La osservavo pensando accorate parole:
“Bella sei bella, sei l’idea stessa della bellezza venuta qui sulla terra a dare spettacolo. Di questa tua luminosa venustà corporea vorrei salvare almeno una scintilla dalla rovinosa caduta nell’abisso buio posto al termine della processione macabra che ogni giorno avvicina noi tutti mortali prefissata condannati a morte all’esecuzione della sentenza secondo l’ordine del tempo.
Sei bella, ma non sei più l’ Ifigenia che conobbi meravigliosamente quasi tre anni or sono. Piuttosto ti sei rivelata una creatura con la bellezza contaminata da un egoismo incapace di sedare brame brutte e meschine .
In un primo tempo con i piaceri del corpo e dello spirito mi hai elevato l’anima fino alla pianura dove splende la luce della verità, ma dopo qualche mese, mi hai trascinato in burroni scoscesi. Oramai abbiamo poco da dirci: io voglio imparare dell’altro, tu vuoi drammatizzarti da sola. Faresti bene a indagare te stessa prima delle tue recite. Dovresti cercare di salvarti dai buchi neri del tuo carattere che tendono a risucchiare la parte migliore di te lasciandoti dentro soltanto l’inferno. Io voglio scrivere, ma prima dovrò studiare, osservare imparare, capire.”
Intanto eravamo giunti al porto di Ancona. Mangiammo un frutto dell’autunno incipiente e, sempre senza parlare, entrammo nel traghetto greco
Ifigenia si calò quattro anni quando le fu chiesta l’età dal marittimo che controllava i biglietti per assegnarci la cabina. Non l’aveva fatto apposta, credo, ma con un lapsus comunque non casuale. Era fuorisciuto il suo desiderio latente di cancellare anni di perdite. E si era evidenziata la sua paura di un avanzare degli anni che fanno arretrare lo splendore corporeo senza la compensazione del genio espressivo che le mancava. Mi sentìi in colpa pensando che non avevo fatto abbastanza per aiutare la sua crescita umana quando nei primi otto mesi traevo vantaggi non piccoli dalla fresca vitalità di quel giovane corpo di cui mi beavo succhiandone gli umori più saporiti.
Ero stato un avido buco nero anche io con lei.
Subito dopo l’imbarco andammo nella cabina, a dormire ognuno nella sua cuccia. Un paio di ore più tadi ci alzammo e salimmo sul ponte. La nave costeggiava le pendici del monte Conero che mi sembrava una balena spiaggiata.
Ci eravamo seduti a poppa per prendere il sole.
Osservavo la scia bianca della nave sul mare. Mi vennero in mente le “umide vie” e “il mare canuto” di Omero che aveva anticipato alla lettera quanto vedevo sensibilizzato dall’Odissea la cui lettura intera preparata parola per parola era stata l’impresa richiesta dal primo esame di greco.
“Ecco un’umida via canuta” pensavo, ma non potevo dirlo a lei per non farla infuriare come era accaduto pochi giorni prima con una tale che se la prese credendo che nel dire quelle parole riferite al mare un poco mosso io alludessi copertamente alle sue braccia muscolose, sudate e ai primi capelli già bianchi della sua testa balzana.
“Darò un pugno nel grugno a ghiselli il maligno cacciatore di femmine giovani” gridò quella megera e sferrò un colpo. Per fortuna riuscìi a schivare il cazzotto.
Dopo la bella parentesi dei primi anni Settanta, quelli delle tre finlandesi intelligenti, colte, belle e fini, e dei cari amici incontrati a Debrecen, era tornato il costume dell’antipatia, del sospetto, della diffidenza tra gli umani. Soprattutto di sesso diverso. Si preparava il trionfo dei due massimi “diitti civili”: aborto generalizzato e omosessualità quali segni di indubbia supremazia.
Ripetei dunque solo tra me la metafora omerica pensando che l’artista legge il libro dell’Universo e sa riconoscere la parentela dell’intera natura con se stessa, l’affinità di tutte le cose tra loro.
Nemmeno questo potevo dire a quella Erinni che mi tiravo dietro e con la sua furia mi faceva scontare tutti i peccati che già allora non erano pochi.
“Giovanni peccator sono stato nel talamo” mi dissi.
Non feci nulla per incoraggiare, Päivi a mettere al mondo la nostra bambina con l’aiuto del padre.
Quando nomino il mio santo protettore, il battezzatore e precursore del Cristo il figlio di una ragazza che, pur senza la presenza di un padre, non abortì, lo distinguo da me stesso chiamandolo sempre “l’onesto Giovanni”.
Bologna primo febbraio 2025 ore 9, 30 giovanni ghiselli
p. s
“Amen dico vobis: Non surrexit inter natos mulierum maior Ioanne Baptista” (N. T. Matteo, 11, 11)
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