lunedì 24 febbraio 2025

Debrecen quarto capitolo. L’assopimento periglioso del guidatore non insonne.


 

Le lampade elettriche illuminavano l’asfalto bagnato della circonvallazione dove scura dai campi o dal camposanto colava la terra disciolta e trascinata dalla forza dell’acqua che, mescolata con il fango, rendeva scivolosa la strada.  Mi sembrò di vedere trascinati dalla corrente anche scoiattoli spelacchiati, dalla coda mozza, e pesci debosciati, privi di guizzi.

Infine intravvidi  un pesce salato del  Ponto che rideva appeso a un amo.

 Allora, nel dormiveglia compresi che si trattava di visioni oniriche pullulate da chissà dove. Difatti mi ero assopito mentre avrei dovuto fissare la strada a[upno~ e avvolgere con le mani e le braccia il volante come faceva il drago insonne  della Colchide che custodiva il vello d’oro avvolgendolo con spire contorte speivrai~ poluplovkoi~[1].

 Tanto mi ero assopito che in una curva sbandai e finìi fuori strada, su un prato. Così  mi svegliai.

Passato il terrore, mi dissi:“Tutta la vita così”.

 Avevo assunto una posa e un’espressione da attore  tragico. La tragedia greca mi è sempre piaciuta assai. Mi ci immergevo, ne traevo modelli e contromodelli.

 “Sarà dura arrivare in fondo, quando dirò: “non doveva finire così”.

Giocavo anche un poco con la sfortuna e con il dolore.

Cercavo di reagire alla stanchezza e alla paura. Quindi ricorsi al modello epico e  mi sovvenni di Achille che, incalzato dallo Scamandro temeva di fare la stessa misera fine di un bambino porcaio travolto da un torrente in piena[2]. Poi invece se l’era cavata.

Anche io ce l’avrei fatta, sebbene non fossi un bambino né porcaio, ma proprio un porco. Dovevo spogliarmi di quel rivestimento sconcio, un aggiunta di una massa di carne  non mia.

Intanto dovevo trovare una camera dove passare la notte già cominciata.

Immerso nel buio  e nella solitudine profonda, guardavo le case lungo la strada, ma l’oscurità e la grande miopia mal corretta dagli occhiali appannati mi rendevano difficile la ricerca dell’asilo notturno. Ero un disgraziato pedante e mezz’orbo? In effetti ero ancora lontano dalle lenti a contatto che avrebbero contribuito a migliorare il mio aspetto e acuito la vista. Mi ero allontanato da tutto ciò che poteva giovarmi. Tranne lo studio che non ho mai  abbandonato completamente.

L’ho sempre visto come la mia stella polare. Sapevo bene fin da bambino che se l’avessi lasciato perdere avrei perso anche la vita.

“Non compagni, non voli”, ripetevo guardando Recanati dal Pincio di Potenza Picena e mi compiacevo di imitare  il poeta che aveva trasformato il dolore in bellezza. Solo molto più tardi avrei imparato e capito e vissuto il piacere. Il dolore poi la bellezza quindi il piacere, un altro grande maestro.

Gli animali e pure gli umani potevano pure schifarmi e io provare disgusto per coloro, ma gli auctores, i miei accrescitori non li ho traditi mai, nemmeno per dedicarmi del tutto a una donna amata e desiderosa di un figlio.

 

Bologna 24 febbraio 2025 ore 12, 11

giovanni ghiselli

 

p. s.

Sto rivedendo, ritoccando e ampliando un libro già pubblicato: Tre amori a Debrecen. Non compratelo: potete trovarlo in prestito nella biblioteca Ginzburg di Bologna.

 

 

 



[1] Cfr. Euripide, Medea, 480-482.

[2] Cfr. Iliade, XXI, 281-282

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