NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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giovedì 16 febbraio 2012

Filellenismo necessario (sulla crisi in Grecia) - di Giovanni Ghiselli



E’ un filelleno chi scrive e fortemente filellenico è questo discorso.

Potrebbe rasentare la faziosità,  poiché l’umiliazione inflitta ai deboli provoca nelle persone per bene una forma di reazione istintiva e di insurrezione morale  contro la tracotanza dei prepotenti.

Gli errori dei governi greci, come l’assunzione di migliaia di impiegati inutili, o le spese colossali per le Olimpiadi, non possono giustificare l’umiliazione e la mortificazione inflitte a una nazione intera, al popolo che di fatto ha inventato il nostro modo di vedere le cose e di pensarle. E’ ai maestri della Grecia classica che dobbiamo la visione estetica, logica, etica e politica che abbiamo del mondo. Senza Euripide mediato da Seneca, e senza Plutarco, avremmo uno Shakespeare ridotto assai, quasi dimidiato; senza Erodoto e il suo dibattito costituzionale sviluppato in seguito da Platone, Aristotele e Polibio,  le teorie politiche moderne avrebbero meno spessore; senza  Empedocle e Sofocle, ai quali Freud riconosce i suoi debiti, la psicanalisi sarebbe più povera; senza il logos epitafios di Tucidide, dove Pericle afferma che la costituzione ateniese non pone alcun ostacolo al progredire di ogni cittadino, per quanto povero e oscuro, del resto capace, altra cosa sarebbe la nostra bella costituzione. Non ci sarebbe, o sarebbe diverso, il mirabile articolo 3. E così
via. Ai Greci antichi dobbiamo molto, molto più dei miseri quattrini che loro devono alle banche e alla finanza internazionale. Scendo nel particolare, nell’aneddotico, per  mostrare come la conoscenza della lingua ellenica e degli autori greci, sia fonte di salvezza.

Nella Vita di Nicia, Plutarco narra che alcuni Ateniesi finiti nelle Latomie di Siracusa, si salvarono grazie a Euripide. Infatti i Greci di Sicilia amavano il tragediografo e desideravano citarlo. Lo amano ancora: tutti gli anni vanno a vederlo rappresentato nello splendido, sempre vivo teatro siracusano. Alcuni dei superstiti dalla catastrofe del 413 a. C. dunque, tornati a casa, andarono ad
abbracciare affettuosamente il drammaturgo e gli raccontarono che erano stati affrancati dalla loro prigionia e schiavitù, poiché avevano insegnato ai vincitori  quanto ricordavano a memoria delle sue tragedie.

In effetti lo studio di Euripide, e di altri autori che accrescono la forza dei sentimenti e del pensiero critico, può avviare tante persone sulla strada dell'emancipazione dal servaggio alla pubblicità, alla propaganda, ai luoghi comuni. Un esempio: Euripide scrive contro la guerra: “E' stolto tra i mortali chi distrugge le città”[1]. I Greci dei nostri giorni devono spendere un cinque per cento del loro P.I.L. per comprare armi fabbricate dagli Europei più ricchi e guerrafondai. Armi micidiali e pure armi difettose. Ebbene, gli Elleni, che sono riluttanti a tale sperpero deleterio, devono essere affamati e umiliati. La classe dirigente italiana è ancora fatta di reduci dal Liceo classico e continua a  mandare i figli alla stessa scuola la cui materia caratterizzante è il greco antico. Questo idioma, tutt’altro che sepolcrale, ci è servito, con il latino, se non altro a conoscere e comprendere meglio la
nostra lingua madre. Un vantaggio che potenzia la vita.

Riporto un secondo aneddoto sul beneficio della conoscenza linguistica, a partire dal greco.
Elias Canetti in La lingua salvata, racconta che il nonno di sua madre una volta, mentre era in
un battello sul Danubio "aveva udito due uomini che, parlottando tra loro, in greco, stavano progettando un omicidio". Ebbene, grazie alla conoscenza di questa lingua, l'uomo poté denunciare la trama assassina "e quando i due delinquenti arrivarono per compiere la loro impresa, subito furono agguantati". Sicché l'autore comprese quanto fosse importante padroneggiare gli idiomi: "Con la conoscenza delle lingue si poteva salvare la propria esistenza e anche quella altrui".

Non il greco dunque è una cultura morta, da morti di fame, bensì la ciancia di quanti echeggiano il linguaggio della propaganda. Una volta, con réclame pustolose e farneticanti, si calunniavano gli Ebrei, preparando il loro sterminio. Ora è il turno dei Greci, cicale neghittose, fannulloni e sperperatori. Infatti: gran parte di loro è una massa di scialacquatori da seicento euro al mese, o perfino meno. Speriamo che nessuno voglia vederli morire di fame. Non dimentichiamo che i loro autori hanno nutrito lo spirito di molti Italiani ed Europei per tante generazioni.

Giovanni ghiselli g.ghiselli@tin.it 

[1] mw'ro~ de; qnhtw'n osti~ ejkporqei' povlei~, Troiane, v. 95. E’ il dio Poseidone che parla deplorando la distruzione di Troia e l’eccidio dei Troiani. 

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