Ricordo un evento significativo del mese di ottobre.
Ifigenia, oltre le gambe belle e slanciate, non aveva alcun mezzo di locomozione e si faceva accompagnare da me quando doveva compiere un tragitto non breve in poco tempo.
Un sabato, verso le tre, mi telefonò chiedendomi di portarla da un fotografo professionista che le avrebbe fatto dei “ritratti”.
Pensava che lasciare alcune sue foto ben riuscite in un cassetto della scuola per aspiranti attori significasse dare una mano alla sua ambizione, in quanto può capitare-diceva- che dei registi frughino nei cassetti della nostra “accademia” cercando immagini di volti espressivi.
“O insensata cura de’ mortali!”, pensai. Come ho già detto, la ragazza era bella ma non particolarmente espressiva.
La sua volontà di recitare oramai era decisa e la manifestava senza mezzi termini. A me non dispiaceva: se da una parte rischiavo di perderla, dall’altra mi aspettavo che se il suo piano avesse avuto successo sarebbe diventata più interessante per me e mi avrebbe stimolato a fare il salto di qualità da studioso divulgatore di scritti altrui a creatore di testi per l’amante attrice. Se invece lei non fosse riuscita nel suo intento restandone frustrata, tediosa, inutile peso alla terra e opprimente per me, prima o poi con le mie capacità di studioso, oratore e scrittore avrei impressionato un’altra giovane donna da mettere al posto di questa fallita.
Sabato 20 ottobre dunque Ifigenia salì sulla mia nuova automobile: una bianca Volkswagen decappottabile che sostituiva la nera dei tempi belli e lontani dei giri con Helena la mater domina et magistra di allora.
La trattavo con ogni riguardo come si fa con tutte le cose, e pure con le persone, prima di considerarle logore e viete in seguito all’uso che ne abbiamo fatto noi stessi. Ora comprendo che le persone non sono cose e non vanno usate come tali.
Durante il tragitto Ifigenia si diede ai sbaciucchiarmi il volto, compresa la parte che avrebbe dovuto guardare e vedere.
Profecto in oculis animus habitat"[1], con gli occhi mi chiudeva ogni via alla necessaria attenzione.
Avrete già capito cosa accadde: un incidente che non descrivo.
Sentìì come un tuono.
Acciecato com’ero, urtai un ragazzo su uno scooter, lo feci cadere arrossarsi di sangue e impallidire dallo spavento. L’automobile nuova compratami da mamma e zie con una colletta ne rimase ammaccata. Quel giorno decisi che colei non era la donna per me. Oggi, passati diversi decenni, so che talora un accidente, spiacevole sul momento, è comunque un segno del cielo che ti dice: “guarda che sei su una strada sbagliata! Il metodo che stai seguendo non è la via che può condurti al compimento di te stesso, alla tua felicità. Su questo percorso tu non funzioni: non è il tuo. Devi ancora trovarlo: cercalo altrove!”.
In novembre, alla prima occasione, mi innamorai di un’altra giovane donna, una nuova supplente appena arrivata. Si chiamava Lucia: bellina, bellina assai!”
Bologna 4 gennaio 2024 ore 13, 57 giovanni ghiselli
p. s.
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