lunedì 24 febbraio 2025

L’apprendistato. Sesto capitolo Il dormiveglia notturno. I segni. Il sistro di Iside?

 

 

 

Uscii per mangiare in fretta e tornare presto in camera. Volevo alzarmi la mattina di buonora. Fuori pioveva sempre e faceva freddo. Mentre cenavo, immeritatamente e sciaguratamente dopo le tante ore passate seduto, pensai che dovevo orientarmi cercando di capire il destino: cogliere e interpretare i segni del cielo e di Dio che, con la sua mente ordinata e magnanima, nulla lascia procedere a caso. E avverte con premonizioni. E’ bene, è necessario  notarle e svelarle. Non sono sempre chiarissimi i segni del cielo, ci vuole un animo attento e allenato per comprenderli.  Ho sempre fatto caso agli avvertimenti, fin da bambino.

 Ricordai che Ammiano Marcellino commenta positivamente l’ attenzione del suo eroe, Giuliano Augusto, per  gli auspici che si traggono dagli uccelli:  non che i volatili conoscano il futuro, sed volatus avium dirigit deus[1].

I segni mandati da Dio, chiunque Egli sia, mi avrebbero indicato la strada da seguire con metodo[2]. Exinde quid agi oporteat bonis successibus instruendus[3].

Alla follia metodica di Amleto non sfugge che c’è una provvidenza  speciale anche nella morte di un passero[4].

Gli ultimi successi miei erano gli esami superati con buoni voti. Ma ce ne volevano altri, di altro tipo: risultati soddisfacenti con le femmine umane, e di questi non avevo sufficiente esperienza. 

Più tardi mi addormentai mentre  pensavo ancora ai segnali ricevuti quel giorno.

All’una, fui svegliato da un campanello.

Prima credetti di sognare quel suono, poi mi svegliai.

Mi chiesi se avessi sognato  quegli squilli: potevano essermi stati spediti da un sistro[5] scosso da Iside che voleva svegliarmi  dal sonno e dall’oblio della mia identità, perché  ritrovassi la dignità  antica di studioso curioso che ricordava con gioia tutto quanto leggeva e di agonista che vinceva le gare.

E recuperassi la forma umana, dopo avere  eliminato il rivestimento porcino.

Non potevano essere neppure le cavallette che suonavano “finissimi sistri d’argento” pazze di sole, poiché faceva freddo e pioveva. Del resto non avevo sognato quei suoni poiché  ripresero a squillare: qualcuno scampanellava davvero e con insistenza. Nessuno andava ad aprire. Vecchie sorde o paurose. Ancella infingarda, se c’era. Io? Non c’entravo, non mi sembrava il caso, poi avevo paura. Continuò per alcuni minuti.

Chi è alla porta, chi è alla porta, chi?[6] Mi domandai .

 Guardie di frontiera che mi inseguivano insospettite dal mio aspetto stravolto, oppure ladri o assassini, scomposte menadi ubriache, spettri di orrori, o strane congreghe di “diavoli goffi con bizzarre streghe”[7], o che altro?

  Comunque era un segno . Di sventura?

Ma no, forse era un segno sonoro premonitore di cambiamento in meglio. “Tutto è pieno di dèi, pavnta plhvrh qew'n[8], tutto è santo, tutto è santo, tutto è santo”[9], volli pensare, sforzandomi un poco.

Rimasi sveglio una mezz’ora per interpretare quel segno.

Lo feci in questo modo: “Non addormentarti, non rimanere assopito e stordito nella casa di Pesaro. Non frequentare  quelli che giocano a carte e giocano con la tua infelicità, la deridono, ci sghignazzano sopra. Basta che tu dica: non fumo!” e partono risate con insulti.

“Fascista, pederasta, pedante mezzo orbo, studia greco, non fuma, non gioca a carte!!!”

Non è l’ambiente per te. Svegliati, alzati, cerca nuove dimore, esperienze nuove, anche a costo di ferirti.

 Devi imparare a stare ritto senza essere sorretto dalle donne di casa. Devi renderti padre di te stesso.

Se resti là, non potrai ritrovare l’identità smarrita che del resto non era la tua già compiuta. Quella andava bene per un adolescente liceale cresciuto tra donne che ti isolavano. Stavi diventando un sordido anacoreta. Non devi restare dimezzato, ignaro di ogni altro bene oltre i successi scolastici e ciclistici.

 Ora l’agone ora è quello massimo: conquistare una identità di uomo, di uomo compiutamente umano.

 A Debrecen cerca di conoscere delle persone buone e  stimolanti alla crescita, donne soprattutto, le donne belle e fini ti saranno dovute se le meriterai :  prova a iniziare una vita nuova e degna di te! Diventa il gianni che sei! Questa  forse è la tua l’ultima occasione  di riscattare te stesso. Devi prendere posizione contro quello che di malato c’è in te. Costringere il tuo caos a diventare forma. La bellezza deve riportare vittoria sull’immane e

sull’immondo. E’ stato il tuo soggiacere all’opinione della gente disgraziata, piva di grazia, a renderti infelice. Ora devi emanciparti ”

 

Bologna 24 febbraio 2025 ore 16, 22

 giovanni ghiselli

Mi sono lavato per benino. Ora mi vesto, poi mi muovo verso la biblioteca Ginzburg. Ho pronta una lezione assai bella. Cercherò di esporla con grazia e serietà. Senza esagerare nella volontà di piacere  né in quella di apparire lo studioso impegnato fino al martirio. Devo evitare il ridicolo che si rischia quando si vuole essere presi per  simpatici suscitatori di energia o viceversa accigliati censori-

 

 

 

 



[1] Ammiano Marcellino, Historiae, XXI, 1, ma il volo degli uccelli lo dirige  dio.

[2] E’ una tautologia voluta: oJdov" significa “strada”

[3] Quindi saranno I buoni successi a guidarmi (cfr. Ammiano Marcellino , Storie, XXI, 5. Parla Giuliano Augusto

[4] Cfr. Shakespeare,  Hamlet V, 2 there’s a special providence in the fall of a sparrow.

[5] Il sistro secondo Plutarco serve a mettere in fuga Tifone.

To; sei`stron o{ti seivesqai dei` ta;; o[nta kai; mhdevpote pauvesqai fora`~ (De Iside, 376D), il sistro viene scosso perché le cose che sono vanno mosse e non devono mai cessare dal moto, ma essere svegliate e spinte quando dormono. Il sistro può essere paragonato al campanello della messa. Attira l’attenzione dei fedeli e tiene lontano i profani[5].

 

[6] Cfr. Euripide, Baccanti: “tiv~ ojdw` ; tiv~ oJdw/` ;tiv~ ;” (v. 68), chi è per strada?, chi è per strada? Chi?

 

[7] Carducci, Il comune rustico, 10-11.

[8] Talete in Aristotele, Sull'anima, 411a 8.

[9] P. P. Pasolini, Dialoghi definitivi di “Medea”, scena 7. In op. cit., p. 544 e p. 545.

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