venerdì 28 febbraio 2025

L’apprendistato XXXI Il ritorno in italia. La ricostruzione dell’identità frantumata.


 

Il beneficio più grande di queste prima esperienza nell’università estiva di Debrecen fu che, tornato a Pesaro poi a Bologna, mi sentìi meno insicuro e infelice di quando ero partito in cerca di riscatto. Il viaggio di ritorno lo feci con Fulvio e Luigi nella Seicento; veramente questa arrivò soltanto a Lova di Campagna Luppia, e di lì dovemmo proseguire in corriera fino alla stazione di Bologna, quindi prendemmo strade diverse per tornare alle case materne, ciascuno alla sua. L’automobile  decrepita, dopo averci preannunciato la popria morte ansimando sfinita sulle rampe del Tarvisio, aveva fatto altri duecento chilometri aiutata dalla strada più pervia, poi verso sera era spirata, lì, al confine tra la laguna veneta e la grande pianura padana, dove vedemmo tramontare un sole esausto, offuscato dai moscerini e dalle brume dell’estate morente anche lei.

Avevamo viaggiato da oriente a occidente, vice Solis, come il Sole, la nostra guida.

Non potevamo chiedere aiuto perché il “maledetto e abominoso ordigno” oggi sempre nelle mani di tutti, ossia il cellulare, ancora non esisteva, sicchè passammo la notte in una locanda campagnola scambiandoci impressioni e riflessioni sul mese passato insieme, educandoci a vicenda e volendoci bene. Se ci fosse stato il telefonino e uno di noi tre, letterati ipotecnologici lo avesse avuto, avremmo perduto un simposio e uno scambio proficuo di pensieri non volgari né banali, anzi ricchi di pathos e di logos. Contento di ciò, saltai la cena. Mi ero già avviato sulla strada della resurrezione.  

La fine della vecchia automobile ebbe una conseguenza positiva siccome il male viene per giovare quando il destino prende il verso giusto, quello che favorisce la vita.

Poco tempo dopo infatti la zia Rina, badessa del convento di Pesaro, mi regalò la Mini Minor da cui trassi altra libertà e altro coraggio.

Salutati gli amici che non avrei più perduto e, terminato il viaggio sapendo più cose, mi ritrovai in Italia già piuttosto cambiato, e non in peggio: non ero più certo che la mia vita sarebbe trascorsa tutta tra le umiliazioni, l’odio e il dolore come era caduta di degradazione in degradazione da quando avevo terminato il liceo: fino alla bassa età  del ferro, quando aveva trionfato la brutalità calpestandomi il cuore e il cervello,  l’anima insomma .

A Debrecen avevo incontrato ragazzi buoni che mi chiamavano per nome, non con epiteti carichi di ludibrio, mi parlavano senza riempirmi di insulti e mi ascoltavano con attenzione; poi avevo trovato giovani donne che mi avevano sorriso e si erano lasciate avvicinare da me in vari modi ; avevo conosciuto persone che avevano riso e scherzato con me, non di me, e mi ero convinto che quel rispetto era giusto siccome io non ero stupido, né ignorante né cattivo del tutto: lo erano piuttosto  quanti mi avevano maltrattato dopo il liceo per risentimento del mio essere stato egregio nel Terenzio Mamiani di Pesaro e per  la soddisfazione di vedermi smarrito, disorientato, abbattuto. A costoro tale nemesi non bastò: volevano darmi il colpo di grazia.  Avevo del resto capito che quel rancore era stato scatenato non solo dal mio essere bravo ma anche dal narcisismo egoista con cui mi presentavo. Dovevo dunque tornare a primeggiare non per vantarmene bensì per fare del bene: il mio bene e quello degli altri, insomma volevo diventare benefico con l’aiuto di persone intelligenti, benevole, e ancor più di una donna del mio stampo, della mia levatura, della mia razza spirituale. Ma questa dovevo incontrarla. Un grande aiuto mi verrà dal movimento studentesco degli anni seguenti.

 

Bologna 28 febbraio 2025 ore 19, 11 giovanni ghiselli.

p. s.

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