A. Feuerbach, Iphigenie (1862) |
Voglio riferire il punto di
vista della terza zia affezionata a me quanto una madre. Difatti non aveva
figli come Rina e Giulia.
Copio le parole di Giorgia facendo una scelta di quelle che forse possono interessare chi mi legge. Chi non fosse interessato può saltarle siccome non incidono sul seguito:
“ Gianni da piccolo ha avuto la sventura di trovarsi a vivere in un ambiente che era l’opposto del suo carattere di bambino buono e molto sensibile. Anche io mi opponevo al modo di pensare delle sorelle maggiori, cosa che non mi hanno mai perdonato”
Faccio un breve commento ad alcune osservazioni. La “sventura” dell’ambiente difficile è stata anche una fortuna, del resto vox media, perché dai problemi ho imparato: ho appreso a superare gli ostacoli.
Le due zie più anziane hanno dato molta importanza e valorizzato e incentivato il mio essere bravo a scuola che ad altri della famiglia importava poco. Inoltre tutte le donne di questa casa non pacifica mi hanno aiutato con il denaro quando sono venuto a vivere qui a Bologna e anche mio padre che pure ho frequentato poco. I fatti sono anche questi
Torniamo alle parole di Giorgia
“Ifigenia, che bella ragazza!”
Commento: anche la mamma disse che era bella, però aggiunse: “ma non ha un soldo!”.
Giorgia non dava alcuna importanza al denaro. Quando si fu sposata con un marito facoltoso a Potenza Picena, faceva molta beneficenza ai poveri del paese.
Torniamo alle sue parole
“ La ragazza di Gianni a me piaceva, ed ero contenta di ospitarla in casa mia. Alle mie sorelle invece non andava a genio siccome per lui avevano programmato una collega beghina, una domestica casalinga che gli tenesse la casa in ordine. Io sono stata per molti anni sposata in un paesino delle Marche. Mio marito era un proprietario terriero e ospitava volentieri i nipoti a me cari: Gianni e Margherita. Noi non abbiamo avuto figli.
Gianni era un bambino magrolino, bellino e intelligente, molto sgarbato con le citte del paese forse perché allora le zie pretificate lo mandavano in chiesa e in parrochia. Ricordo che una volta venne a trovarmi un’amica con la figlia ragazzina e Gianni, sui tredici anni anche lui, si nascose sotto il letto”.
Quantum mutatus ab illo! Penserai caro lettore e io pure lo penso non senza sorridere. Una piccola nota linguistica: citta è un toscanismo molto usato in casa nostra perché le mie consanguinee erano nate a Sansepolcro e ci erano rimaste per decenni. Vuol dire bambina e ragazza. Io stesso chiamavo mia sorella Cittina.
Di nuovo la zia Giorgia: “Era molto sgarbato con le ragazzine, forse perché si sentiva brutto a causa dell’ambiente dove viveva. Io adesso a Pesaro mi sento sola, tuttavia non voglio andare a vivere con le due sorelle più anziane: frequentano le chiese di Pesaro ma non sanno che cosa sia la carità. Dopo la perdita di nostra madre hanno sempre avuto la pretesa di fare e disfare in tutto e per tutto. Hanno escogitato tutti i modi perché non vendessi la terra lasciatami dalla mamma”.
Un'altra nota mia: se gliel’avessi chiesto io probabilmente non l’avrebbe venduta ma non lo feci. Anzi, quando mi chiese se mi dispiaceva, risposi che se quella vendita garbava a lei, andava bene anche a me. Ne ho ricevuto dei soldi ma avrei preferito mille volte la terra. Però non lo dissi.
Lo stesso feci con la zia Giulia che aveva una casa a Roma, nel quartiere Monte Sacro e mi domandò se mi dispiaceva se la lasciava a mia sorella. Dissi che doveva fare come credeva giusto e mi guardai bene dal rinfacciarle che nei mesi di agosto andavo a Moena con lei cui mancava molti un figlio. Forse non mi ha lasciato l’appartamento di Monte Sacro perché una volta, quando lei era a Pesaro, ci portai una svedese “imbarcata” in piazza di Spagna ed ebbi la sventatezza di lasciare in camera un segno del peccato: una bottiglia di whisky mezza vuota.
La Rina disse che sarei morto con il fegato a pezzi.
Concludo con il testamento spirituale di Giorgia
“La mia mamma voleva molto bene a Gianni, tanto che spesso diceva: -‘portami dal notaio perché voglio segnare a lui tutto il mio capitale’.
Gianni è stato in casa della nonna fin da piccolino e la madre mia si era affezionata a lui”. La nonna aveva sei figli, tuttavia insisteva che io dovevo avere tutti i suoi settanta ettari. Evidentemente non era possibile. Però me ne sono arrivati 18 dalla mamma, dalla Rina e dalla Giulia.
Concludo rivalutando le due zie più anziane rispetto alle critiche eccessive mie e della Giorgia. Non voglio essere ingiusto con loro anche perché mi aspetto e credo che mi aiutino ancora
Quando nel 1972 la nonna Margherita novantenne cadde e si ruppe il femore, mentre gli altri quattro figli e i cinque nipoti, me compreso, rimasero ognuno dov’era, chi a Bologna, chi a Città di Castello, chi a Milano, la Rina e la Giulia già settuagenarie la curarono come avevano fatto con il loro babbo Carlino, e la tennero in vita per altri sei anni. Di questo sono grato a entrambe e rendo loro onore. Tanto complessi, ingarbugliati e difficili da giudicare sono i rapporti umani. Aggiungo che su Ifigenia le zie dallo spirito critico non avevano tutti i torti e anche io avevo dei dubbi sul conto di lei ma in ogni caso volevo essere io a decidere che cosa fare
Ora torniamo al giorno del Santo Giovanni, mio omonimo, onesto però.
Con Ifigenia dunque ero d’accordo che venti minuti dopo avere saputo del suo arrivo ci saremmo trovati davanti al bar Capobianchi all’angolo tra via Rossini, il Corso e la piazza centrale, Piazza del Popolo
Bologna 26 dicembre 2023 ore 20, 45
Copio le parole di Giorgia facendo una scelta di quelle che forse possono interessare chi mi legge. Chi non fosse interessato può saltarle siccome non incidono sul seguito:
“ Gianni da piccolo ha avuto la sventura di trovarsi a vivere in un ambiente che era l’opposto del suo carattere di bambino buono e molto sensibile. Anche io mi opponevo al modo di pensare delle sorelle maggiori, cosa che non mi hanno mai perdonato”
Faccio un breve commento ad alcune osservazioni. La “sventura” dell’ambiente difficile è stata anche una fortuna, del resto vox media, perché dai problemi ho imparato: ho appreso a superare gli ostacoli.
Le due zie più anziane hanno dato molta importanza e valorizzato e incentivato il mio essere bravo a scuola che ad altri della famiglia importava poco. Inoltre tutte le donne di questa casa non pacifica mi hanno aiutato con il denaro quando sono venuto a vivere qui a Bologna e anche mio padre che pure ho frequentato poco. I fatti sono anche questi
Torniamo alle parole di Giorgia
“Ifigenia, che bella ragazza!”
Commento: anche la mamma disse che era bella, però aggiunse: “ma non ha un soldo!”.
Giorgia non dava alcuna importanza al denaro. Quando si fu sposata con un marito facoltoso a Potenza Picena, faceva molta beneficenza ai poveri del paese.
Torniamo alle sue parole
“ La ragazza di Gianni a me piaceva, ed ero contenta di ospitarla in casa mia. Alle mie sorelle invece non andava a genio siccome per lui avevano programmato una collega beghina, una domestica casalinga che gli tenesse la casa in ordine. Io sono stata per molti anni sposata in un paesino delle Marche. Mio marito era un proprietario terriero e ospitava volentieri i nipoti a me cari: Gianni e Margherita. Noi non abbiamo avuto figli.
Gianni era un bambino magrolino, bellino e intelligente, molto sgarbato con le citte del paese forse perché allora le zie pretificate lo mandavano in chiesa e in parrochia. Ricordo che una volta venne a trovarmi un’amica con la figlia ragazzina e Gianni, sui tredici anni anche lui, si nascose sotto il letto”.
Quantum mutatus ab illo! Penserai caro lettore e io pure lo penso non senza sorridere. Una piccola nota linguistica: citta è un toscanismo molto usato in casa nostra perché le mie consanguinee erano nate a Sansepolcro e ci erano rimaste per decenni. Vuol dire bambina e ragazza. Io stesso chiamavo mia sorella Cittina.
Di nuovo la zia Giorgia: “Era molto sgarbato con le ragazzine, forse perché si sentiva brutto a causa dell’ambiente dove viveva. Io adesso a Pesaro mi sento sola, tuttavia non voglio andare a vivere con le due sorelle più anziane: frequentano le chiese di Pesaro ma non sanno che cosa sia la carità. Dopo la perdita di nostra madre hanno sempre avuto la pretesa di fare e disfare in tutto e per tutto. Hanno escogitato tutti i modi perché non vendessi la terra lasciatami dalla mamma”.
Un'altra nota mia: se gliel’avessi chiesto io probabilmente non l’avrebbe venduta ma non lo feci. Anzi, quando mi chiese se mi dispiaceva, risposi che se quella vendita garbava a lei, andava bene anche a me. Ne ho ricevuto dei soldi ma avrei preferito mille volte la terra. Però non lo dissi.
Lo stesso feci con la zia Giulia che aveva una casa a Roma, nel quartiere Monte Sacro e mi domandò se mi dispiaceva se la lasciava a mia sorella. Dissi che doveva fare come credeva giusto e mi guardai bene dal rinfacciarle che nei mesi di agosto andavo a Moena con lei cui mancava molti un figlio. Forse non mi ha lasciato l’appartamento di Monte Sacro perché una volta, quando lei era a Pesaro, ci portai una svedese “imbarcata” in piazza di Spagna ed ebbi la sventatezza di lasciare in camera un segno del peccato: una bottiglia di whisky mezza vuota.
La Rina disse che sarei morto con il fegato a pezzi.
Concludo con il testamento spirituale di Giorgia
“La mia mamma voleva molto bene a Gianni, tanto che spesso diceva: -‘portami dal notaio perché voglio segnare a lui tutto il mio capitale’.
Gianni è stato in casa della nonna fin da piccolino e la madre mia si era affezionata a lui”. La nonna aveva sei figli, tuttavia insisteva che io dovevo avere tutti i suoi settanta ettari. Evidentemente non era possibile. Però me ne sono arrivati 18 dalla mamma, dalla Rina e dalla Giulia.
Concludo rivalutando le due zie più anziane rispetto alle critiche eccessive mie e della Giorgia. Non voglio essere ingiusto con loro anche perché mi aspetto e credo che mi aiutino ancora
Quando nel 1972 la nonna Margherita novantenne cadde e si ruppe il femore, mentre gli altri quattro figli e i cinque nipoti, me compreso, rimasero ognuno dov’era, chi a Bologna, chi a Città di Castello, chi a Milano, la Rina e la Giulia già settuagenarie la curarono come avevano fatto con il loro babbo Carlino, e la tennero in vita per altri sei anni. Di questo sono grato a entrambe e rendo loro onore. Tanto complessi, ingarbugliati e difficili da giudicare sono i rapporti umani. Aggiungo che su Ifigenia le zie dallo spirito critico non avevano tutti i torti e anche io avevo dei dubbi sul conto di lei ma in ogni caso volevo essere io a decidere che cosa fare
Ora torniamo al giorno del Santo Giovanni, mio omonimo, onesto però.
Con Ifigenia dunque ero d’accordo che venti minuti dopo avere saputo del suo arrivo ci saremmo trovati davanti al bar Capobianchi all’angolo tra via Rossini, il Corso e la piazza centrale, Piazza del Popolo
Bologna 26 dicembre 2023 ore 20, 45
giovanni ghiselli
p. s.
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