La corriera si ferma davanti a un bar. Sono visibili le due cime innervate del Parnaso che sovrasta Delfi. Mi viene di nuovo in mente l’ Edipo re di Sofocle: "Chi è quello di cui la profetica/rupe di Delfi disse: ‘ha compiuto infamie su infamie/con mani sporche di strage?’ " (vv. 463-466).
Si tratta dello stesso Edipo che ha ammazzato il proprio padre senza conoscerlo poi ha sposato la propria madre: “Maximun scelus –maternus amor est” grida l’ombra di Laio evocata da Tiresia nell’Oedipus di Seneca (vv. 629-630)
Nell’Ippolito di Euripide c’è Teseo, il padre che prega Poseidone perché faccia morire il figlio Ippolito accusato calunniosamente dalla matrigna Fedra. La lezione di questa tragedia è che padri e figli dovrebbero parlarsi, ascoltarsi vicenda, conoscersi e farsi conoscere. Se non lo fanno possono conseguirne le tragedie che si ripetono sempre nei secoli dei secoli.
Osservo i due gioghi della montagna pregando gli dèi di darmi la forza necessaria ai miei compiti. Primo di tutti quello di educare me stesso e i giovani a risalire la china del precipizio dove ci spingono l’ignoranza, l’odio, l’invidia.
Cerco di rimanere solo, per riflettere e pensare a quello che dovrò dire durante il simposio serale. Entro nel sacro recinto di Delfi e salgo su per il pendio che porta al teatro. Mi fermo davanti al tesoro degli Ateniesi: un tempio dorico, piccolo e ben conservato.
Non vedo guardiani e mi scopro il petto perché il Sole lo benedica e lo colori di salute, di bellezza, di vita mentre illumina la montagna sacra. Voglio ringraziare gli dèi di avermi aiutato a non sciupare il mio aspetto con l’ingozzamento e l’inerzia. La salute corporea è il correlativo somatico della sanità mentale che è il dono più grande di Dio.
“Il comprendere (to; fronei'n) è di gran lunga il primo requisito/della felicità; è necessario poi non essere empio/ in nessun modo negli atti che riguardano gli dèi".
Queste parole del Coro concludono l’Antigone di Sofocle. A Delfi non posso prescindere dal poeta di Colono, l’aedo delfico. Nemmeno a Pesaro né a Bologna del resto.
Quindi prego con parole mie. “Signore di Delfi, Apollo profeta di Zeus, a te consacro il lavoro cui per anni ogni giorno ho dato il meglio di me. Mi hai sempre aiutato; aiutami ancora. Devo insegnare a fare il bene, cioè a favorire la vita”.
La natura dà segni buoni: le rocce sono adorne e odorose di fiori gialli sorvolati da farfalle variopinte, corteggiati da vespe striate, da calabroni brillanti inebriati dal sole.
Proseguo su per l’erto pendio fino al teatro. L’orchestra è profanata da mimi inverecondi. Procedo per un sentiero che porta allo stadio. Dall’erba che lo costeggia fanno capolino simpatiche lucertole che dopo avere dato rapide occhiate a destra e a sinistra, attraversano il viottolo facendo guizzare il dorso verde chiazzato di giallo. Belline! Sembrano stupite, timorose e felici di essere vive. Come le mie scolare. Gli uccelli cantano fitti nella pineta e addolciscono l’aria resinosa con i loro gorgheggi. Entro nello stadio.
Prego: “signore degli agoni gloriosi e incruenti, conservami la salute, la forza fisica e il vigore mentale necessari per gareggiare sempre e non perdere mai. Che io possa essere morto quando non vorrò più venire qui in bicicletta a renderti onore. Prometto che lo farò diverse altre volte ancora”.
Torno indietro. Discendo il pendio dalla parte che da nessun sentiero è segnata, dove la natura è più reale e più sacra. Esco dal recinto e mi avvicino alla fonte Castalia. La osservo e prego di nuovo: “O fonte santa che sgorghi dall’ombelico del mondo tra queste rocce ammantate di edera e sei custodita dai bruni cipressi, asili notturni dei liberi uccelli che ora nel cielo festeggiano il dì incoronandolo di voli festosi; sacra sorgente ornata dai fiori che le farfalle baciano con ali impregnate di polline fecondatore, ti prego, dammi la forza di educare il mio popolo.
Bologna 11 febbraio 2025 ore 13, 27 giovanni ghiselli
p. s.
Intendo tornare a Delfi poi sul Parnaso in bicicletta il prossimo luglio. Se Dio vorrà.
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