Il falso profeta e il destino
Suo fratello Siegmund disse che non avevano ancora trovato qualcuno che potesse procurar loro il colloquio .
Walter disse : “io non ci vengo” e Meingast aggiunse che non poteva accettare i favori di uno Stato come quello
Clarisse concluse che il permesso doveva procurarlo Ulrich.
Tutto è evanescente e indefinito come una medusa nei loro discorsi.
“La parola è perifrasi, circonlocuzione, segno tracciati solo intorno ai fatti; l’espressione è una circumnavigazione”[1].
Walter fu incaricato di andare a telefonare all’amico dal negozio più vicino. Clarisse e Walter dunque facevano a meno del telefono in casa.
Ulrich stava scrivendo una lettera alla sorella e ne fu interrotto. Walter cercava di giustificare Clarisse: “non lo si poteva considerare un puro capriccio”. Ulrich si mosse verso la casa degli amici. Walter gli andò incontro per parlargli da solo. Voleva difendere se stesso e pure Clarisse dalle interpretazioni errate.
Mi vengono in mente gli occupati otiosi di Seneca. Sono i presunti benestanti o presunti tali nelle epoche di basso impero, sono gli indaffarati in occupazioni futili, quelli la cui vita è una desidiosa occupatio[2], un’occupazione inoperosa e sono pieni di noia, colmi di malevolenza.
Walter dice a Ulrich che la facoltà più curiosa di Clarisse assomigliava alla bacchetta di un rabdomante che rivela le cose nascoste.
Quindi aggiunse che l’intelligenza del tempo presente non aveva lasciato sussistere nemmeno un punto solido; rimaneva solo la volontà e se non bastava questa anche la violenza poteva servire a stabilire una nuova gerarchia di valori dove l’uomo avrebbe trovato il principio e la fine della propria essenza intima.
Erano chiacchiere di Meingast che Walter ripeteva.
Sta per scoppiare una guerra, la prima guerra mondiale, come nella Montagna incantata di T. Mann, ed è proprio la guerra l’esito di questi periodi nei quali non c’è spazio per l’azione, per l’amore, per la socialità, per la produttività, nemmeno per il sesso e la riproduzione. Anche le guerre attualmente in corso me lo fanno pensare.
Ulrich aveva indovinato che l’amico ripeteva parole sentite da Meingast e “gli chiese irritato: Perché ti esprimi con tanta magniloquenza? E’ il vostro profeta, scommetto!”
Profeta è chi dà la propria voce a un’entità metafisica, a Dio stesso chiunque egli sia o al destino. Ulrich ovviamente è ironico.
Walter digrignò i denti ma non replicò perché voleva l’aiuto di Ulrich per il progetto di Clarisse di andare nella prigione dove era chiuso Moosbrugger. La collera repressa però lo infiacchiva. Del resto il muscoloso compagno era una protezione da quella solitudine notturna un poco inquietante. La collera è stata giustamente sottoposta ai calcoli della ragione da Walter il quale anzi disse a Ulrich che Clarisse lo amava e lui lo ammirava. Ha proprio bisogno del suo aiuto.
In questa società decadente, tra questa gente chiacchierona e inconcludente, Ulrich l’uomo che non sa come impiegare le proprie qualità e le atrofizza chiacchierando, siccome nel chiacchierare è più bravo degli altri viene considerato una specie di superuomo.
Walter concluse la captatio benevolentiae dicendo che lui e la moglie sentivano con gelosia e ammirazione la superiorità irraggiungibile dell’amico.
Ulrich ci rise su dall’alto della propria superiorità. Seguono altre parole di corteggiamento a Ulrich poi i due entrano in casa.
Qui assistiamo all’esibizione stravagante di Clarisse. Andava e veniva tra il bagno la sua stanza e la sala degli uomini: vi si affacciava con il viso bagnato e i capelli sciolti finché gridò: “Ballo su una corda di luce!”.
E’ la commediante che approfitta di un marito sottomesso. Il fratello non lo era altrettanto e guardava l’orologio con impazienza.
Lei gli disse che faceva prima di un uomo a preparasi. Poi pensò che il suo prepararsi “non era un abbigliarsi bensì apparecchiarsi per un misterioso destino”.
Attrezzarsi per il destino non è possibile se il destino è misterioso. Ma anche se non lo è: “cum fatum nihil aliud sit quam series implexa causarum" (Seneca, De beneficiis, IV, 7) siccome il fato non è altro che la serie concatenata delle cause.
Il risultato di un’azione dipende non solo dalle ultime mosse ma dai pensieri e dagli atti di tutta la vita. Questo avvertimento vale per la vita personale e per quella politica.
I problemi non si risolvono, gli ostacoli non si superano se non si risale alle cause.
Sentiamo anche Tacito che nelle Historiae (I,18) scrive:"Quae fato manent, quamvis significata non vitantur ", quello che dipende dal fato, sebbene preannunciato, non si può evitare.
Clarisse dunque, sollecitata dal fratello, terminò in fretta di vestirsi poi tornò nella sala con una faccia strana e riprese a fare la commediante.
Si inchinò e disse in tono solenne: “Ecco, mi sono preparata al mio destino!”. Era diventa anche più graziosa del solito, ma Siegmund la richiamò all’ordine. “Avanti, marsc! A papà non piace che si arrivi tardi per cena!”. Poi andarono verso il tram senza Meingast che “era scomparso senza salutare”.
Chi si atteggia a profeta deve essere così maleducato per significare che un dio o un demone lo ha chiamato.
Il fratello disse a Ulrich che Clarisse non era normale come non lo erano Meingast e Walter. Era sovreccitata in quanto subiva l’influenza negativa di quel “Gran Maestro”, il falso profeta.
Domandò a Ulrich che cosa pensasse di colui
“E’ un chiacchierone” sentenziò Ulrich.
Siegmund aggiunse: “disgustoso, proprio disgustoso!
Però poi fece una seconda chiosa: “Ma la sua filosofia è interessante, non lo si può negare”. Decidere è impossibile: ogni negazione si associa a un’affermazione. L’impero multinazionale, quello dei “miei popoli” di Francesco Giuseppe sta per disgregarsi.
Cosi finisce il capitolo 19 della IV parte di questo romanzo
LINK AL CAPITOLO PRECEDENTE: Giovanni Ghiselli: R. Musil, L’uomo senza qualità. III. 19. 3
Bologna 12 dicembre 2023 ore 9, 48
giovanni ghiselli
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[1] C. Magris, L’anello di Clarisse, p. 221. Magris ha citato delle parole di questo romanzo.[2] Seneca, De brevitate vitae, 12, 2. Cfr. anche Plinio il Giovane, Ep.9, 6, 4: otiosissimae occupationes.
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[1] C. Magris, L’anello di Clarisse, p. 221. Magris ha citato delle parole di questo romanzo.[2] Seneca, De brevitate vitae, 12, 2. Cfr. anche Plinio il Giovane, Ep.9, 6, 4: otiosissimae occupationes.
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