A. Feuerbach, Iphigenie (1862) |
La aspettavo nella piazza
maggiore di Pesaro. Abbracciare e baciare la bellissima giovane donna in mezzo
ai voli e ai salti dei piccioni in tripudio e agli sguardi di tanti curiosi
pettegoli che mi avevano visto insicuro e infelice finito li liceo, e mi
rivedevano mentre stringevo al petto una ragazza splendida nella piazza della
città, era la giusta rivalsa anche pubblica dovuta al mio impegno nel non avere
ceduto alle tante tribolazioni che il destino mi aveva mandato non solo per
mettermi in croce ma anche alla prova. Avevo
provato di essere cedere nescius,
come il Pelide.
Del resto la scena che stavo recitando per i neghittosi piazzaioli dediti alla ciarla maligna aveva un valore anche e soprattutto per me
Ifigenia era bella, fiorente, vitale; anzi era la stessa vita che contraccambiava l’amore ricevuto da me. Potevo essere grato alla vita, al destino, agli dèi, ed essere fiero di me mentre sentivo di avercela fatta a risalire su, verso il cielo, dal burrone scosceso dello svantaggio iniziale.
Arrivò da via Branca. Era vestita di bianco, calzava sandali di cuoio scuro, era abbronzata nel volto e ombreggiata - kataskiazomevnh - dai lunghi capelli neri, folti , ondulati, che le scendevano sulle spalle e sul dorso.
Mi venne in mente Helena, anche lei bella bruna con tanti capelli e biancovestita, quando nel luglio del ’71 attraversava la grande piazza assolata posta tra l’Universtà, la piscina e l’ospedale di Debrecen. Era diretta alla clinica ginecologica per sapere se aspettava un bambino o era minacciata da chissà quale male. Come la vide, mi laciai di corsa da lei per aiutarla e, se possibile, amarla. Tutte e due queste donne per me significavano l’incarnazione della vita che poteva accettarmi o respingere.
Volavano lieti gli uccelli trillando con allegria. Infatti Helena mi accettò. Per un mese soltanto ma è stato il mese più bello della mia vita. Mai smentito dai fatti seguenti.
Nell’agorà pesarese invece i piccioni ad un tratto volarono storto e tubarono rochi inviando segnali funesti.
Come si può non dare importanza ai segni inviati da Dio? Non è che gli alati conoscano il futuro sed volatus avium dirĭgit deus[1].
Quindi trassi l’auspicio della sciagura.
Ifigenia, appena ebbe finito di sbaciucchiarmi, mi gelò dicendo: “in treno ho passato un’ora avventurosa, cara e benedetta con un ferroviere giovane e bello”.
“Maledetta”, pensai, poi la respinsi con odio e dissi: “Ho capito. Buon per te. Me ne farò una ragione. Adesso, per piacere, lasciamo solo. Torna subito indietro”.
Ero sicuro che fosse finita come quando Päivi incinta di me e diventata un’Erinni dall’Eumenide che era, disse: “I don’ t want to see you”, o quando Kaisa si fece negare dalla sua assistente.
L’eterno ritorno della difficoltà con le donne. Fin da bambino sapevo che non mi sarei mai fidato del tutto, che sarei morto solo. L’ho sempre ritenuta la fine eroica degna di me.
Bologna 28 dicembre 2023 ore 17, 49
Sempre1442981
Oggi228
Ieri277
Questo mese11531
Il mese scorso14896
[1] Cfr.. Ammiano Marcellino, Storie, 21, 1, 9.
Del resto la scena che stavo recitando per i neghittosi piazzaioli dediti alla ciarla maligna aveva un valore anche e soprattutto per me
Ifigenia era bella, fiorente, vitale; anzi era la stessa vita che contraccambiava l’amore ricevuto da me. Potevo essere grato alla vita, al destino, agli dèi, ed essere fiero di me mentre sentivo di avercela fatta a risalire su, verso il cielo, dal burrone scosceso dello svantaggio iniziale.
Arrivò da via Branca. Era vestita di bianco, calzava sandali di cuoio scuro, era abbronzata nel volto e ombreggiata - kataskiazomevnh - dai lunghi capelli neri, folti , ondulati, che le scendevano sulle spalle e sul dorso.
Mi venne in mente Helena, anche lei bella bruna con tanti capelli e biancovestita, quando nel luglio del ’71 attraversava la grande piazza assolata posta tra l’Universtà, la piscina e l’ospedale di Debrecen. Era diretta alla clinica ginecologica per sapere se aspettava un bambino o era minacciata da chissà quale male. Come la vide, mi laciai di corsa da lei per aiutarla e, se possibile, amarla. Tutte e due queste donne per me significavano l’incarnazione della vita che poteva accettarmi o respingere.
Volavano lieti gli uccelli trillando con allegria. Infatti Helena mi accettò. Per un mese soltanto ma è stato il mese più bello della mia vita. Mai smentito dai fatti seguenti.
Nell’agorà pesarese invece i piccioni ad un tratto volarono storto e tubarono rochi inviando segnali funesti.
Come si può non dare importanza ai segni inviati da Dio? Non è che gli alati conoscano il futuro sed volatus avium dirĭgit deus[1].
Quindi trassi l’auspicio della sciagura.
Ifigenia, appena ebbe finito di sbaciucchiarmi, mi gelò dicendo: “in treno ho passato un’ora avventurosa, cara e benedetta con un ferroviere giovane e bello”.
“Maledetta”, pensai, poi la respinsi con odio e dissi: “Ho capito. Buon per te. Me ne farò una ragione. Adesso, per piacere, lasciamo solo. Torna subito indietro”.
Ero sicuro che fosse finita come quando Päivi incinta di me e diventata un’Erinni dall’Eumenide che era, disse: “I don’ t want to see you”, o quando Kaisa si fece negare dalla sua assistente.
L’eterno ritorno della difficoltà con le donne. Fin da bambino sapevo che non mi sarei mai fidato del tutto, che sarei morto solo. L’ho sempre ritenuta la fine eroica degna di me.
Bologna 28 dicembre 2023 ore 17, 49
giovanni ghiselli
Sempre1442981
Oggi228
Ieri277
Questo mese11531
Il mese scorso14896
[1] Cfr.. Ammiano Marcellino, Storie, 21, 1, 9.
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