giovedì 6 giugno 2013

In memoria di Stefano Cucchi

Ritorno sulla vicenda tragica di Stefano Cucchi i cui carnefici sono rimasti impuniti. Questa assoluzione è uno schiaffo e un’offesa dolorosa inflitti alla madre Rita, al padre Giovanni, e alla sorella Ilaria che  sta rinnovando la storia dell’eroina di Sofocle, Antigone, la quale sacrifica la sua giovane vita per onorare la memoria e il cadavere del fratello Polinice.
La violenza esercitata contro le donne viene giustamente esecrata più o meno da tutti.
Come è possibile allora che dei ragazzi inermi vengano massacrati impunemente?
Alta e forte si deve levare la voce di condanna nei confronti di tali azioni orrende: violente e vili nello stesso tempo.
Se il ragazzo era emaciato, se era  logoro e consumato, queste erano ragioni per dargli una mano, non per tempestarlo di pugni furibondi.
Quando una  donna  subisce violenza, si sente subito, giustamente, il dovere e il bisogno di cercare, di punire  colui che ha compiuto tali infamie su infamie con mani lorde di sangue. Nel caso di Stefano Cucchi, di Giuseppe Uva, di Federico Aldrovandi gli assassini sono noti. Perché non vengono puniti o subiscono pene non commisurate alla gravità del loro  delitto infame?
Non devono esserci  assassinati o violentati  di serie A e di serie Z.
Il sangue sparso dal corpo torturato e martoriato di un essere umano è troppo per tutti i secoli e per tutta la terra, come sostiene umanamente Alessandro Manzoni [1].
Tali linciaggi barbarici devono essere vietati quale tabù del genere umano. E chi trasgredisce questo tabù deve subire anatemi e punizioni esemplari. Non la pena di morte, poiché non va eliminata nemmeno la vita di chi non rispetta la vita.
 Costoro però devono essere messi in condizione di non ripetere il crimine.
Ma veniamo alla sorella Ilaria che sembra incarnare il verso chiave (523) dell’Antigone di Sofocle: “non sono nata per condividere l’odio ma l’amore”.
Ha fatto notare tra le lacrime che “la giustizia è forte con i deboli e debole con i forti”. In filigrana ritrovo quello che disse lo scita Anacarsi al legislatore Solone: “le tue leggi sono come le ragnatele che trattengono le prede piccole e vengono spezzate da quelle grosse”[2].

Si parla tanto di riforme, di cambiamenti, di ripartenza.
Ebbene, si facciano leggi che mettano al primo posto il rispetto della vita.
A cominciare dalle vite più deboli e più bisognose di aiuto.
Il rinnovamento buono è quello che aiuta e favorisce la vita.
La quintessenza del male consiste nel dnneggiarla.
L’imperatore Marco Aurelio ha scritto: “noi siamo nati per darci aiuto reciproco (" pro;" sunergivan"), come i piedi, le mani, le palpebre, come le due file dei denti. Dunque l'agire  uno a danno dell'altro è cosa contro natura ("to; ou\n ajntipravssein ajllhvloi" para; fuvsin") [3]. 
Il danno non riguarda solo chi subisce violenza ma anche chi la infligge e chi la tollera, rendendosene complice in qualche modo.
Il male perpetrato e lasciato correre esonda su tutti.
In Devotions upon Emergent Occasion John Donne [4] ha scritto: "Nessun uomo è un'isola conclusa in sé; ogni uomo è una parte del Continente, una parte del tutto. Se il mare spazza via una zolla, l'Europa ne è diminuita, come ne fosse stato spazzato via un promontorio... La morte di qualsiasi uomo mi diminuisce, perché io appartengo all'umanità, e quindi non mandare mai a chiedere per chi suona la campana ("for whom the bell tolls "[5]); suona per te”. 
I politici dunque si occupino di questi casi rendendo paradigmatica l’esecrazione e la punizione della violenza, da chiunque venga esercitata, a chiunque venga inflitta.
Se lo facessero, darebbero un segno, un segno buono di occuparsi del valore senza il quale gli altri sono solo degli zero non preceduti da alcun numero successivo. Questo valore fondante e avvalorante gli altri è la vita di donne, uomini, ragazze, ragazzi, vecchie e vecchi.
Insomma la vita umana, la vita di tutti.

Giovanni Ghiselli. g.ghiselli@tin.it

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[1] Precisamente: "Il sangue d'un uomo solo, sparso per mano del suo fratello, è troppo per tutti i secoli e per tutta la terra"(Osservazioni sulla morale cattolica, VII).
[2] Nella Vita di Solone scritta da Plutarco troviamo un motto di Anacarsi che fu ospite e amico del legislatore Ateniese. Lo Scita dunque derideva l’opera di Solone che pensava di frenare l’iniquità dei cittadini con parole scritte le quali, diceva, non differiscono affatto dalle ragnatele (mhde;n tw`n ajracnivwn diafevrein, 5, 4), ma come quelle trattengono le prede deboli e piccole, mentre saranno spezzate dai potenti e dai ricchi (uJpo; de; dunatw`n kai; plousivwn diarraghvsesqai).
[3] Ricordi , II, 1
[4] 1572-1631
[5] E', notoriamente, il titolo di un romanzo di Hemingway, 1940

2 commenti:

  1. questo articolo mi ha fatto piangere, pensando a come la fragilità e la debolezza sono state attaccate invece che difese...

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  2. A questo inno all'amore per l'umanità e per la vita del giovane Cucchi e di tutti gli esseri che popolano questa terra vorrei aggiungere le parole che Goncarov fa dire ad Oblomov
    " Tendete la mano all'uomo caduto per sollevarlo , o piangete lacrima amare su di lui , se egli è finito , ma non lo schernite. Amatelo , riconoscete voi stesso in lui e trattatelo nel modo in cui trattereste voi stessi".
    Margherita Ghiselli

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