giovedì 13 marzo 2025

Kaisa VII. Il sospetto. Il discidium e la riconciliazione. Fine della seconda parte della trilogia finnica.


 

Invece Kaisa non mi degnava, e, quando arrivammo al capolinea e scendemmo, ne avevo il cuore straziato. C’era un grande prato: una bella radura verde, luminosa tra alberi immensi. I più giovani, spensierati e vitali tra i nostri compagni, appena fuori dal trenino si misero a correre.  I più vecchi andarono a bere birra in un chiosco guidati da Danilo che era riapparso le sera prima mezzo morto di sete. L’amico mio e ancora più   del vino, reduce da un contrattempo che aveva ritardato il suo arrivo, cantava: “e se son pallido, senza colori, non voglio dottori, non voglio dottori! E se son pallido come una strassa, vinassa, vinassa e fiaschi de vin!”.

Quindi il fivloinoς   con un breve recitativo evocava un altro oggetto d’amore: “ O per lo meno tanti  birin dalla spuma che allieta”.

Concludeva ricordando l’aria di Papageno : “sono io gran bevitore sempre allegro, eccomi qua!”.

La turba dei seguaci lanciava applausi e accompagnava il dionisiaco metro con appropriate grida bacchiche. Un pastore protestante, non lontano da quella schiera, si segnava cristianamente per esorcizzare i demoni pagani evocati da quella festività orgiastica del tutto priva di Osanna e di Amen.

Un esorcismo vano, poiché la frenesia aveva invaso il corteo e gli sguardi accesi di quella confraternita invasata dal dio dell'evoè assumevano la dura fissità di smalto della Gorgone tremenda , mentre la voce di Danilo a tratti sembrava avere un timbro sovrumano e incuteva spavento. I suoi seguaci, avvicinandosi al chiosco bramato con una sete bruciante, emettevano bava secca che inaridiva la terra.

Chi era invece posseduto da Eros, aveva lineamenti più amabili, voce più dolce, gesti più pacati, più sobri. Siffatto ero anche io quando mi sentivo contraccambiato.

Quel pomeriggio invece mi aggiravo in disparte osservando i miei simili, e anche i dissimili, con aria introversa, e pure un po’ risentita. Mi rodeva parecchio che Kaisa non mi venisse vicino, anzi non si facesse nemmeno vedere nei miei paraggi. Quando la scorsi, lontana, mi sembrava perfino irata. Senza ragione. Io l’amavo. Non sapevo che fare. Anche durante il ritorno con il trenino che andava all’ingiù, rimanemmo discosti. Cominciavo a odiarla. A un certo  punto però la ritrosa mi diede un segno di rinnovamento: fingendo di sbagliare corriera, salì sulla nostra dove probabilmente non c’erano altri Finlandesi. Sedette in prima fila, lontana da dove stavo io, ed era imbronciata. Mi chiedevo se dovessi andare da lei. Qual era la ragione di quel cipiglio? Ci pensai qualche minuto, poi decisi di risolvere in un modo o in un altro quella situazione da manicomio: in fondo eravamo due amanti che non si erano dichiarata guerra, e tutto sommato, nonostante pochi piccoli screzi, e alcuni urti del braccio ingessato, facendo l’amore ce l’eravamo goduta un bel po’.

Che cosa voleva quella barbara mezza nordica, mezza asiatica?

Andai a sedermi nel posto vuoto accanto a lei. Aveva un gran muso. Un faccione.

Fu Kaisa a domandare: “che cosa vuoi tu da me?”

“Quello che ho sempre voluto e che tu hai avuto la generosità di offrirmi fino a ieri sera. Ho forse perduto la tua benevolenza?

“E me lo chiedi? Con che faccia? Mi sei stato sempre lontano, di sicuro per cercartene un’altra”, fece, guardandomi male.

Anche nelle intenzioni ero innocente. Ma le donne, più tradiscono, più sono portate a farlo, più attribuiscono agli altri tale inclinazione.

Questa volta del resto l’equivoco non mi dispiacque, poiché significava che Kaisa teneva molto a stare con me, almeno durante tutto quel mese.

Rassicurato sugli intenti suoi, riuscii a farle capire e sentire che si era sbagliata: io avevo aspettato con impazienza prima, poi con dolore e struggimento che venisse da me. Quando si fu convinta disse: “ mi sono sentita così desolata senza di te, così desolata!”[1].

Le risposi citando l’innamorata e abbandonata Tess di Thomas Hardy:  "I also:  only come back to me. I am desolate without you, my darling. O, so desolate!” [2]

 

Allora mi guardò a lungo con gli occhi azzurri un poco arrossati, bagnati di lacrime e illuminati da un sorriso incipiente: sembravano pezzi di cielo primaverile che, dopo il temporale, al tramonto, ha aperto uno squarcio dove si affaccia il sole poco prima di sparire dietro la panoramica fiorita di Pesaro, o tra le rocce del Latemar, riflesse, al pari dell’aria che  si rasserena rosseggiando, dall’acqua azzurra striata di porpora del lago di Carezza. Quindi, mentre lo strappo si allarga, le nuvole invide si diradano e lasciano il campo debellate dal dio allontanandosi verso Cattolica o verso i monti del passo San Pellegrino. Allora gli uomini buoni, abituati a osservare il sole Iperione che tutto vede e tutto ascolta dall’alto[3], tutti gli uomini e tutte le donne inclini ad amare la vita, sentono il sacro presagio di un dì più sereno. Platone mi ha insegnato che il firmamento è maestro di sapienza. E di amore. Del resto fin da bambino ho sempre osservato il cielo  con attenzione , commozione, venerazione, e non mi è capitato di vederlo per sbaglio o  per caso.

 

Dopo avermi guardato a lungo, Kaisa  sorrise e disse: “Rakastaa”.

Io la baciai e mi sembrò che le mie labbra toccassero il  luce del cielo riflessa dall’acqua e la terra fiorita dopo un inverno che intirizzisce gli uccelli facendoli cadere dai rami denudati dal gelo.

Poco dopo l’amante mi domandò perché l’avessi lasciata sola sul trenino e nella radura.

“Perché là c’erano i Finnici –risposi- e pensavo che tu non volessi volessi farti vedere mentre  amoreggio con te”.

“Che cosa vuoi che me ne importi dei Finnici? Io ti amo, mina rakastan sinua”, e mi baciò, sebbene fossimo seduti davanti, scoperti  nella luce incerta che del resto non impediva del tutto di rilevare atti sospetti,  e non era escluso che qualche altro finlandese, attirato da una persona, o dall’alcool del caro Danilo, potesse essere entrato nella corriera riservata, in teoria, a Italiani e Francesi.

Questi dopo qualche chilometro si misero a cantare: “Danilò de la table ronde, dite moi si le vin le bon, dite moi oui oui oui, dite moi no no no, dite moi si le vin le bon”.

L’amico rispose solo, canticchiando con un filo di voce: “ xe bon sì! Viva il buon vino! Sostegno e gloria d’umanità”[4].

Io, tra i baci,  gridai: “e le femmine dove le metti?”

Ma l’amico oramai, oppresso dall’amore del vino e dal piacere di berlo, era svenuto.

Noi due, Kaisa e io dico, invece ci baciammo per tutto il viaggio di ritorno, fino a Debrecen, poi anche oltre, e pur senza avere toccato liquidi alcolici, lo facemmo con furia, quasi strappandoci gli indumenti di dosso.

“Puoi toglierti tutto- dissi- dato che sei coperta dalla bellezza e dalla virtù dell’amore”.

 Se non altro, e non è poco, ci piacevamo a vicenda.

 Però la cattiva coscienza dell’adulterio,  aveva fatto supporre alla donna infedele  un tradimento inesistente, e  aveva indotto entrambi a turbare uno dei pochi giorni concessi dal fato al tempo precipitoso del nostro amore scosceso.

Di lì a poco tempo  Kaisa partì e non l’ho vista mai più.

Andai a cercarla nel settembre del 1974, due anni e due mesi più tardi, nell’Università dove era diventata assistente. Si fece negare, poi mi scrisse che non aveva potuto fare diversamente siccome era già abbastanza chiacchierata dalle linguacce.

In tal modo finisce questa storia d’amore, se può chiamarsi così. Sì, io la chiamo storia d’amore e non certo tra le meno belle della mia vita mortale.

 

Qui finisce la seconda parte della trilogia finlandese

 

Bologna 13 marzo 2025  ore 12, 05 giovanni ghiselli

 

p. s.

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[2]Thomas Hardy, Tess of the D’Ubervilles, Penguin books, p. 417.,

[3] L'elogio del sole  percorre parte della letteratura greca e prosegue oltre in quella europea. Voglio indicarne alcune espressioni. Già Omero, nell' Iliade  III, 277,  gli attribuisce la facoltà di vedere e ascoltare tutto:"  jHevliov" q j , o}~ pant& ejfora'/" kai; pavnt& ejpakouvei""; una formula che torna un poco variata in Odissea  (XI, 109) :"  jHelivou, oJ;" pavnt j ejfora'/ kai; pavnt& ejpakouvei".

Nell'inno "omerico" a Demetra , quando Persefone viene rapita, solo Ecate ed Elio , splendido figlio di Iperione ( " jHevliov" te a[nax JUperivono" ajglao;" uiJov""v.26), udirono la fanciulla che invocava il padre Cronide.

Nel Prometeo incatenato  di Eschilo  il titano invoca, tra gli altri, "to;n panovpthn kuvklon hJlivou"(v. 91), il disco del sole che tutto vede.

 

 Nella Parodo delle Trachinie  di Sofocle il Coro prega Elio, perché annunzi dove si trovi Eracle, invocandolo come "kratisteuvwn kat& o[mma" (v. 102), tu che superi tutti con il tuo sguardo, come interpreta lo scoliaste:"w\ nikw'n pavnta" tou;" qeou;" kata; to; ojptikovn", tu che vinci tutti gli dèi nel potere visivo.  

 

 

 Se ne ricorderà Ennio nella Medea  :"Iuppiter tuque adeo summe Sol qui omnis res inspicis "(fr. 148 Traglia, v. 1), Giove e tu in particolare, sommo sole che vedi tutto,

 

Nelle Metamorfosi  di Ovidio il sole si presenta a Leucotoe, per  farla sua, con queste parole :"ille ego sum-dixit-qui longum metior annum,/omnia qui video, per quam videt omnia tellus,/mundi oculus: mihi, crede, places !" (IV, 226-228), io sono quello, disse, che misuro il lungo anno, che vedo tutto, per cui vede tutta la terra, sono l'occhio dell'universo: abbi fiducia , mi piaci!" 

L'espressione si ritrova pure in  Shakespeare:"the all-seeing sun ne'er saw her match, since first the world begun " , il sole che tutto vede non ha mai visto una sua pari da quando il mondo è cominciato, giura Romeo Romeo e Giulietta  (I, 2)

 

[4] Cfr. “ Vivan le femmine!

Viva il buon vino!

Sostegno e gloria

D’umanità”, Don Giovanni, Mozart-Da ponte, II, 18.

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