Eva mi civilizzò a partire da piccole cose che trascuravo nella rozzezza mia. Per esempio ringraziava il cameriere che ci aveva servito, poi, uscendo dal locale, salutava con gentilezza e grazia non affettate.
Nell’ora dell’addio mi diede una rosa rossa, “in segno riconoscenza- disse-perché sei stato umano con me”.
Cantava e sorrideva come un angelo. Di rado in vita mia ho trovato altrettanta delicatezza. Durante quell’estate noi giovani si cantavano in coro canzoni politiche o sentimentali: andava molto Bella Ciao, Bandiera rossa e pure Fabrizio de André, soprattutto Bocca di Rosa che noi Italiani sceneggiammo durante una festa. Ci piacevano i pensieri e i sentimenti buoni, non le urla rabbiose, insensate , non i rumori assordanti delle discoteche.
In Ungheria ancora non c’erano. Era un altro mondo rispetto a Rimini dove si trovava appunto una discoteca famosa L’altro mondo appunto. Il tempio del beat la chiamavano. Ci andai una volta, per curiosità, ma non resistetti più di dieci minuti in quel chiasso e in quel buio d’inferno e di notte privata d’ogni bellezza.
“Perché eri già vecchio allora” penserà qualche giovane che mi legge. Può essere: a ventitré anni avevo già imparato molto dal dolore e cominciavo a rifletterci sopra, a capire. Poco ancora, ma procedevo metodicamte su quella strada.
Del resto allora eravamo in molti a sentire solidarietà per gli oppressi, a manifestare volontà di partecipazione e di impegno politico, cioè nella polis. Anche gli amici di destra.
Misi in atto la mia aspirazioni al politico comunista l’anno seguente cominciando a insegnare nella scuola media. Cercavo di dare una preparazione da liceo classico, ossia da classe dirigente, a tutti i miei allievi.
Questa volontà di emancipare gli allievi era pure di moda ma io la sentivo come un dovere, una missione e ho continuato a farlo anche quando la moda passò: mi sono sempre adoperato perché i miei discepoli non venissero risucchiati dal gorgo di ignoranza e volgarità che vorticava trascinando in fondo chi rimaneva privo di mezzi per evitarlo.
Quanto all’essere comunista in un primo tempo era stata una posa perché mi sembrava cosa elegante ma poi è diventato un fatto morale e associato al mio carattere e alle mie scelte di vita: non sono mai stato capace di una esistenza privata: ho sempre agito in vista del pubblico e in favore del bene comune. Chi non è comunista è egoista e non può essere nemmeno cristiano.
In Ifigenia trovai un’alleata per qualche tempo. Poi il gorgo ha inghiottìto anche lei.
Pavese poco prima di ammazzarsi scrisse a una ragazza: “ Se mi sono innamorato di te non è soltanto perché, come si dice, ti desiderassi, ma perché tu sei della mia stessa levatura”1. Lo erano state per un mese Helena, Kaisa, Päivi, poi Ifigenia per altri nove mesi. Un anno in tutto.
Non è poco del resto nel tempo breve e precipitoso di una vita umana.
Nell’agosto del ’79 Ifigenia mi promise una lettera che non mi scrisse. Chi prende un impegno poi se ne scorda, non è della mia stessa levatura per modesta che essa sia.
Dopo ne ho trovate altre, diverse altre grazie a Dio, e differenti tra loro, ma nessuna ha occupato il posto lasciato sì presto dalle finlandesi di cui ho raccontato.
Le rosa rossa di Eeva del ’68 e quella bianca di Josiane del ’74 2 diventarono prima secche, quindi svanirono in cenere. Non ero stato capace di coglierle ma ho continuato a rimpiangerle e amarle3
Perchè ho nostalgia di donne del mio stampo4
Una del tutto del mio stampo del resto non l’ho mai incontrata. Non era destino.
giovanni ghiselli
Note
[1] A una ragazza. Bocca di Magra, agosto 1050
2 Cfr. La storia di Päivi. Puoi leggerla nel libro Tre amori a Debrecen prestato dalla biblioteca Ginzburg di Bologna. Non c’è bisogno di comprarlo. Anche la storia della rosa bianca di Josiane è raccontata in questo libro.
3Cfr G. Gozzano, Cocotte: “Il mio sogno è nutrito d’abbandono,/di rimpianto. Non amo che le rose/che non colsi. Non amo che le cose/che potevano essere e non sono/ state (…) Vedo la casa, ecco le rose/ del bel giardino di vent’anno or sono! (vv. 67-72)
4 Cfr. E. Pound, For I am homesick after mime own kind
Prigioniero (1917) v.15
p. s.
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