sabato 4 gennaio 2025

Ifigenia 187 La notte di novembre sul mare.


 

La nuova collega  ancora intentata, sicché da tentare, Lucia era giovane molto anche lei: aveva una decina di anni meno di me e tutto da imparare. Non era una bellezza  ma si era costruita uno stile che la impreziosiva. Soprattutto aveva una forza espressiva che la distingueva in meglio da molte altre, compresa Ifigenia. Il suo aspetto mi ricordava quello delle donne di casa mia e la mia stessa facies. Una lepida moretta insomma.

Ifigenia si accorse subito che la guardavo con interesse e disse: “ti piace perché ti assomiglia: tu sei malato di narcisismo”. C’era qualcosa di vero. Aveva di speciale gli occhi grandi e lunghi, carichi di una luce densa e da decifrare. Il taglio delle palpebre era il mio preferito: finnico-mongolico.  

All’epoca commentavo l’Edipo re di Sofocle e iniziavo a leggere Thomas Mann. Studiavo molto soprattutto per impressionare la nuova apprendista che mi chiedeva spesso consigli su come interessare gli allievi. Avevo già allora un repertorio discreto e lo accrescevo, lo miglioravo ogni giorno.

Ifigenia intanto si demotivava sempre più rispetto alla scuola e a me stesso, nondimeno mi pesava addosso, come l’Etna su Encelado o Tifone, e tutte le volte che muovevo le membra stanche per liberarmi, colei preponderava tutta intera sul mio povero corpo oppresso, schiacciato.

Ricordo una notte di fine novembre: solo nell’autostrada guidavo la bianca Volkswagen ancora ammaccata. Ero partito a mezza la notte dopo avere studiato La morte a Venezia per raccontarlo ai miei scolari e alla supplente Lucia. Sulla strada pioveva e c’era nebbia. “Novembre è il più crudele dei mesi-pensai-altro che aprile. Essere nato in uno di questi giorni privi di luce e di calore mi ha spinto ad amare il sole, le donne, la vita variopinta”. Ascoltavo da un nastro il preludio del Guglielmo Tell di Rossini: mi sembrava la traduzione in musica di una galoppata trionfale. Mi infuse voglia di correre per arrivare a rinnovarmi.

I beni, pensavo, sarebbero arrivati al momento giusto come accadeva ogni anno. La terra sarebbe tornata luminosa e fiorita, l’estate nuda incoronata di spighe, magari anche Lucia sarebbe venuta da me svestita a festa con il capo impreziosito da  qualche segno di supremazia  e mi avrebbe reso felice con una beatitudine superata di poco da quella divina.

Quando arrivai a Pesaro, intorno alle due, andai subito a vedere il mare il cui desiderio a Bologna talora mi fa sgorgare le lacrime quando lo vedo al cinema.

Quella notte però non ritrovavo la costa edenica che avevo rimpianto negli ultimi mesi. Una bruma fredda spirata dalla valle del Foglia copriva quasi tutta la rena e si stava allungando sul mare, tenebrosamente. Tuttavia appariva ancora, seppure intermittente la luna che quella sera era piena ed era in grado di inviare sorrisi sporadici sulla distesa marina nelle cui increspature si immillava le luce.

Pensai a Helena la maxima domina mater et magistra: “tibi rident aequora ponti”.

C’era una marea molto bassa, sicché camminando si poteva arrivare vicino agli scogli scabri della barriera senza bagnarsi. Quei macigni bianchi, coperti in parte di alghe verdi e mitili neri, mi fecero tornare in mente le rocce nude, i boschi e i prati della valle di Fassa quando al biancheggiare della luna brillano nelle notti serene di primavera e tutt’intorno freme la vita che rinasce nel greto del fiume, nei miti declivi già coperti di erba, negli erti pendii dei boschi, e muove i primi passi incerti anche nei dirupi scoscesi ancora chiazzati di neve.

Dopo qualche minuto andai a dormire speranzoso nella casa dove alloggiavo già da bambino, a pochi metri dal mare i cui aliti mi infondevano desiderio di avventure fin dai primi anni di vita.

 

Bologna 4 gennaio 2025 ore 20, 15 giovanni ghiselli

p. s.

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