Il ragazzo malvissuto per quasi tre anni si vergogna della propria deformità acquisita.
Tornai in collegio e nella stanza, ansimando, pieno di sensi di colpa e di inferiorità. Salivo le scale a suon di fischi dei polmoni affannati e di rutti ripugnanti esalati dallo stomaco guasto, pieno di cibo immeritato e deleterio.
Inciampavo negli scalini perché in ciascuno vedevo una delle mie debolezze, vizi, errori e orrori da superare e temevo di cadere all’indietro spaccandomi la testa che non funzionava.
Del resto avevi fretta: dovevo cambiarmi e indossare il costume prima che giungessero i contubernali, e questo non per pudicizia, poiché trovata la mia ottima forma in progresso di tempo, e di me stesso, mi sarei spogliato ogni volta fieramente e trionfalmente davanti alle mie amanti, mentre quel giorno remoto non volevo mostrare l’obbrobrio della pancia superfetata, e anche perché all’epoca temevo di avere piccolo il pene.
Tale in effetti appariva o addirittura spariva sotto la pancia del ragazzo deforme che ero diventato ingozzandomi continuamente.
I primi giorni andavo addirittura a fare la doccia in costume; poi, vedendo altri ragazzi nudi, in alcuni casi mi ricredetti sulle dimensioni modeste del mio apparato, in altri mi rassegnai.
La vergogna della pancia tesa, dura e prominente invece l’avrei abolita più tardi nell’unico modo possibile: eliminandola con lo sport anche agonistico, e con un nutrimento essenziale.
Tuttora quando mangio solo il necessario mi piaccio per la rinuncia pulsionale offerta alla mia forma.
Quantum mutatus ab illo!1. Quando mi vide cambiato in meglio, Fulvio, stupito e contento, mi avrebbe fatto, tutte le congratulazioni meritate. Eravamo arrivati al ‘68, anno di salvazione mia e di molti altri, soprattutto di tante donne liberate da secoli di repressione e sottomissione sessuale. Diversi anni più tardi una dottoressa, un medico femmina dico, non inesperta di maschi, mi avrebbe fatto i complimenti per tutta la mia consistenza corporea: sana e fatta bene dai capelli ai piedi. Nel 1966 sarebbe stata follia sperarlo!
Ma la volontà di vita associata all’amore prevale su ogni male, perché la vita contraccambia sempre i suoi amanti appassionati, soprattutto quelli pentiti di avere peccato omettendo di amarla e perfino tradendola con l’odio cieco e con il dolore sordo ai meravigliosi richiami di lei. Sono grato all’ambiente naturale e umano dell’Università di Debrecen, la dimora aurea di Afrodite beata, incantevole dono della felice natura che mi ha dato la spinta ad amare la vita.
Nota
1 Cfr. Virgilio Eneide, II, 274. Detto a proposito dell’immagine onirica di Ettore quale appare a Enea durante la notte dell’eccidio di Troia, mutato in peggio però.
Bologna 28 febbraio 2025 ore 9, 33
giovanni ghiselli
p. s
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