venerdì 24 gennaio 2025

Metodologia 54 e 55


 

Metodologia54. Cogliere l’occasione che è “calva di dietro”.

Pindaro. Isocrate. Sofocle. Cicerone. Shakespeare, Fedro,  Marlowe,  Nietzsche.

 

La scuola classica deve insegnare pure a cogliere l'occasione, a individuare quello che è significativo in mezzo al turbinio di offerte insignificanti:  il ragazzo  impari a non  fallire le opportunità favorevoli alla sua crescita. I nostri classici insistono su questo concetto.

L’intelligenza dell’occasione serve a capire la misura appropriata: “C’è una misura in tutto: e l’occasione è ottima a comprenderla” (Pindaro, Olimpica XIII, vv. 47-48).

  Isocrate[1] nel manifesto della sua scuola, Contro i sofisti [2] afferma che  difficile non è tanto acquisire la conoscenza dei procedimenti retorici, quanto non sbagliarsi sul momento opportuno per usarli:"tw'n kairw'n mh; diamartei'n"( 16), non fallire le occasioni.

Già Oreste nell'Elettra di Sofocle, dove si tratta di vita o di morte, conclude il suo primo discorso affermando che l'occasione è sovrana :"kairo;" gavr, o{sper ajndravsin-mevgisto" e[rgou pantov" ejst j ejpistavth"" (vv. 75-76),  l'occasione infatti è appunto per gli uomini la più grande presidente di ogni agire.

Cicerone suggerisce di usare il vocabolo occasio per tradurre il greco eujkairiva che designa il tempus…actionis opportunum, il tempo opportuno di un'azione[3].  

Nell’Antonio e Cleopatra  di Shakespeare, Menas decide di non seguire più l’indebolita fortuna di Sesto Pompeo che ha perso l’occasione di sbarazzarsi dei suoi nemici: “Who seeks and will not take, when once ‘tis offer’d, -Shall never find it more” (II, 1), chi cerca e non prende qualcosa una volta che viene offerta, non la troverà mai più.

Né bisogna dimenticare Marlowe: il quale afferma che l'occasione "è calva di dietro"[4].

 

Marlowe risale forse a Fedro (V, 8) che ricorda come gli antichi foggiarono l’immagine del Tempo un uomo calvus, comosa fronte, nudo occipitio. Tale immagine (effigies)  occasionem rerum significat brevem. 

 

Infine Nietzsche: “Forse il genio non è affatto così raro: sono rare le cinquecento mani che gli sono necessarie per dominare il kairov~, “il momento opportuno”, per afferrare per i capelli il caso!”[5].

Gli eventi importanti per essere fruiti pienamente presuppongono la capacità di avere afferrato con mani di acciaio non una sola occasione ma diverse. L’amore con Helena Augusta richiese che fossi congedato dal servizio militare anzi tempo, che prima avessi insegnato nel Veneto dove feci l’amicizia necessaria a questo sconto di tempo, e poi che la finnica augusta mi piacesse tanto da corteggiarla con una tenacia e un’abilità che non ho avuto con nessun’altra donna[6].

 

 

 

 

Metodologia 55. Il valore pratico della parola.

Tucidide  (I, 22, 2). La Medea di Euripide (v. 1064). Canfora. La parola retoricamente e politicamente organizzata. I personaggi della tragedia parlano non solo retoricamente ma anche politicamente. La condizione dell’impolitico per i Greci dell’età classica è innaturale e viziosa (Kierkegaard e Tucidide).

 Racconto mimetico, diegetico e misto (Platone, Repubblica).

 

Insomma il ragazzo deve trovare il riscontro degli studi classici in rebus ipsis. 

 Si può chiarire il  valore pratico, oltre che estetico, della parola attraverso l'espressione di Tucidide ta; e[rga tw'n pracqevntwn (I, 22, 2), le azioni, tra i fatti. L'altra componente dei fatti sono le parole dette dai capi della guerra: sul modo di reperirle e riferirle Tucidide fa una dichiarazione  nella prima parte di un capitolo metodologico (I, 22, 1).

Facciamo un altro esempio di parola che equivale ai fatti: la Medea di Euripide, dopo avere manifestato il suo proposito di uccidere i propri nemici, e pure i propri figli, quando ancora nulla ha compiuto, ma ha già deciso tutto e lo ha chiarito con le parole, conclude con questo trimetro giambico:“pavntw" pevpraktai tau'ta koujk ejkfeuxetai” (v. 1064), comunque questa è cosa fatta e non ci sarà scampo.E’ il “detto fatto”.

 

 "La mentalità greca arcaica-scrive Canfora- pone sullo stesso piano la parola e l'azione. Tale modo di concepire la parola come "fatto" è vivo anche nella tradizione storiografica, che rivela, anche in questo, la propria matrice epica. Vi è un assai noto passo di Tucidide, dove lo storico, nel descrivere il proprio lavoro e la materia trattata, adopera un'espressione quasi intraducibile: ta; e[rga tw'n pracqevntwn (I 22 2). Si dovrebbe tradurre "i fatti dei fatti", che in italiano non dà senso (...) Lì vi è invece una distinzione: la categoria generale degli "eventi" (ta; pracqevnta) comprende sia le "azioni" (e[rga) che le "parole" (lovgoi), delle quali si è appena detto nel periodo precedente (...) La  parola infatti-scriverà secoli dopo Diodoro- la parola retoricamente organizzata, è l'elemento che distingue gli inciviliti dai selvatici, i Greci dai barbari"[7].

“Questa formula denota la concezione fattuale del parlare, che nell’epica è già un retaggio remoto”[8].

A me pare che la parola sia prodromica, corra davanti all’azione e le prepari il terreno

La parola “retoricamente organizzata” non esclude la sua dimensione politica.

Aristotele nella Poetica  sostiene che il pensiero (diavnoia)  mette in grado di dire quanto è possibile e appropriato (ta; ejnovnta kai; ta; aJrmovttonta, 1450b, 5), e questo poi è il compito della politica e della retorica riguardo ai discorsi: infatti gli antichi rappresentavano personaggi che parlavano politicamente, i moderni invece retoricamente  (1450b, 7-8).

Direi che i personaggi della tragedia parlano tutti sia politicamente, sia retoricamente. Infatti per l'uomo greco che viveva nella povli"  democratica la condizione dell’impolitico è innaturale :"benché si muovesse liberamente, l' individuo restava nell'ambito delle determinazioni sostanziali, nello Stato, nella famiglia, nel fato "[9].

Tucidide, il creatore della storia politica, l’autore che ha dato alla storiografia quella svolta pragmatica la quale "è valsa ad affermare l'identificazione tra storia e politica"[10],   fa dire a Pericle:"movnoi ga;r tovn te mhde;n tw'nde metevconta oujk ajpravgmona, ajll j ajcrei'on nomivzomen" (Storie, II 40, 2), siamo i soli a considerare non pacifico, ma inutile chi non partecipa alla vita politica.

 

Il dramma in effetti contiene più personaggi che parlano: è, spiega Socrate, la specie di poesia e mitologia che toglie le parole del poeta, le didascalie  intercalate ai discorsi diretti, lasciando solo le alterne battute (ta; ajmoibai'a) e dunque  si esprime dia; mimhvsew~, per imitazione (Repubblica, 394 b-c).

Se non appaiono i personaggi parlanti abbiamo una narrazione semplice senza mimesi (a[neu mimhvsew~ aJplh' dihvghsi~ ), che si trova soprattutto nei ditirambi, specifica Platone attraverso Socrate, poi c’è la forma mista che è l’epica.

Avvertenza: il blog contiene 4 note e il greco non traslitterato

 

Bologna 22 gennaio 2025 ore 19, 21 giovanni ghiselli

 

 

 

 



[1] 436-338 a. C.

[2] Del 390.

[3] De officiis, I, 142.

[4] C. Marlowe, L'ebreo di Malta, V, 2.

[5] Di là dal bene e dal male, p. 203.

[6] Tutto questo è raccontato nel mio romanzo Tre amori a Debrecen in prestito nella Biblioteca Ginzburg.

[7]L. Canfora, L'agorà: il discorso suasorio in Lo spazio letterario della Grecia antica , I, 1, p. 385.

[8] L. Canfora, Noi e gli antichi, p. 99.

[9]S. Kierkegaard, Enten-Eller , Tomo Secondo, p. 24 e p. 30.

[10]Canfora, Teorie e tecnica della storiografia classica , p. 12.

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