Il 14 gennaio sul quotidiano la Repubblica è uscito un pezzo di Umberto Eco intitolato “Pericle il populista. Il suo discorso agli Ateniesi come esempio di malafede”. (pp. 56-57). L’ articolo contiene qualche imprecisione che vorrei segnalare con questa mia modestissima critica.
Il professore emerito del Dams di Bologna
esordisce vantandosi di avere suggerito che “Pericle era un figlio di
puttana” a un declamatore che si
accingeva a leggere il logos epitafios in piazza del Duomo a Milano dopo
l’elezione trionfale di Pisapia a sindaco della metropoli lombarda. L’attore,
lì per lì, aveva riso, ma poi, leggendo il discorso di Pericle ricostruito da
Tucidide, aveva capito che l’illustre semiologo aveva ragione. Questo famoso
elogio della democrazia contenuto nel discorso funebre sui caduti durante il
primo anno della guerra del Peloponneso dunque, secondo l’illustrissimo
articolista era una presa in giro dei morti e una fregatura per i vivi. Ma
rimaniamo un momento sulla madre di Pericle, infamata come “buona donna”,
“puttana” e, più eufemisticamente e grecamente, quale “etera”. Con questi
termini relativi alla madre di Pericle, il grande intellettuale ottantenne, intende
affermare, che il capo degli Ateniesi era un gran farabutto, come “tanti altri
politici”, dal momento che tutti costoro e tutte le loro madri si assomigliano,
e, d’altra parte, per dirla con Platone, la natura intera è imparentata con se
stessa. Tuttavia almeno una mamma di uomo politico, quella del grande statista
ateniese appunto, va distinta dalla volgare schiera: era infatti Agariste “la
nipote di quel Clistene che aveva cacciato i Pisistratidi e abbattuto
valorosamente la tirannide, dato ad Atene nuove leggi e istituito un governo
ottimamente equilibrato che garantì concordia e sicurezza” (Plutarco, Vita di Pericle,
3). Questa presunta “etera” apparteneva a una delle famiglie più nobili e
antiche di Atene, gli Alcmeonidi, che si erano opposti alla tirannide, con loro
pericolo e non senza loro danno, fin dal VII secolo a. C. Ma non è questa la
trombonata massima dell’esimio scrittore.
La regina, la madre di tutte le
trombonate di questo grandissimo, incredibilmente bravo docente dell’ateneo
bolognese, è quella che assimila “al populismo di Mediaset e all’elogio del
consumismo” gli spettacoli dell’Atene di Pericle, ossia le rappresentazioni
delle tragedie di Sofocle, Euripide e altri, le commedie di Cratino, seguite da
quelle di Eupoli e di Aristofane.
Questi drammi che fanno ancora parte
della corrente sanguigna della cultura europea, vengono addirittura paragonati
a quei mera homicidia, omicidi veri e propri, che furono gli spettacoli negli
anfiteatri romani. Seneca, tornato dal Circo scriveva: "avarior redeo,
ambitiosior, luxuriosior? Immo vero crudelior et inhumanior, quia inter homines
fui "(Ep. 7, 3), torno a casa più avido, ambizioso, amante del lusso? Anzi
più crudele e più disumano proprio perché sono stato in mezzo agli uomini.
Ora sentiamo Umberto Eco: “ quello che
egli voleva elogiare era la sua forma di democrazia, che altro non era che
populismo-e non dimentichiamo che uno dei suoi primi provvedimenti per
ingraziarsi il popolo era stato di permettere ai poveri di andare gratis agli
spettacoli teatrali. Non so se dava pane, ma certamente abbondava in circenses.
Oggi diremmo che si trattava di un populismo Mediaset”.
Populismo è “il rapporto carismatico tra
il capo e la folla”, una di “quelle forme di governo basate unicamente sul
consenso, sul plebiscito, sull’acclamazione, per le quali ancora Bobbio parlò
nel 1984 di “democrazia dell’applauso”. La folla, anzi la plebe, applaude in
maniera plebiscitaria appunto, siccome il capo carismatico la compiace, ma non
era questo il caso di Pericle. Lo leggiamo in Tucidide. Lo stratego
ateniese poteva contrastare il dh'mo"
fino a spingerlo all'ira (kai;
pro;" ojrghvn, II, 65,
8) poiché era inattaccabile nelle questioni di denaro. Pericle, per il fatto di
essere chiaramente e assolutamente incorruttibile dal denaro (crhmavtwn te diafanw'~ ajdwrovtato~ genovmeno~, II, 65, 8), teneva in pugno la massa lasciandola libera
("katei'ce to; plh'qo"
ejleuqevrw"").
Nell’articolo di Eco abbondano le
citazioni tratte dalla Vita di Pericle, scritta da Plutarco, e pure altre,
tratte dal discorso di Pericle sui caduti nel 431 a. C., ricostruito da
Tucidide nel terzo libro della sua opera. Ebbene ogni frase, pur bella e
nobile, viene presa in malam partem. Vediamo come.
Il Pericle di Tucidide elogia l’esemplare
costituzione ateniese, l’anima della città, con queste parole
In effetti ci avvaliamo di una
costituzione che non cerca di emulare le leggi dei vicini, ma siamo noi di
esempio a qualcuno piuttosto che imitare gli altri. E di nome, per il fatto di
essere amministrata non per pochi ma per la maggioranza, essa è chiamata
democrazia… e se uno può fare qualche cosa di buono per la città, non ne è mai
stato impedito per l’oscurità della sua posizione sociale. (Tucidide, II, 37,
1).
Di certo gli autori della nostra
Costituzione tennero presente questo passaggio del discorso di Pericle quando
concordarono l’articolo 3 in questi termini: “Tutti i cittadini hanno pari
dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso,
di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni
personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di
ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza
dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e
sociale del paese”.
Eppure il nostro impareggiabile ermeneuta
commenta: “Come discorso populista non è male salvo che Pericle non menziona il
fatto che in quei tempi ad Atene c’erano, accanto a 150.000 abitanti, 100.000
schiavi”,
Vero è che la Politeia dell’Atene di
Pericle ricevette molte critiche da filosofi e storici ostili alla democrazia,
e venne definita una costituzione anarchica e variopinta, o una prepotenza dei
non abbienti sui ricchi, o addirittura vituperata quale un prevalere della
canaglia, insomma una dittatura del proletariato ante litteram, come scrisse
diversi anni fa un illustre giurista del nostro Ateneo, Guido Fassò. Ma queste
sono tutte critiche partigiane di regimi sicuramente meno favorevoli alla
libertà e al benessere del popolo, e, in particolare, della povera gente. Vero è pure che c’erano
gli schiavi e che Pericle perseguiva una politica imperialistica non senza
vessazione degli alleati- sudditi, ma sicuramente questo grande personaggio
storico non mirava ad alcun arricchimento personale come il padrone di
Mediaset; infatti il figlio di Agariste, la nobildonna alcmeonidea, utilizzò il
denaro per far costruire quell’ acropoli
monumentale che è ancora un patrimonio dell’umanità colta, pure se non
appassiona “l’uomo del libro e di tutti i libri”, come quel grande
intellettuale e statista di primissimo piano che è Sarkozy ha salutato il
nostro articolista accogliendolo all’Eliseo.
Ognuna delle "opere di Pericle"
scrive ancora Plutarco “era, per la bellezza già allora antica, mentre per la
sua rifioritura appare, ancora oggi, recente e appena ultimata” (13, 5). Non
certo come le opere del padrone di Mediaset.
Voglio segnalare al maestro di tanti
Italiani altre analogie molto improbabili di questo “figlio di puttana” con il
padrone di Mediaset: “la sua eloquenza era immune da qualsiasi ciarlataneria
banale e plebea” (Plutarco, Vita, 5). “Davanti al popolo del resto, Pericle si
presentava solo a intervalli, per non ingenerare abitudine e saturazione ed
evitava di prendere la parola su ogni argomento” (7). Ma soprattutto questo
aspetto, messo in luce da Tucidide, Isocrate e Plutarco, mostra come Pericle
debba essere considerato l’antitesi di Berlusconi e di quasi tutti i nostri
politici: “La fonte della sua autorità non stava soprattutto nell’efficacia del
suo discorso, ma, come dice Tucidide, nella reputazione che godeva per
l’integrità della vita, e nella fiducia che si riponeva in lui, uomo
palesemente incorruttibile, e superiore al denaro. Infatti Pericle, che rese la
sua città, da grande che era, grandissima e ricchissima… non accrebbe di una
sola dracma il patrimonio che aveva ricevuto in eredità da suo padre (Plutarco,
Vita, 15).
Per quanto riguarda gli schiavi della
città, chi legge le commedie rappresentate a teatro, quindi probabilmente con
qualche realismo, ne ricava l’impressione che non stessero peggio degli operai
e dei piccoli impiegati di adesso. Certo è che i grandi maestri del pensiero
europeo, stanno assai meglio. Il nostro professore emerito, semiologo illustre,
grande signore della cultura, e romanziere planetario, quasi cosmico, dovrebbe
meditare su queste mie modeste, umili e sommesse osservazioni da proletario
della cultura, forse non immune da invidia di tanta inarrivabile grandezza.
18 gennaio 2012
Giovanni Ghiselli
g.ghiselli@tin.it
Definitely this blog is very informative and neatly designed for Eco Pur.
RispondiElimina