A. Feuerbach, Iphigenie (1862) |
Ero contento di questa richiesta poiché credo che fino a quando sentiamo la voglia e abbiamo la capacità di aiutare gratis il prossimo, non possiamo sentirci infelici.
Lezioni sull’ellenismo del resto potevo quasi improvvisarle.
Conoscevo e ricordavo tanto i testi quanto la critica.
Avevo preso un impegno anche con Ifigenia. La collega ragazza mi aveva pregato di parlarle di Proust che lei non conosceva quasi per niente e che le era stato richiesto da una delle sue classi. Io non lo avevo ancora studiato abbastanza, sicché mi ero portato dietro i primi due volumi della Ricerca. Molto opportunamente anche perché lì al mare pioveva da un povero cielo privato del sole e ottenebrato da nuvole nere, come se l’estate fosse finita..
Il 21 del mese per giunta sarebbe iniziato il declino, il ritirarsi della luce con l’avanzata del buio per sei lunghi mesi. Mesi di angoscia.
La terra chinandosi ogni giorno di più dalla parte opposta rispetto al sole avrebbe ombreggiato se stessa nel nostro emisfero.
La ragazza mi aveva regalato il secondo volume, cioè All’ombra delle fanciulle in fiore con queste parole di dedica scritte nella prima pagina dopo la copertina:
“Io sono Alberatine e tu Marcel perché lei è una ragazza e lui un uomo, ma il nostro amore non è come il loro angosciato, bensì più libero, meno inquieto, davvero sentito, sincero e profondo; perciò alla fine io non morirò e nemmeno tu, siccome noi diversi e strani non ci lasceremo uccidere
La tua Ifigenia in fiore”.
Ora trovo che queste parole sono scritte in vento et rapida aqua, ma allora mi commossi, perché tra noi due il fanciullo ero io, e mi impegnai a leggere e commentare tutti interi i sette sette volumi dell’opera monumentale. Comunque non ci scapitai, anzi ne trassi vantaggio per le mie conoscenze e per le conferenze. Me ne sono già avvalso e lo farò di nuovo nel corso che terrò sul romanzo del Novecento all’Università Primo Levi dal 16 gennaio. Il bene che si fa per altri ridonda sempre su chi lo ha fatto. Come il male d’altronde.
Al primo approccio questo autore non mi garbò del tutto: trovavo troppo minute le sue descrizioni, carenti di un’occhiata potente e capace di una visione d’insieme sul cosmo, tipo quelle panoramiche della tragedia greca. Difficilmente nelle descrizioni di Proust le cose e le idee apparivano intere: mi sembrava che un cervello troppo analitico le spezzettasse con le sue continue accanite, maniacali autopsie o le coprisse con una cipria innaturalmente colorata e profumata da una sensibilità morbosa.
Non mi piaceva l’indugiare talora eccessivo e ozioso dell’autore su oggetti, persone, paesaggi variamente deformati, mi turbavano le sistematiche intermittenze affettive non prive di perversione. Forse ci trovavo la parte peggiore di me, quella che la forza del realismo greco mi aiutava a contrastare.
Poi invece, procedendo nella lettura di questo monumento letterario ho incontrato pagine belle che hanno potenziato e pure raffinato la mia sensibilità ancora limitata e un po’ grezza all’epoca.
In seguito ho apprezzato l’intelligenza acuta dello scrittore capace di scandagliare l’anima umana, la conoscenza e il buon gusto delle arti figurative che altri autori non mi avevano indicato, la moralità a tratti incisiva e risolutiva di tanti dubbi della mente inquieta.
Faccio un esempio perché senza esempi le parole non diventano immagini, non diventano idee: “Si diventa morali appena si è infelici (…) I castighi si crede di evitarli perché stiamo attenti alle carrozze quando si attraversa la via, perché evitiamo i pericoli. Ma ve ne sono di interni. L’incidente viene dalla parte cui non si pensava, dal di dentro, dal cuore” (All’ombra delle fanciulle in fiore, p. 219).
Con questo non voglio dire che non esistono pericoli esterni. Talora vengono perfino dalla pesona che dice di amarci.
“Dicit ; sed mulier cupido quod dicit amanti/in vento et rapida scribere oportet aqua " (Catullo, 70, 3-4 )
Bologna 19 dicembre 2023 ore 18, 17
giovanni ghiselli
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