giovedì 27 febbraio 2025

Apprendistato XXII. Provocazioni magnifiche. E la parola divenne carne.


 

 L’orto botanico che, beatificato da Elena, diventerà il paradiso terrestre.

 

Il giardino era pieno di vita, eppure non la sentìi vivere anche dentro di me fino alla notte magica in cui lo percorsi abbracciato a Helena biancovestita che adunava nel volto sereno la luce della graziosa luna e di tutte le vaghe stelle, e, mentre  cantava Summertime con voce calma, manifestava l’armonia che finalmente mi aveva accolto offrendomi le sue meraviglie impersonate da lei, donna bella e fine,  capace di infondermi nell’anima  la verità semplice e sacrosanta che vivere, soprattutto d’estate, è facile, piacevole e gioioso, se non abbiamo commesso delitti inespiabili o sbagli irrimediabili.

Allora pensai: “sum, o superi, beatus, nullique potestas hoc auferre homini” , sono felice e nessuno ha la possibilità di togliere questo all’uomo che ora sono.

L’orto botanico divenne un pezzo di paradiso terrestre solo dopo la conoscenza di questa femmina umana  rara e preziosa. Helena mi aprì la strada verso le altre muse di questa mia vita mortale. In lei ho previsto le seguenti e nelle migliori di queste ho ricordato lei. Perché la ragazza madre, umile e alta più di ogni altra incontrata, lei che una sera mi disse: “io non sono materia” e mi fece provare vergogna dell’ ingiustizia che stavo per infliggerle,  ha risvegliato in me l’idea dello spirito, e, attraverso il suo petto mi ha fatto auscultare i palpiti dell’universo.

Ma questo sarebbe avvenuto cinque anni più tardi di questo che sto raccontando, cinque tutti interi, nell’estate felice del 1971. La più felice di questa mia vita mortale

 

Nel luglio del ’66, mentre percorrevo i sentieri ghiaiosi dell’orto botanico, le piante, le erbe e i fiori dei quali pure leggevo con sguardo superficiale e distratto i nomi latini incisi nei cartelli di latta inchiodati su pezzi di legno piantati nella terra contigua al sentiero ghiaioso dove camminavo con passo stanco, da vecchio anzi tempo, quei vegetali denominati Heuchera Sanguinea, o Campanula Karpatica, per me erano soltanto materia e non risvegliarono la mia fantasia, né mi infusero  il gusto della vita con cui potessi difendermi dal disgustoso sapore di morte che avevo in bocca e nel cuore.

L’anima mia storpia era sempre gravata dalla paura di non trovare una donna, né alcun affetto, e, in quel momento in particolare, di non inserirmi nel nuovo ambiente pieno di giovani meno disgraziati, insicuri e infelici e  di me. La mente sciancata dal peggiore dei vizi, l’autodisprezzo, era diventata uno spettro svigorito, desolato inquilino di un corpo gonfio e infiammato dal cibo.

Con l’amore di Helena, invece, nell’ orto botanico avrei visto trionfare la vita: alberi strani e altri già noti, piccole piante esotiche irretite da ragnatele azzure filate con arte, stagni vivaci dove nell’acqua guizzavano  pesci  non debosciati, bensì pieni di vita come gli uccelli contenti che sfrecciavano nel cielo, e rane che, abbicate  alla terra,  ripetevano il loro verso ringraziando il creatore. Quella donna mi ha fatto capire che la vita stessa mi amava, la vita che è la verissima amante degli uomini buoni i quali non possono non contraccambiare le sue magnifiche provocazioni.

Quando Helena, dapprima ritrosa,  mi disse che mi trovava molto intelligente,  rilanciai la provocazione chiedendole se anche il suo compagno lo fosse.

Rispose: “certamente  lui crede di esserlo”. Provocazioni magnifiche rivelatrici di grande disponibilità, quasi a fare il massimo.

Prima di Helena non ero in grado di notare la parentela di tutto con tutto: non mi accorgevo che le ninfèe distese sopra lo stagno sembravano  pezzi di un mosaico strano,  né assomigliavo le tartarughe a soldati vecchi ma ancora validi, collocati a difesa del luogo con lo scudo dorsale che non avrebbero mai potuto abbandonare. Mi sarebbero venuti in mente i Germani di Tacito e dissi a Elena che pure quelle testuggini dovevano avere il senso dell’onore militare degli antichi Germani: “scutum reliquisse praecipuum flagitium”1 citai.

“Sei intelligente e colto- fece la docta puella che conosceva il latino -Ho fatto bene ad accoglierti”.

“Hai fatto molto bene a me”, le risposi.

“E tu a me”.  

Magnifiche provocazioni piene di amore. Fu impossibile non raccoglierle subito e renderle operative: “Kai; oj lovgo~ savrx ejgevneto”; Et Verbum caro factum est” (N. T. Giovanni, I, 14)

 

Nota

 1 Tacito, Germania, 6.

 

Bologna 27 II febbraio 2025 ore 12, 18  giovanni ghiselli

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