fare del male a me stesso: soffocare la felicità immaginata solo guardando i tuoi occhi pieni di vita, inebriandomi con i profumi esalati dai tuoi capelli luminosamente neri, piuttosto che fare torto alla tua purissima immagine di donna maritata cui devo non solo ogni rispetto umano, ma una venerazione speciale, religiosa, quella riservata alle spose sante. Io santo purtroppo non sono: prima di incontrarti sono stato piuttosto un satiro veneratore di Priapo e di Dioniso, ho gridato evoè più spesso di quanto abbia sussurrato amen, insomma ho menato una vita da briccone coribantico, ma, da quando ti ho vista, sono diventato un pentito, un penitente, un convertito dalla carne allo spirito, dal naturale al soprannaturale del quale vedo un riflesso chiaro, meraviglioso nella tua icona veneranda”.


Quasi credevo a quanto dicevo recitando forse neanche male. E quasi piangevo. O per lo meno gli occhi mi si velavano di un liquido equivoco tra il sentimentale, rossa umidità di cuore, e l’umidità fremente della libidine che, dentro di me, nera, pelosa e massiccia, scalpitava davvero con furia impudica(3) e tirava forte verso la pelle bianchissima, liscia di lei.
Certo è che Kaisa lo capiva e la cosa non le dispiaceva, anche perché celebrando la sua fedeltà, le toglievo comunque ogni timore di essere importunata: se avesse risposto che il marito faceva bene a fidarsi di lei, poiché la amava del tutto riamato, la preda agognata e mancata mi avrebbe fatto fuggire con la coda tra le gambe e le orecchie abbassate. Sì come cane pieno di zecche, bastonato e sciancato.
Invece disse: “Tu non mi fai torto, Gianni, non mi fai torto per niente”.
E mi accarezzò la mano destra. “Forse - aggiunse - mi fai complimenti così sperticati perché fino ad ora non hai trovato una donna del tuo stampo, della tua levatura, capace di respirare cultura e bellezza, come sei solito fare tu”.
“Ce l’ho fatta”, pensai, “l’esito non è più incerto: la bilancia inclina verso la realtà dell’amore, verso la sua verità”.
Quindi le dissi:
“Infatti sentivo questa mancanza prima di incontrarti. Un deficit che solo tu potresti colmare. Tu respiri il bello e me lo ispiri”. E aggiunsi: “se solo guardo te, tutto il resto del mondo che vedo diviene più ricco di significato e mi riempio di gioia”.
La commedia funzionava perché era fatta non solo di calcoli, pose e citazioni, ma anche e soprattutto di simpatia autentica, forte, reciproca.
Tuttavia lo scopo ancora non lo avevo raggiunto, il bersaglio cui miravo con la tensione massima dell’anima mia e pure con quella del corpo, non lo avevo centrato. Per coglierlo in pieno, ripetei la mossa astuta e poco nobile, insoimma la finta da giocatore di carte che aveva funzionato tanto bene con Elena un anno prima. Infatti tendo a ripetere e ritualizzare gli atti della mia vita, quando hanno successo. Bonis successibus instruor(3). 
Dunque le dissi: “Kaisa, questa serata è la più bella della mia vita, ma ora dobbiamo tornare: devo studiare fino all’alba la letteratura greca per l’esame di abilitazione che mi aspetta in autunno. Devo superarlo a pieni voti se voglio passare dalle medie al liceo, e lo voglio soprattutto per diventare non del tutto indegno di te. Questa notte verserò il sangue, non di animali come fece Odisseo (4), ma proprio il mio, per evocare e fare parlar le ombre grandi di Eschilo, Sofocle, Euripide. Non potranno negarsi a chi sacrifica se stesso devotamente”.

Non raccolse o finse di non avere colto l’allusione ai nostri autori e rispose soltanto “D’accordo, torniamo. Niente è importante quanto studiare”.
Ma si vedeva che ci era rimasta male. Ebbi paura che la mia mossa fosse stata controproducente e che Kaisa potesse prendermi per uno sgobbone, un pedante dall’anima gobba, un umbraticus doctor, insomma quasi il contrario di quello che ero. Sicché aggiunsi un corollario:
“No, tu sei molto più importante per me, ma devo imparare dell’altro e progredire nel lavoro per essere, lo ripeto, quasi degno di te”.
Sembrava poco convinta, però non disse niente. In fondo avrebbe fatto una carriera scolastica e accademica molto più consistente della mia.
Qualche giorno più tardi, disse che quella sera, tornata in collegio, aveva provato una paura tremenda di non vedermi mai più.


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(1) Cfr. Dante Inferno, V, 73: poeta, volontieri - parlerei a quei due che ‘nsieme vanno, e paiono sì al vento essere leggeri”. Si tratta dei lussuriosi e adulteri Paolo e Francesca 
(2) Un topos presente anche in altri quadri tra i quali il Marat assassinato di David
(3) Cfr. Ammiano Marcellino XXI, 5, 6
(4) Cfr. la Nevkuia, il canto dei morti dell’Odissea, l’undicesimo

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