mercoledì 26 febbraio 2025

L’apprendistato . XIII parte. La meta raggiunta. E il premio sperato…


 

Uscito dall’ospedale, mi diressi alla mia vecchia Seicento, incerto se procedere a piedi  lungo i binari per esplorare il luogo oltre la piazza dove tizzi lanciati dal sole già alto guizzavano sul selciato, oppure seguire in automobile il giro del tram che si era mosso piegando verso sinistra, ossia iniziando il ritorno alla stazione.

 Ero  tentato di seguirlo: tornare indietro, evitare la prova, schivare il confronto con ragazzi non tanto sconciati quanto mi sentivo in quel tempo.

 Però mi venne in mente la bravura, il mio primeggiare di una volta; ricordai  Achille che cedere nescius [1],  non si lascia bloccare dalla profezia del cavallo fatato Xanto, e gli risponde:"ouj lhvxw"[2].

Ripetei quelle parole dell’eroe rivolto me stesso, alla povera cosa che ero,  prima in greco, poi in italiano: “non cederò”. Mi piacque: lo avrei ripetuto in inglese alla prima straniera che si fosse lasciata corteggiare. Anche alla seconda magari. Ma come si diceva? Ricordavo to yield, forse da Shakespeare. Al ginnasio ci avevano insegnato a leggere il Macbeth  e il Giulio Cesare ma non sapevo parlare l’inglese corrente. Del resto avevo sentito dire da un professore di Glottologia, un donnaiolo,  che le lingue si imparano a letto.

La mia mente riprendeva a orientarsi sulla stella polare della vita

I come to revive, not to bury myself, mi dissi.

 

Proseguìi a piedi. Fatti duecento metri vidi e  riconobbi, riconosciuto a mia volta, alcuni studenti della facoltà di Lettere di Bologna che, arrivati la sera prima, si erano già sistemati.

 Quindi  mi accompagnarono fino al collegio poco distante dandomi buone notizie sull’ambiente, immagino per incoraggiarmi. Si vedeva che ne avevo bisogno.  Nell’ultimo breve tratto della lunga trasferta venni  aiutato da quei Samaritani mossi visceralmente[3] a compassione dal mio aspetto devastato.

. Ero stato altresì assistito dal destino, poiché dietro a tutto c’è  il Fato, "cum  fatum nihil aliud sit quam series implexa causarum" [4],

dal momento che il fato non è altro che la serie concatenata delle cause.

 Sicché tornai a recuperare l’automobile, e finalmente potei presentarmi alla segreteria, quindi alla ricezione dove mi assegnarono un posto in una camera a quattro letti. Il viaggio di 1200 chilometri iniziato a Pesaro due giorni prima, e svoltosi tra alcune speranze e mille terrori, infine era giunto alla meta.

Non sarebbe stato altrettanto faticoso, mentalmente, quando lo avrei ripetuto in bicicletta nel 2011, nonostante una caduta precipitosa in un fosso profondo, con la bici sotto di me  lo zaino sopra, oltre il buon Dio. Grazie a Lui, chiunque Egli sia,  il fosso era erboso,  e l’avello suburbano di gianni ghiselli non si aprì quella sera tra il compianto dei tre comites amici, a Nagykanizsa la cittadina situata tra il confine della terra magiara  e il lago Balaton. Allora, nel 2011, sollevai il fianco già antico e raggiunsi di nuovo la meta con Fulvio, il vecchio amico, l’amico nobile che nel momento più difficile mi proibì di soccombere, e i due amici giovani, gli ex allievi Maddalena e Alessandro conforti e sostegni dell’antichità di noi altri due oramai settantenni.

 Superati gli anni  della sciagura, anche grazie agli incontri fatti nell’Università estiva di Debrecen, le cose mi andarono bene, sempre meglio. Quasi invulnerabile come Achille ero diventato.

Dopo il liceo la visione del mondo mi era stata oscurata dalla mancanza dell’amor proprio necessario alla salute, a quella fisica e a quella mentale.

L’amore di se stesso prima o poi attira l’amore degli altri.

Chi ne è privo, o privato, è pure impedito di raggiungere qualsiasi meta che non sia quel bene agognato con le forze più vive dell’anima. Le poesie di Leopardi sono belle per chi le legge, e consolatorie, ma per l’autore furono conforti che sicuramente non compensarono il premio grande, davvero olimpico, cui aspirò per tutta la vita per il suo genio: negli auspici dovette sostituire con la morte quella ricompensa del valore che io, da eterno scolaro, chiamo “borsa di studio”, insomma l’amore di una donna bella e fine.

La morte potrebbe essere sì una  “bellissima fanciulla-dolce a veder”, ma non tanto bella e dolce quanto Silvia e Nerina, le ragazze osservate, ammirate, pensate a Recanati e altrove, sempre senza uno straccio di contraccambio. Elena che certificò la mia resurrezione era una ragazza sì lieta come bella, non con un piede o tutti e due nella tomba come le fanciulle di Leopardi. E soprattutto mi contraccambiò.

Il Recanatese è rimasto per me un maestro di pensiero e sensibilità ma non di vita.

Chi non assaggia il  sapore di donne liete e belle, un piacere, una gioia che ci assimila agli dèi, “perché la felicità che nasce da tale beneficio, è di troppo breve intervallo superata dalla divina” [5], non sente il gusto della vita.

Ma torniamo a quel mattino antico. Ti ricordo, lettore novello, che era il luglio dell’anno di mia salvazione 1966.

 

 

Bologna 26 febbraio 2025 ore 11, 20 giovanni ghiselli

 

p. s.

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[1]Orazio, Odi , I, 6, 5- 6:" gravem /Pelidae stomachum cedere nescii ", la funesta  ira di Achille incapace di cedere. 

[2] Iliade , XIX, v. 423.

[3] Cfr. N. T. Luca, 10, 33 “Samarivth" de; ti" ojdeuvwn h\lqen kat j aujto;n kai; ijdw;n ejsplagcnivsqh”.

[4] Seneca, De beneficiis, IV, 7

[5] G. Leopardi, Operette morali, Storia del genere umano.

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