giovedì 11 luglio 2013

Effetti buoni e cattivi del vino



Il vino come afrodisiaco 
Una riflessione sugli effetti erogeni del vino si trova ne L'asino d'oro di Apuleio. Il curiosus protagonista Lucio, preparandosi a un incontro amoroso con  l'ancella Fotide, ricevuta in dono un'anfora di prezioso vino invecchiato, "vini cadum in aetate pretiosi", invita l'amante a bere insieme il liquido di Bacco elogiandolo come il miglior  viatico per percorrere una lunga rotta sulla barca di Venere: "Ecce - inquam - Veneris hortator et armĭger Liber advenit ultro! Vinum istud hodie sorbamus omne, quod nobis restinguat pudoris ignaviam et alacrem vigorem libidinis incutiat. Hac enim sitarchĭa navigium Veneris indĭget sola, ut in nocte pervigili et oleo lucerna et vino calix abundet" (II, 11), ecco, dico, che stimolatore e armigero di Venere arriva Libero spontaneamente! Beviamocelo tutto oggi questo vino che spenga in noi la viltà del pudore e susciti un focoso vigore di libidine. In effetti la barca di Venere ha bisogno soltanto di questo approvvigionamento in modo che, durante la notte di veglia, la lucerna sia piena d'olio e la coppa di vino. 
Liber viene interpretato quale dio gioioso anche da Tacito che contrappone i riti bacchici a quelli dei Giudei: "Quippe Liber festos laetosque ritus posuit, Iudaerom mos absurdus sordidusque" (Historiae, V, 5), certamente da noi Libero ha istituito riti festosi e lieti, mentre il costume dei Giudei è sgradevole e sporco.
Il nesso vino/Venere viene ricordato controvoglia da Leena, la vecchia ubriaca del Curculio di Plauto che deve offrire un goccio del suo tesoro liquido, com'è consuetudine, alla dea dell'amore: "Venus, de paullo paullulum hic tibi dabo hau lubenter. / Nam tibi amantes propitiantes vinum dant potantes / omnes…" (vv. 123-125), Venere, del poco che c'è qui darò un pochino a te non volentieri. Infatti tutti gli amanti facendo un brindisi ti offrono del vino per propiziarti. 

Shakespeare: il vino come “equivocatore della lussuria 
Il portiere del castello di Macbeth, una specie di portiere dell'inferno, come ipotizza di essere con ironia sofoclea[1], disquisisce intorno agli effetti del bere sulla libidine: la provoca e la disfa; suscita il desiderio ma ne porta via l'esecuzione. "Therefore, much drink may be said to be an equivocator with lechery", perciò bere molto si può denominare colui che rende equivoca la lussuria: la crea e la distrugge; la spinge innanzi e la tira indietro; la persuade e la scoraggia; "makes him stand to, and not stand to", la mette in piedi e non la tiene su, insomma la equivoca col sonno e dandole una smentita la pianta (II, 3). 

Leopardi: il vino come stimolo dell’intelligenza
Secondo Leopardi, il vino può essere uno stimolante anche per l’intelligenza: “Il vino (ed anche il tabacco e simili cose) e tutto ciò che produce uno straordinario vigore o del corpo tutto o della testa, non pur giova all’immaginazione, ma eziandio all’intelletto, ed all’ingegno generalmente, alla facoltà di ragionare, di pensare, e di trovar delle verità ragionando (come ho provato più volte per esperienza) all’inventiva ec.”[2].

Le donne sono calunniate da Euripide come inclini al vino e all’adulterio?
Euripide aveva fama di denunciare, tra gli altri difetti delle donne, l’ubriachezza. Sentiamo come se ne lamenta una nelle Tesmoforiazuse: “pou` d’ oujci; diabevblhc j, o{pouper e[mbracu-eijsi;n qeatai; kai; tragw/doi; kai; coroiv, / ta;~ moicotrovpou~, ta;~ ajndrerastriva~ kalw`n, / ta;~ oijnopivpa~, ta;~ prodovtida~, ta;~ lavlou~, / ta;~ oujde;n uJgiev~, ta;~ mevg j ajndravsin kakovn;” (vv. 390-394), dove non ci ha calunniato, dovunque ci siano un po’ di spettatori e poeti tragici e cori, chiamandoci le inclini all’adulterio, le amanti degli uomini, le ubriacone, le traditrici, le chiacchierone, le nulla di buono, quelle che sono un grande male per gli uomini? 

Ovidio: Il vino come inchiostro erotico. L’ubriachezza funzionale a Eros è quella simulata
Per quanto riguarda il rapporto dei commensali con il vino, sentiamo anche i consigli amorosi di Ovidio: "Hic tibi multa licet sermone latentia tecto / dicere, quae dici sentiat illa sibi, / blanditiasque leves tenui perscribere vino, / ut dominam in mensa se legat illa tuam, / atque oculos oculis spectare fatentibus ignem: / saepe tacens vocem verbaque vultus habet" (Ars amatoria, I, 567-572), qui puoi fare molte allusioni nascoste sotto un discorso coperto, tali che ella capisca che sono dette per lei, e puoi scrivere con una riga di vino teneri complimenti, perché sulla tavola legga che la tua padrona è lei, e osservare i suoi occhi con gli occhi che dichiarano il desiderio focoso: spesso il volto tacendo ha voce e parole[3].
Poco dopo leggiamo: "Ebrietas ut vera nocet, sic ficta iuvabit: / fac titubet blaeso subdola lingua sono, / ut quicquid facias dicasve protervius aequo, / credatur nimium causa fuisse merum" (Ars , I, 595-598), l'ubriachezza, come è dannosa se vera, così sarà utile se simulata: fai che la lingua scaltra vacilli con voce balbettante, in modo che tutto quanto tu possa fare o dire più impudente del giusto, si creda che sia stato causato dal vino eccessivo. 

Castiglione: la critica al suggerimento di Ovidio 
Ne Il libro del cortegiano[4] Giuliano de' Medici delinea la figura della dama di palazzo  e suggerisce di leggere Ovidio per saperne di più sull'amore. Allora messer Bernardo gli obietta che un paio di prescrizioni dell'Ars non sono propriamente eleganti: "E come… Debb'io sperare che e suoi precetti vagliano in amore? poiché conforta e dice esser bonissimo che l'uom in presenzia della innamorata finga d'essere imbriaco (vedete che bella manera d'acquistar grazia!), ed allega per un bel modo di far intendere, stando a convito, ad una donna d'esserne innamorato, lo intingere un dito nel vino e scriverlo in su la tavola". Rispose il Magnifico ridendo: "In que' tempi non era vicio[5]" (III, 72). 

Il vino fa scordare gli affanni. Alceo, poi Orazio con il carpe diem 
Di Alceo vediamo il fr. 346 LP:
"Beviamo: perché aspettare le lucerne? il giorno è un dito; / tira giù le grandi coppe variopinte; / infatti il figlio di Zeus e di Semele diede agli uomini il vino / che fa scordare gli affanni (laqikavdea[6]). Versa mescendo una e due parti / riempile fino all'orlo, e una coppa scacci l'altra". 
Orazio si ricorda dell'aggettivo che elogia il vino come portatore di oblio e di tutta la situazione cui peraltro dà una localizzazione italica, anzi campana. in Ode  II, 7, 21-22: "Oblivioso levia Massico / ciboria exple", riempi le coppe levigate di Massico che fa dimenticare.
Quindi l’ode I, 11, quella del carpe diem:
"Tu non chiedere (è un orrore saperlo) quale termine a me, quale
a te abbiano assegnato gli dèi, Leuconoe, e non provare
i calcoli astrologici. Com'è meglio prendere qualsiasi cosa verrà.
Sia che Giove ti abbia assegnato parecchi inverni, sia questo
l'ultimo
che ora sulle opposte scogliere corrose stanca il mare
Tirreno, sii saggia, cola il vino, e, siccome lo spazio è breve,
dai un taglio alla speranza lunga. Mentre parliamo, sarà fuggito 
invidioso il tempo della vita: cogli il dì presente e al futuro dai credito meno che puoi"

Di nuovo Shakespeare: il vino come nemico che ruba il cervello.
Non sempre l’effetto del vino è consolatorio.
Vediamo le conseguenze  del berne troppo nell’Otello di Shakespeare dove Iago spinge Cassio a ubriacarsi perché si danneggi da solo. Il perfido canta: “A soldier’s a man; / A life’s but a span; / Why then let a soldier drink” (II, 3), un soldato è un uomo; la vita di un uomo è solo una spanna; ebbene, allora lasciate bere il soldato!
In seguito Cassio perde la testa e la reputazione, che egli considera la sua parte immortale e umana ("I have lost the immortal part of myself, and  what remain is bestial", II, 3), quindi accusa il vino: “O God, that men should put an enemy in their mouths to steal away their brains! That we should, with joy, pleasance, revel and applause, transform ourselves into beasts!" (II, 3), o Dio, che gli uomini debbano mettersi un nemico in bocca che rubi via il loro cervello! Che noi dobbiamo con gioia, piacere, tripudio e applauso, trasformarci in bestie!

Giovanni Ghiselli

PS. Questa scheda fa parte del commento alle Baccanti di Euripide che sto preparando per La scuola di Brescia.
I versi della tragedia che elogiano il vino fanno parte del I Stasimo. Riporto la seconda antistrofe  che conclude questo canto corale, Ant. b:
Il demone figlio di Zeus
gioisce delle feste,
e ama Irene che dona benessere,
dea nutrice di figli.
Uguale al ricco e a quello di rango inferiore
concede di avere la
gioia del vino che toglie gli affanni;
e porta odio a chi queste cose non stanno a cuore:
durante la luce e le amabili notti
passare una vita felice,
e saggia tenere la mente e l’anima lontane
dagli uomini straordinari;
ciò che la massa
più semplice crede e pratica,
questo io vorrei accettare.

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[1] Egli esordisce dicendo: Questo si chiama bussare per davvero! Se un uomo fosse portiere dell'inferno ("if a man were porter of hell-gate") avrebbe l'abitudine antica di girare la chiave (II, 3). Non "possiamo fare a meno di sentire che nel far finta di essere il portiere dell'inferno egli è terribilmente vicino alla verità" (Bradley, op. cit., p. 424).
[2] Zibaldone, 3552.
[3] Il volto infatti, soprattutto quello femminile, chiede di essere decifrato: “Era un viso femminile uguale a centinaia di altri visi sui quali si era chinato, in situazioni simili, con la stessa curiosità vigile e affettuosa, come se dovesse decifrare chissà quale misteriosa iscrizione, quale parola tracciata con segni cabalistici e magici, una parola in grado di dare senso alla vita” (S. Màrai, La recita di Bolzano, p. 54.).
[4] Un trattato in quattro libri in forma dialogica ambientato alla corte di Urbino. Fu scritto da Baldesar Castiglione  tra il 1513 e il 1518 e pubblicato nel 1528.  Abbiamo già citato il primo libro per quanto riguarda lo stile della neglegentia.
[5] Vizio ndr.
[6] Formato da lanqavnw e kh'do~.

2 commenti:

  1. Carissimo Gianni,
    potremmo instituire un nesso anche tra vino e bicicletta: in effetti quando si fanno 100 km al giorno, magari con qualche salita, si può bere più liberamente senza pagare dazio.
    Nelle Marche non troveremo la retzina, ma gusteremo sicuramente altri vini della tua terra per condire la nostra amicizia.
    alessandro

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  2. Beviam nei lieti calici...che l'unico vino che rimpiango è quello che non ho bevuto...il vino che vorrei ancora è quello delle belle tavole ...con te, con Luisa...Quando Eleonora era piccola e quando è arrivato Stefano...ma non disdegno il vino che prelude al gioco amoroso complice e invitante...insomma queste belle citazioni mi hanno regalato la gioia di tanti bei momenti che il nettare prelibato degli dei mi ha concesso...e anche la memoria di qualche sregolatezza ben pagata.Queste pagine scritte così bene fanno sembrare semplice quello che non lo è,tanto studio e tanto lavoro sono esposti con una naturalezza e una bravura che invidio e stimo.Scrivo queste poche righe con profonda gratitudine che queste citazioni,ma anche gli articoli e la narrativa mi danno tanto piacere -

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