domenica 23 febbraio 2025

Edipo re XVII parte. Le nozze. L’antifemminismo nella letteratura greca.

 

La difesa delle donne nella Medea di Euripide

 

Nella poesia arcaica e classica restare a[gamoi o essere malsposati è una maledizione; nell'Odissea infatti (VI, 180-185) Ulisse per benedire e compiacere Nausicaa le augura un marito con il quale andare d'accordo, il che è il bene supremo:"soi; de; qeoi; tovsa doi'en o{sa fresi; sh'/si menoina'/"-a[ndra te kai; oi\kon kai; oJmofrosuvnhn ojpavseian-ejsqlhvn: ouj me;n ga;r tou' ge krei'sson kai; a[reion,-h]  o{q j oJmofronevonte nohvmasin oi\kon e[chton-ajnh;r hjde; gunhv: poll j a[lgea dusmeneevssi,-cavrmata d j eujmenevth/si: mavlista dev t j e[kluon aujtoiv", gli dei ti diano tante cose quante desideri nell'animo tuo/un marito e una casa ti concedano, e la concordia/preziosa: infatti non c'è cosa preferibile e migliore di questa,/ quando armonizzati nei pensieri reggano la casa/ il marito e la moglie: molto dispiacere per i malevoli,/e gioia per i benevoli; ma soprattutto ne hanno buona fama loro stessi.

 

   Esiodo attribuisce a Zeus la volontà di punire l'uomo facendo plasmare la donna da Efesto: "Aujtivka d j ajnti; puro;" teu'xen kako;n ajnqrwvpoisi", subito in cambio del fuoco preparò un malanno per gli uomini, Teogonia, v.570; e, poco più avanti:"w{" d j au[tw" a[ndressi kako;n qnhtoi'si gunai'ka"-Zeu;" uJyibremevth" qh'ke, xunhvona" e[rgwn-ajrgalevwn", nello stesso modo Zeus altitonante ha posto per gli uomini mortali le donne come malanno, partecipi di opere moleste vv.600-601.

Tuttavia il poeta di Ascra arriva  a consigliare una buona moglie –kednh;n ( …) a[koitin- v.608) a chi non voglia precipitare nella funesta vecchiaia privo di assistenza:" o{" ke gavmon feuvgwn kai; mevrmera e[rga gunaikw'n-mh; gh'mai ejqevlh/, ojloo;n d j ejpi; gh'ra" i{khtai-chvtei ghrokovmoio", chi fuggendo le nozze e le opere penose delle donne, non voglia sposarsi, giunge alla funesta vecchiaia con la mancanza di uno che si prenda cura dell'età avanzata (vv.603-605).

 

Esiodo dunque, che pure è il padre della  considerazione malevola delle donne, riconosce però che l'uomo ha bisogno di questa creatura complementare e che, se non sbaglia la scelta della compagna, può evitare tanti dolori.

Nella Teogonia  dopo avere definito la donna "bel malanno" (kalo;n kakovn, v. 585) e "inganno scosceso" ( dovlon aijpuvn, v. 589) deve comunque ammettere che evitare le nozze significa prima evitare la seccatura di una donna ma  poi soffrire la mancanza di un aiuto nella vecchiaia, morire solo, lasciando che la propria ricchezza finisca nelle mani di lontani parenti o perfino di estranei.

Alla fine dei conti chi sceglie una buona moglie, saggia e premurosa, compensa il male con il bene (v. 609), chi invece si imbatte in una femmina di stirpe funesta, vive con un'angoscia costante nel petto, nell'animo e nel cuore, e il suo male è senza rimedio (vv. 610-612).

Si tratta del male dato agli uomini ajnti; purov" (v. 570) in cambio del fuoco.

 

Nel poema agricolo l'autore torna sul mito della femmina capostipite.

Questa prima donna esiodea, chiamata Pandora poiché tutti gli dèi le avevano fatto un dono, questo inganno scosceso e senza rimedio ("dovlon aijpu;n ajmhvcanon" Opere e giorni , v. 83), Pandora accolta incautamente da Epimeteo invano messo in guardia da Prometeo, diffuse mali e malattie sulla terra e sul mare togliendo il grande coperchio all'orcio (pivqou mevga pw'ma, v. 94) dove le sciagure erano rinchiuse, sicché ora :"pleivh  me;n ga;r gai'a kakw'n, pleivh de; qavlassa", v. 101, piena è la terra di mali e pieno il mare. Nel vaso, sul quale infine Pandora ripose il coperchio per volere di Zeus, rimase solo la Speranza (Mouvnh d j  aujtovqi  jElpiv", v. 96). Considerato forse un male anche lei.

 

A questo punto il mito della prima donna si collega a quello dell'età dell'oro.

La storia del decadimento dall'aurea stirpe primigenia (cruvseon me;n prwvtista gevno", v. 109) a quella finale, e attuale, ferrigna ( nu'n ga;r dh; gevno" ejsti; sidhvreon, v. 176), prende l'avvio dal racconto dei mali conseguiti alla mossa, malaccorta o malvagia, di Pandora, questa Eva dei Greci.  Il fratello dell'autore, Perse, dunque deve stare attento a non lasciarsi ingannare da una donna pugostovlo"[1], dalle natiche agghindate, che mentre fa moine seducenti mira al granaio (vv. 373-374).

Anche nel poema più recente del resto l'autore non esclude che l'uomo accorto possa scegliersi una compagna brava:  non può esserci migliore acquisto[2] di una moglie buona, come non c'è nulla di più raccapricciante di una sposa cattiva (Opere , vv. 702-703). 

 

 

Sulla linea di Odisseo, è la nutrice della Medea  di Euripide. Ella invero riduce l'auspicio del figlio di Laerte a cosa più modesta, e considera già grande fortuna il  fatto che l'uomo e la donna non siano in disaccordo:"h{per megivsth givgnetai swthriva-o{tan gunh; pro;" a[ndra mh; dicostath'/", che è la salvezza massima,/quando la donna non sia in disaccordo con l'uomo (vv.14-15).

 

Sappiamo tutti quanto male andrà a finire il rapporto coniugale analizzato in questa tragedia la quale presenta un matrimonio fallito già nel prologo; ma non è che negli altri drammi dello stesso autore si trovino approvazioni delle nozze: nemmeno laddove la moglie, Alcesti, è di gran lunga la migliore delle donne sotto il sole ("gunhv t j ajrivsth tw'n ujf j hJlivw, makrw'/",v.151) il coro, ossia il poeta, non si sentirà mai di affermare che il matrimonio sia fonte di gioia:"ou[pote fhvsw gavmon eujfraivnein-plevon h] lupei'n, toi'" te pavpoiqen-tekmairovmeno" kai; tavsde tuvca"-leuvsswn basilevw", o{sti" ajrivsth"-aplakw;n ajlovcou th'sd j ajbivwton-to;n e[peita crovnon bioteuvsei", non dirò mai che le nozze rechino gioia più che sofferenza, congetturandolo dal passato e osservando questa sorte del re il quale, perduta questa moglie ottima, vivrà d'ora in avanti un tempo che non è vita (vv.238-243).

Quando la moglie è ottima dunque, il matrimonio e l'amore trovano la negazione della morte, e non ci sarebbe stato rimedio se non fosse passato dalla Tessaglia Eracle diretto in Tracia a compiere una delle sue fatiche.

 

 Quando la femmina umana è sleale come la presenta il malevolo Esiodo, non solo nella Teogonia , ma anche nelle Opere ("o{" de; gunaiki; pevpoiqe, pepoiq j  o{ ge fhlhvth/sin", v. 375 chi si fida di una donna, si fida dei ladri), allora il malcapitato che le dà fiducia, diventa cornuto e assassino, come il povero Eufileto difeso da Lisia nella nota orazione giudiziaria Per l'uccisione di Eratostene.

In un primo tempo lo sposo la sorvegliava, ma dopo la nascita del bambino le dava fiducia e le affidava tutto, pensando che questo fosse il vincolo familiare più grande("ejpeidh; de; moi paidivon givgnetai, epivsteuon h[dh kai; pavnta ta; ejmautou' ejkeivnh/ parevdwka, hjgouvmeno" tauvthn oijkeiovthta megivsthn ei\nai",6); ebbene quella donna che sembrava, al pari di Alcesti, la migliore di tutte ("beltivsth pasw'n",7) approfittò del funerale della suocera per trovarsi un ganzo che poi riceveva furtivamente nel talamo coniugale. Finché Eufileto, il marito poi difeso da Lisia, se ne acorrse e ammazzò il drudo ejpi; davmarti.

 

Naturalmente non mancano le lamentele delle donne sugli uomini. Sono i seduttori a raccogliere i biasimi più aspri. Uno è Giasone che anche il nostro Dante ficca nell'Inferno (XVIII,86-96) perché ha ingannato le femmine umane: la giovinetta  Isifile che lasciò "gravida, soletta", e Medea  naturalmente, la barbara spalleggiata dal coro formato da donne corinzie che nel Primo Stasimo della tragedia di euripide cantano

 

 

Prima strofe  ( Medea, vv. 410-420)

Verso l'alto scorrono le sorgenti dei sacri fiumi,

e giustizia e ogni diritto a rovescio si torcono.

Sono di uomini i consigli fraudolenti, e la fede

negli dèi non è più ferma.

La fama

cambierà la mia vita al punto che avrò gloria:

arriva onore alla razza delle donne;

non più una rinomanza infamante screditerà le donne.

 

Prima antistrofe  (vv. 420-430)

E le Muse degli antichi poeti smetteranno

di celebrare la mia infedeltà.

Mou'sai de; palaigenevwn lhvxous j jajoidw'n-ta;n ejma;n uJmneu'sai ajpistosuvnan",

Infatti Febo signore del canto

 non accordò nel nostro spirito

suono ispirato di lira: poiché avrei intonato un inno di risposta

alla razza dei maschi. Una lunga età ha

molte cose da dire sul nostro ruolo e quello degli uomini

(Euripide, Medea, vv. 410-  430) 

 

Altro seduttore seriale è Teseo la cui vittima, la povera Arianna che gli aveva salvato la vita, e,  fuggita con lui  era stata abbandonata,"deserto in litore ", dice tra lamenti di morte e freddi singhiozzi :"nunc iam nulla viro iuranti femina credat ", oramai nessuna donna creda più ai giuramenti di un uomo (Catullo ,64,v.143)".

 

 

Su questa linea calunniosa nei confronti delle donne se vogliamo si trova anche Semonide di Amorgo autore (nei primi anni del VI secolo) di un Giambo sulle donne (fr. 7 D.), una tra le più famose espressioni dell'antifemminismo greco.

Questo poeta fa derivare le femmine umane di vario carattere da altrettante bestie: il primo tipo discende dal porco irsuto: costei sta non lavata in vesti sporche a ingrassare in mezzo al luridume (vv. 5-6).

Il secondo deriva dalla volpe[3] maliziosa, esperta di tutto, non le sfugge niente, sovverte le categorie morali ed è di umore cangiante.

 La terza femmina proviene dalla cagna che latra in continuazione e non basta lapidarla per farla tacere.

 La quarta, figlia della terra, è pigra e pesante.

La quinta deriva dal mare ed è mutevole e capricciosa poiché tale è il pelago : a volte  calmo, quando l'acqua marina, d'estate,  è una grande gioia per i marinai, a volte invece si infuria ed è agitato da onde di cupo fragore. Insomma tale donna può diventare una bufera di femmina.

 La sesta discende dall'asina,  scostumata, sessualmente vorace;

la settima dalla donnola, sciagurata, disgustosa e ladra;

l'ottava proviene dalla cavalla, morbida e adorna di una folta criniera. Non sopporta i lavori domestici e si fa amico l'uomo solo per necessità. Questa è  la donna narcisista e parassitaria che passa il tempo a pettinarsi, truccarsi, profumarsi. Una creatura del genere è uno spettacolo bello a vedersi per gli altri, ma per chi se la tiene in casa è un male, a meno che sia un despota o uno scettrato che di tali vezzi si gloria nell'animo.

 Tale è perciò la donna adatta ai tiranni che nella cultura greco-latina sono paradigmi negativi. Costoro del resto hanno fama di violentare le donne come si legge[4] nella descrizione che Otane fa del mouvnarco"  nel dibattito sulla migliore costituzione raccontato da Erodoto (III, 80).

Quella che discende dalla scimmia è brutta e ripugnante.

Ultimo tipo, e unico raccomandabile, è quello che deriva dall'ape ( "ejk melivssh" ", v. 83). Questa femmina ha tutte le caratteristiche della buona sposa e chi se la prende è fortunato. A lei sola infatti non siede accanto il biasimo (mw'mo"), grazie a lei fiorisce la prosperità, invecchia cara con lo sposo che l'ama[5] dopo aver generato una bella prole, diviene distinta tra tutte le donne, la circonda grazia divina (qeivh...cavri", v. 89) e non si compiace di star seduta tra le donne quando parlano di sesso.

 Leopardi traduce questi versi (90-91) così :"né con l'altre è solita/goder di novellari osceni e fetidi".

 

Del resto a Silvia  la natura negò le conversazioni gentili e delicate con altre ragazze :"né teco le compagne ai dì festivi/ragionavan d'amore" ( A Silvia, vv. 47-48).

 

 Dunque una possibilità di non essere cattiva per la donna c'è secondo Esiodo e Semonide. Molto più radicale nella negatività e nella certezza di non poter trovare una buona moglie è l'Ippolito  di Euripide

Vediamo alcune espressioni della fantasia contraria alla natura di generare senza l'unione tra l'uomo e la donna, creature che secondo natura sono invece quant'altre mai congeniali tra loro.

Prima di Ippolito sentiamo però Giasone nella Medea di Euripide:"Crh'n ga;r a[lloqevn poqen brotou;"-pai'da" teknou'sqai, qh'lu d j oujk ei\nai geno": -cou{tw" a]n oujk h\n oujde;n ajnqrwvpoi" kakovn" (vv. 572-575), bisognerebbe infatti che in altro modo, donde che sia, gli uomini generassero i figli, e che la razza delle donne non esistesse, così non ci sarebbe nessun male per gli uomini.

Insomma il male è la femmina.  

Nell'Ippolito il protagonista, sdegnato con la matrigna innamorata di lui, è talmente disgustato e terrorizzato dalle donne,  ingannevole male per gli uomini ("kivbdhlon ajnqrwvpoi"  kakovn ", v. 616), male grande ("kako;n mevga", v. 627), creatura perniciosa, o, più letteralmente, frutto dell'ate[6] ("ajthrovn[7]...futovn", v. 630) che auspica la loro collocazione presso muti morsi di fiere (vv. 646-647) e la propagazione della razza umana senza la partecipazione delle femmine umane.

Sentiamo alcune parole del "puro" folle che dà in escandescenze:

 "O Zeus perché ponesti nella luce del sole le donne, ingannevole male per gli uomini?  Se infatti volevi seminare la stirpe umana, non era necessario ottenere questo dalle donne, ma bastava che i mortali mettendo in cambio nei tuoi templi oro e ferro o un peso di bronzo, comprassero discendenza di figli, ciascuno del valore del dono offerto, e vivessero in case libere, senza le femmine. Ora invece quando dapprima stiamo per portare in casa quel malanno, sperperiamo la prosperità della casa" (vv. 616-626).

Si ricordi a questo proposito la nascita di Atena dalla testa di Zeus e di Dioniso dalla coscia del dio che rapì il feto al fuoco  dove bruciava la madre Semele e disse:

  Vieni, Ditirambo, entra in questo mio maschio ventre (ejma;n a[rsena tavnde ba'qi nhduvn) Baccanti 526-527). E’ la fantasia contro natura della nascita senza il parto femminile.

 

 

Secondo Eva Cantarella anche  Omero fa parte di questa schiera di calunniatori delle donne. Questa opinione controcorrente rispetto a Jaeger e altri, quorum ego, viene supportata da pochi versi della Nevkuia nei quali Agamennone dà a Ulisse il consiglio accorato di fare approdare la nave in un luogo nascosto:"…ejpei; oujkevti pista; gunaixivn", poiché non ci si può più fidare delle donne (Odissea, XI, 456).

Dopo quello che l’Atride aveva passato nel matrimonio, si può comprendere.

 

Spesso sono le donne le più convinte e radicali denigratrici del loro genere, Vediamo l’Andromaca di Euripide.

La vedova di Ettore  conclude il primo episodio  scagliando un anatema contro tutte le donne immorali, o contro tutte le donne esclusa se stessa, se vogliamo dare credito alla nomea di antifemminismo del suo creatore:

"E' terribile che uno degli dèi abbia concesso rimedi

ai mortali anche contro i morsi dei serpenti velenosi,

mentre per ciò che va oltre la vipera e il fuoco,

per la donna, nessuno ha trovato ancora dei rimedi-oujdei;" gunaiko;" favrmak j ejxhurhkev pw-

se è cattiva: così grande male siamo noi per gli uomini" Andromaca, 269-273).

 

Un antifemminismo ripetuto da Andromaca nel secondo episodio:

"non bisogna preparare grandi mali per piccole cose

né, se noi donne siamo un male pernicioso (ajthro;n kakovn),

gli uomini devono assimilarsi alla nostra natura"(352-354).

 

Più avanti Ermione, la moglie legittima di Neottolemo diventato amante di Andromaca , parlando con Oreste, deplora la rovina subita dalle visite delle comari maligne:" kakw'n gunaikw'n ei[sodoi m ' ajjpwvlesan" ( v. 930). La sposa che permette a tale genìa di guastare la sua intesa coniugale, viene come trascinata da un vento di demenza. Sentiamo la figlia di Menelao pentita di essersi lasciata montare la testa da queste Sirene maligne che hanno provocato la rovina del suo matrimonio:" Ed io ascoltando queste parole di Sirene[8],/ scaltre, maligne, variopinte, chiacchierone,/ fui trascinata da un vento di follia. Che bisogno c'era infatti che io/controllassi il mio sposo, io che avevo quanto mi occorreva?/grande era la mia prosperità, ero padrona della casa,/e avrei generato figli legittimi,/quella[9] invece dei mezzi schiavi e bastardi[10] servi dei miei./ Mai, mai, infatti non lo dirò una sola volta,/ bisogna che quelli che hanno senno, e hanno una moglie,/ lascino andare e venire dalla moglie che è in casa/ le donne: queste infatti sono maestre di mali (didavskaloi kakw'n):/ una per guadagnare qualcosa contribuisce a corrompere il letto,/ un'altra, siccome ha commesso una colpa vuole che diventi malata come lei,/ molte poi per dissolutezza; quindi sono malate/ le case degli uomini. Considerando questo, custodite bene/ con serrature e sbarre le porte delle case;/ infatti nulla di sano- ujgie;" ga;r oujdevn- producono le visite/ dall'esterno delle donne- aijJ quvraqen ei[sodoi-drwsin- ma molte brutture e anche dei mali (vv. 936-953).

 

Oltre il non truccarsi, pure il non spogliarsi fa parte della virtù della donna, almeno in ambito e ateniese e ionico[11]. In questa stessa tragedia si trova un pesante biasimo delle donne spartane: Peleo, sempre nell'Andromaca ,  critica tutte le Lacedemoni per  i loro costumi dicendo: neppure se lo volesse potrebbe restare onesta ("swvfrwn", v. 596) una delle ragazze di Sparta che insieme ai ragazzi, lasciando le case con le cosce nude ("gumnoi'si mhroi'"", v.598) e i pepli sciolti, e hanno corse e palestre comuni, cose per me non sopportabili.

 

Bologna 23 febbraio 2025 ore 11, 40

giovanni ghiselli

p. s.

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[1] Formato da pughv, deretano  e stevllw, agghindo.

[2] "La casa, il bove e la moglie sono i tre elementi fondamentali della vita del contadino in Esiodo, Opp. 405 ( citato da Aristotele, Pol. I 2, 1252 b 10, nella sua famosa trattazione economica). In tutta la sua opera Esiodo considera l'esistenza della donna da un punto di vista economico, non solo nella sua versione della storia di Pandora, con cui vuole spiegare l'origine del lavoro e della fatica tra i mortali, ma anche nei precetti sull'amore, il corteggiamento e il matrimonio (ib. 373, 695 ss.; Theog. 590-612)".  W. Jaeger, Paideia 1, p. 63, n. 24..

 

[3]Si ricorderà "son volpi vezzose" de Le nozze di figaro .

[4] Erodoto, III, 80, 5.

[5]G. Leopardi traduce"In carità reciproca...ambo i consorti dolcemente invecchiano".

[6] L'accecamento mentale, una smisurata forza irrazionale.

[7] Ricorda che la protagonista dell'Andromaca fa l'ipotesi:" eij gunai'ke;" ejsmen ajthro;n kakovn "(Andromaca, v. 353), se noi donne siamo un male pernicioso.

[8] Sono mostri che adescano i naviganti con la malìa del loro canto  per poi ucciderli.  Per attirare Odisseo gli dicono che chi fa sosta da loro riparte pieno di gioia e conoscendo più cose ("kai; pleivona eijdwv"", Odissea, XII, 188). Ma il figlio di Laerte, unico tra gli uomini, riesce a udire il canto delle Sirene senza esserne sedotto. Come nel caso di Circe, come in quello dell'accesso all'Ade, egli sa che cosa deve fare, e di fronte alle Sirene escogita uno stratagemma: tappa gli orecchi dei suoi marinai e si fa legare all'albero della nave.

[9] Andromaca.

[10] Si può pensare all'elogio dei bastardi pronunciato da Edmondo, il figlio illegittimo (di Gloster) che  nel Re Lear  si presenta come devoto adoratore della dea natura."Thou, Nature, art my goddess". Bastardo dunque, secondo la natura,  è un titolo onorifico:" noi nel gagliardo furto di natura prendiamo una tempra più solida maggior fierezza di carattere rispetto ai gonzi generati tra il sonno e la veglia in un letto freddo, frollo e fiacco (I, 2). 

[11] Erodoto fa gridare a Gige:"  Jvama de; kiqw'ni ejkduomevnw/ sunekduvetai kai; th;n aijdw'  gunhv" (I, 8, 3) con il levarsi di dosso la veste, la donna si spoglia anche del pudore". 

 

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