venerdì 3 gennaio 2025

Ifigenia 182. Arrivano altri giorni tristi e tribolati.


 

Il 24 agosto andai a Pesaro dalla mamma e dalle zie. Ifigenia mi raggiunse verso la fine del mese e si fermò una settimana. Troppo tempo per le donne di casa mia  sdegnate  dal disordine della ragazza infingarda: nemmeno il proprio letto rifaceva quando andava sulla spiaggia. Anche io, nonostante il digiuno sessuale del mese di Debrecen, dopo un paio di giorni ero sazio di lei e ne avevo abbastanza. Avevamo ben poco da dirci.

Avrei preferito studiare, correre a piedi e in bicicletta da solo in quelle ultime giornate estive tanto vicine oramai all’equinozio umido che le ore di luce erano già taglieggiate quasi della metà rispetto ai giorni di giugno, i più belli dell’anno, se non piove.

Aspettavo che Ifigenia partisse lasciandomi a osservare l’estate morente impallidire nell’aria e sulla pelle di noi esseri umani destinati alla morte. Invece la noiosa mi stava appiccicata, appoggiando il suo peso inerte e gravoso sulle mie spalle, non erculee, anzi poco robuste siccome ho sempre esercitato piuttosto la lena delle gambe, del fiato e della mente che il resto.

Oltretutto quel  giorno funesto Ifigenia rivelò la sua facies furente.

Eravamo al mare a metà di un pomeriggio noioso come al solito e per giunta ventoso. “Mio dio- pensavo- che cosa ho fatto di male?”.

La spiaggia era semideserta e mortificata dalle ombre che scendevano inesorabili dagli alberghi sovrastanti e,  allungandosi sempre più verso l’acqua del mare, incupivano tutto, compreso il mio umore. Gli ombrelloni, diradati assai, e chiusi, sembravano i pochi capelli rimasti sulla testa intronata di un vecchio mal vissuto: stremato e abbattuto dagli insuccessi.

Mi venne in mente un verso di Eliot: “A dull head among windy spaces[1], una testa intronata tra spazi ventosi.   

A un tratto la donna mi propose di fare una passeggiata. Notai un ragazzo che correva. "O fortunate puer per la tua solitudine!"

Pur di muovermi dall'inerzia penosa acconsentii.

Mentre camminavamo abbracciati per scaldarci a vicenda, ifigenia mi parlava di una sua giornata del mese di luglio senza del resto interessarmi con parole dense di significato. Erano verba prive di Verbum.  Alcune di queste, però, a un tratto mi colpirono come un tuono: disse che uno dei suoi corteggiatori estivi, il più intraprendente e sfacciato, il medico biondo di cui mi aveva parlato già allora, era partito prima di me, perciò non aveva dovuto subirne le proposte insistenti e indecenti durante la mia assenza.

Un'emozione cattiva rivegliò il mio cervello assopito e l'interesse negativo per lei. Mi fermai, la guardai e dissi: "questo non può essere vero: mi hai indicato quell' insolente mentre si aggirava dietro una vetrata con l'aria di uno che spia. Era la notte della mia partenza e mi dicesti che poche ore prima gli avevi chiesto la sua camera in prestito per fare l'amore con me".

 

Rispose senza scomporsi come chi mente per abitudine e con metodo: “Hai ragione. Mi sono confusa. Del resto, se ti avessi tradita con quello, sarei stata attentissima a non sbagliarmi sul conto di lui”.

Non potei replicare poiché si lanciò a correre lungo la spiaggia. Fece qualche decina di metri, poi si fermò e si girò gesticolando per significarmi che dovevo seguirla. Mi incamminai lentamente perché non avevo voglia di andarle vicino. Ma quella rimase ferma e dovetti raggiungerla non senza disgusto. Mi fissava con occhi spalancati dalla meraviglia, come per dirmi: “che cosa aspetti? Non vedi che sono qui tutta per te, solo per te?”

Quando fui arrivato tanto vicino da udirla bisbigliare, disse: “gianni, facciamo l’amore. Ne ho tanta voglia. Ti prego, ti prego, ti prego”.

La solita lagna.

“No, qui non si può”-risposi- c’è gente, anche dei bambini. Non mi va di dare scandalo.

Ma la bugiarda, intesa solo a farmi scordare l’oltraggio, insisteva: “Ti prego, andiamo nell’acqua”.

“No, è troppo fredda”

“Allora dentro un capanno oppure imbuchiamoci sotto un moscone o un mucchio di sabbia. Non ne posso più dalla voglia”.

“Io invece non ne ho”.

“Te la faccio venire io”.

Voleva coprire la propria scelleratezza nuda con questa ostentazione frenetica e falsa di insopprimibile libido.

Mentre pensavo questo, mi lasciai cadere sulla sabbia per darle un segno di totale impotenza.

Ma quella prese il gesto sconsolato per un invito erotico e mi saltò sopra. I genitori portarono via in fretta i bambini. Ifigenia sedette pesantemente sul mio costume rivolgendo uno sguardo sfacciato verso il mio viso che aveva impresso un dolore profondo, quindi mi afferrò le spalle con entrambe le mani e si mise a scuoterle mentre canticchiava un’arietta che voleva essere allegra mentre risuonava lugubremente nell’anima mia desolata. La poveretta aspettava di essere incoraggiata con un gesto affettuoso ma io oltretutto ero troppo schiacciato e aderente alla sabbia umida per muovermi.

Dopo un paio di minuti divenne aggressiva: smise di canticchiare, iniziò a pizzicarmi le braccia, quindi a scuoterle per distogliermi, immagino, dal male che pensavo di lei.

Intanto la spiaggia sotto il monte Ardizio si stava abbuiando e si era fatta deserta.

Visto che seguitavo a non reagire, Ifigenia a un tratto si inferocì: con la mano destra prese una manciata di sabbia e me la scaglio sul viso

Tra le palpebre, le lenti a contatto, i poveri occhi e il cervello, sentivo scrosciare cascate di vetri e di cocci infuocati mentre la gola e la bocca sputavano sabbia tossendo, sputando e mugghiando.

Non come il toro di Pasife infoiato ma come la maxima victima del sacrificio rituale e culinario.

Maledetta cretina. Come potei distinguere qualcosa mi accorsi che scappava. Dopo qualche minuto la vidi sguazzare nell’acqua come una grossa oca. Saltellava poi si accovacciava, schiamazzava e dimenava le braccia. Intanto l’ombra del monte Ardizio era arrivata agli scogli antistanti la riva e tutta la spiaggia comunicava un senso di desolazione.

Quando fu uscita da quel pelago cupo mi venne vicino mentre continuavo a pulirmi la faccia sconciata da quel pugno pieno di rena.

Disse: “Mi sono tuffata nell’acqua fredda perché sbollisse il desiderio che tu non vuoi più accontentare”

Tra le lacrime cercai di guardarla e le dissi: “Vedi che guaio hai combinato? Se lo farai un’altra volta non potrai più accostarti a me”

“Vedremo” osò ancora dire.

“Sei avvisata. Intanto andiamo via di qui”.

Durante il tragitto verso il bagnino Alfredo di tanto in tanto si gettava in acqua per significarmi che poteva fare a meno di me.

A mia volta pensavo: “Speriamo che vada via presto, che si innamori di un altro, un giapponese magari, o almeno uno di Osimo”. Nel frattempo se mi darà noia farò finta di niente. Alle sue provocazioni opporrò un muto disprezzo”.

Come fummo arrivati nella zona degli alberghi, questi ombreggiavano già tutto il mare

“Come Dio vuole è autunno-pensavo. Presto ricomincia la scuola. Là dentro dovrò vederla per forza se le rinnovano la supplenza, ma poi, una volta usciti, per carità: ognuno a casa sua”.

Bologna  3 gennaio  2025  ore 18, 56 giovanni ghiselli

 

p. s.

Statistiche del blog

 

Sempre1658036

Oggi371

Ieri377

Questo mese1068

Il mese scorso10218

 

 

 

 



[1] T. S. Eliot, Gerontion, 16

Nessun commento:

Posta un commento