domenica 9 febbraio 2025

Olimpia 1982. Le metope del tempio, L’Ermes di Prassitele e lo stadio delle corse.


 

Passo alle metope con le fatiche di Eracle.

Insegnano che nella vita nulla si ottiene senza grande fatica. Anche imprese più piccole di quelle sostenute dal figlio di Zeus richiedono impegno, disciplina, sudore.

Non solo affrontare e debellare i mostri ma anche studiare, imparare e scrivere.

 

 

 Cambio stanza e vado a vedere il prasssitelico Ermes che tiene in braccio Dioniso bambino. E’ più sensuale che bello. E’ morbido e flessuoso, perfino effeminato. Mostra grande affetto per il piccolo dio  e ancora più per sé stesso. Si sente osservato ed  è un poco affettato, cioè in posa.

 

 

Esco per andare nella zona delle nobili gare. Lungo la strada vedo pini dai tronchi enormi  e dalle altissime chiome che, mosse dal vento di primavera,  sussurrano voci profetiche piene di mistero.  

Una donna anziana seduta sui fiori mira  pensosa il paesaggio ameno e sorride : probabilmente anche lei ricorda gli amori più belli della sua vita mortale.

I custodi del recinto agonale non lasciano più entrare i visitatori tardivi: mancano pochi minuti alla chiusura. Insisto per una visita breve e un guardiano cortese mi lascia passare. Però devo correre se voglio vedere lo stadio. Devo  gareggiare impiegando velocità di piedi tacuta;~ podw`n- se non voglio rimanere chiuso lì dentro. Magari di notte fa ancora freddo in aprile.  Altri custodi fischiano con insistenza spingendo il gregge degli attardati verso l’uscita. Devo fingere di non vedere e non sentire tali cerberi o piuttosto idre che fischiano contro il mio andare nella direzione opposta rispetto  a quella prescritta dal loro sibilare furioso.

Schivandone due o tre con guizzi e scarti, riesco a entrare nello stadio delle gare di corsa. Si trova sotto il colle di Crono verde anch’esso dei pini vocali caratteristici di Olimpia come le querce di Dodona le cui foglie frusciando sussurrano  arcane voci  portate dal vento. Mi seggo un momento cercando di decifrare i segni suggeriti dal luogo.

Mi dicono che non devo cedere mai. Devo assecondare il concatenarsi sapiente degli atti dovuti al destino.   

Accolgo il suggerimento ma non posso fermarmi. Sta arrivando di corsa un energumeno forsennato  che fischia mentre si lancia contro di me e agita le braccia non senza ira. Sto per urlargli: “Caròn, non ti crucciare, oppure “taci maledetto lupo: fra un po’ me ne vado”, ma penso che sta facendo il suo lavoro e mi invade un desiderio di pace e di amore . Gli dico: “mi scusi signore, me ne sto andando” e gli rivolgo un dolce sorriso che lo fa andare in visibilio. Sicché mi guarda con riconoscenza e mi indica l’uscita con garbo signorile.

Che cosa significa questo? Che devo trovare l’armonia con il prossimo se voglio giungere all’arte. Ricordo che il greco aJrmoniva, e il latino ars hanno la medesima radice indoeuropea e pure il verbo ajrevskw, “piaccio”.

Devo piacere a me stesso se voglio farmi ascoltare e leggere dalle persone che devo educare. Sono nato per questo. Se no mi sarei sobbarcato tre ragazze madri:  Helena e Päivi più un’altra, con tanto di figli, due nemmeno miei.

Voglio trovare la pace che odora come le viole accanto al pozzo, come il seno di una ragazza che corre su campi fioriti o si cimenta sulle piste degli stadi. Profumata e bellina!

Per piacere però devo anche farmi mettere in ordine i denti anteriori che sono piccoli e radi.

Allora mi venne in mente una battuta dell’Ulisse di Joyce: “ My teeth are very bad. Why, I wonder? Feel. That is going too. Shells”.

La lingua inglese mi è simpatica anche se non è prestigiosa come la greca né chic come il latino o il tedesco. Nella mia vita è stata la lingua degli amori più belli.

Uscendo pensai: “Il mio dentista è un donnaiolo accanito. Gli piacciono giovani molto. Nelle ragazze cerca la carne che ancora lievita. Io piuttosto ammiro lo spirito che cresce e si potenzia, magari con il mio contributo.

Rientro nella corriera.

 

Bologna  9 febbraio 2025 ore 17, 55 giovanni ghiselli

p. s

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