Può essere inquadrata sotto i versi 25 -30
Tebe "si consuma nei calici infruttuosi della terra,/si consuma nelle mandrie dei buoi al pascolo, e nei parti/senza figli delle donne; e intanto, il dio portatore di fuoco,/scagliatosi, si avventa sulla città, peste odiosissima,/dalla quale è vuotata la casa di Cadmo, e il nero/Ades si arricchisce di gemiti e lamenti".
C'è una peste odiosissima, loimo;" e[cqisto", (v.28) che flagella la povli", la quale si consuma (fqivnousa, vv.25 e 26) nella malattia e nella sterilità, svuotandosi di vita. Il morbo è anche infecondità della terra e delle femmine, correlativa all'impotenza dei maschi.
Seneca nel suo Oedipus (vv.41-43) sottolinea l'aridità e la siccità:"Deseruit amnes humor atque herbas color,/aretque Dirces; tenuis Ismēmnos fluit,/et tingit inŏpi nuda vix unda vada ", l'acqua ha lasciato i fiumi e il colore le erbe, è disseccata Dirce; l'Ismeno scorre con un filo d’acqua e con la povera onda bagna a stento i guadi nudi.
Nell'Edipo re è frequente il verbo ojrqovw, o ajnorqovw, (vv.39,46,51) con il senso di risollevare moralmente, ma pure quello di raddrizzare in modo vitalistico, senza che si possa escludere l'accezione sessuale. Infatti nelle terre desolate e nei paesi guasti, il corrispettivo fisico della decadenza etica è il calo della tensione erotica.
Noi guardavamo le ragazze, magari con sguardo maniacali, oggi i nostri (putridi?) nipoti fissano il cellulari. They have lost the passion.
T. S. Eliot, il grande classicista del Novecento, per rappresentare la sua terra desolata (The Waste land , 1922), priva di passione e di vita, ha raccolto diversi suggerimenti. Egli confessa il suo debito a due libri di antropologia: From Ritual to Romance della Weston, e Il ramo d'oro di Frazer, e di questo ricorda particolarmente i capitoli Adone, Attis, Osiride, dove si dice che in epoche remote gli uomini facevano dipendere la forza vitale della gente dalla impareggiabile vitalità di una creatura straordinaria, dall' eccezionale vigore di un capo il quale però con il volgere delle stagioni si consumava, finché doveva essere sacrificato e sostituito.
"Le cerimonie della morte e della resurrezione di Adone devono essere state anch'esse una rappresentazione drammatica della morte e della rinascita delle piante (...) Inoltre la leggenda che Adone doveva passare metà, o, secondo altri, un terzo dell'anno nelle regioni sotterranee e il resto sulla terra, si spiega in modo assai facile e naturale ammettendo che egli rappresentasse la vegetazione, specialmente il grano, che sta metà dell'anno sotto terra ed è visibile nell'altra metà” (Il ramo d'oro , pp.525-526)
Del resto aveva già espresso il medesimo concetto Ammiano Marcellino :" Evenerat autem isdem diebus annuo cursu completo, Adonea rito veteri celebrari , amato Veneris, ut fabulae fingunt, apri dente ferali deleto, quod in adulto flore sectarum est indicium frugum "(XXII, 9, 15), avveniva poi in quei medesimi giorni che, compiuto il corso dell'anno (il 361 d. C.), si celebravano secondo l'antico rito le feste per Adone, amato da Venere e ucciso dal dente di un cinghiale selvaggio, il che è simbolo delle messi recise quando sono mature.
Adone che muore e risorge dunque rappresenta la forza riproduttiva che cade e si rialza. Secondo Frazer tutte le divinità che passano per questo avvicendamento di morte e resurrezione avevano tale significato, e Cristo può essere interpretato come un epigono di Adone, Attis, Osiride. In progresso di tempo la storia si è spiritualizzata e raffinata, e il decadimento del "paese guasto" diventa un fatto morale. Tuttavia qualche cosa dell'antica concezione è rimasta. Anche in altre opere dove si descrive una diffusa peste morale, si accenna o si parla apertamente dell'impotenza generale che è incapacità di vivere.
Visto che è stato menzionato T. S. Eliot quale ultimo anello di questa catena, non di plagi come vuole L'uomo senza qualità di Musil, bensì di echi e prestiti, ricordiamo che a La terra desolata è premesso a modo di epigrafe un brano del Satiricon: “Nam Sybillam quidem Cumis ego ipse oculis meis vidi in ampulla pendere, et cum illi pueri dicerent: "Sivbulla tiv qevlei" ;" respondebat illa: " jApoqanei'n qevlw" (48, 8), Infatti la Sibilla di sicuro a Cuma l'ho vista io stesso con i miei occhi sospesa in un'ampolla, e dicendole i fanciulli:'Sibilla, cosa vuoi?' rispondeva lei.'morire voglio'.
Per capire come è cambiata l’Europa, nell’agosto del 1969 ero neolaureato e borsista all’Università di Debrecen. Ebbene insegnai queste parole latine a una ragazzona di Monaco “grande come una casa” diceva il carissimo amico Fulvio.
Una signorina robusta dunque che rimase giustamente colpita da queste parole, me le ripeteva spesso e le insegnò ai suoi connazionali presenti. Una cara ragazza intelligente: mi ospitò generosamente in casa sua durante un fine settimana dell’inverno successivo quando vivevo con qualche difficoltà in un motel- Palace- sulla strada nebbiosa tra Cittadella e Carmignano dove insegnavo. Grazie a Dio educare i bambini mi piaceva molto.
Allora era di moda volersi bene e aiutarsi tra noi giovani di quella generazione fortunata di nati alla fine della guerra. Ogni movimento, ogni parola, tutto era preso in bonam partem. Oggi è pericoloso anche muovere un braccio. Quasi ogni mossa e parola è malvista e malgiudicata . Puoi sentirti dire che sei un nazista o un comunista o un anarchico o un donnaiolo da come muovi le dita.
Concludo ricordando che nel romanzo di Petronio il favore o l'ira di Priapo, il dio dell'erezione, condiziona lo svolgersi degli avvenimenti. La mentula contumax merita un’invettiva da parte di Encolpio, l’io narrante: :"erectus igitur in cubitum hac fere oratione contumacem vexavi:"quid dicis-inquam-omnium hominum deorumque pudor? nam nec nominare quidem te inter res serias fas est." (132, 9-10), drizzatomi dunque sul gomito strapazzai il renitente con queste parole più o meno:" che cosa dici-faccio- vergogna degli uomini tutti e degli dèi? Infatti sarebbe un sacrilegio perfino nominarti tra le cose serie
Bologna 22 febbraio 2025 ore 17, 34
giovanni ghiselli
p. s.
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