martedì 11 marzo 2025

Kaisa III. Il Narciso pesarese si compiace guardandosi allo specchio. L’innamorato vezzeggiatore.


 

Sulla via del ritorno alla terrazza, dopo lo svuotamento della vescica, passai davanti a uno specchio murale posto in uno dei corridoi lunghi e complicati del labirintico albergo. Con la coda dell’occhio destro intravvidi la mia sagoma riverberata di profilo mentre camminavo piuttosto in fretta. Fatti pochi altri passi però, tornai indietro: volevo vedere bene quale fosse la consistenza della mia figura osservata nell’immagine riflessa.

Fermo davanti a me stesso, mi piacqui, ripresi fiducia nella bontà della vita a mio riguardo. Ero un suo prediletto: snello, abbronzato, il corpo ben fatto, limpidamente proporzionato, vestito di lino bianco. Un tessuto semplice e puro, non l’escrescenza[1] di un corpo pigro, grasso e molle.

Avevo un volto simpatico e sorridente a se stesso: quanto mutato da quello[2] del disgraziato ragazzo grasso, sfasciato, infelice, arrivato all’Aranybika di Debrecen nel luglio del 1966[3], sporco, spaventato e ingordo di cibo, pur con il ventre già enfiato e crepitante!

La smodatezza aveva deformato il mio corpo e la mente dai pensieri funesti.

 Allora evitavo ogni specchio per non vederci riflesso lo sciagurato aspetto   quasi deforme, i capelli costantemente unti, e il viso angosciato stravolto in grugno immondo, odioso a se stesso e alle donne.

“Adesso invece-pensavo nel luglio del ’72- mi piaccio, mi amo, e lassù, sulla terrazza per la seconda volta in due anni, mi aspetta una donna  bella e  fine che contraccambia la mia simpatia. Per ora la simpatia. Presto però devo portare nel letto mio anche questa. Mi ha fatto fretta lei stessa rivolgendomi il suo vivido sguardo, muovendo la lingua dolce come il miele dentro la bocca. Faremo insieme il massimo. Allora sentirò di nuovo l’armonia dell’Universo. Potrò trarne e darle piacere. Voglio specializzarmi in adultèri con spose novelle o prossime alle nozze.

Il contrario di quanto si vanta il personaggio Eschilo delle Rane di Aristofane: quando dice di non avere mai creato Fedre né Stenebèe povrnaς , sgualdrine e nemmeno una donna in amore mai- ejrw'san gunai'ka (1043)- Sguadrine secondo me sono solo quelle che fanno sesso per lucro.

 

Non devo temere gli anatemi della pretaglia che ignora perfino le parole di Cristo il quale perdona le adultere come diverrà, e forse già è Kaisa. Il figlio della ragazza madre, buono com’è, rimette tutti i peccati a quelli che hanno amato molto. I sacerdoti davvero santi  benediranno la nostra lussuria felice! ”.

Mi osservai per qualche minuto, e mentre l’occhio si spostava in gioiosa frenesia dal volto abbronzato alla vita da torero, provavo qualche movenza da ripetere davanti alla graziosa, preparandomi mentalmente citazioni splendide da recitare al momento opportuno. Mi venne in mente un distico  del magister[4] del gioco amoroso dal quale mi facevo appunto ammaestrare:

Rusticus est nimium quem laedit adultera coniunx[5] .

Feci a me stesso qualche sorriso mentre sceglievo le parole che più mi avrebbero giovato nella commedia che andavo a recitare.

Un fraseggiare conciso, pieno di evidenza e di potenza, volevo trovare e impiegare. Parole che rispecchiassero la mia passione vivace.

Durante questi preparativi della prossima scena, tutta l’immagine mia sorrideva contenta nel grande specchio murale, perfino il lino della giacca e il cuoio  dei mocassini davano segni di compiacimento.

 

Mi piaceva assai stare lì a contemplarmi, ma non potevo farla aspettare altro tempo. Non volevo del resto finire come Narciso, non dovevo perdere la vita per eccessivo amore della mia immagine che non potevo stringere con le braccia gettate dentro lo specchio[6]. Ripetei mentalmente l’ottimo Ovidio pensando anche di recitarlo a Kaisa, se me ne avesse data l’opportunità: “Conloqui iam tempus adest; fuge rustice longe/hinc Pudor: audentem Forsque Venusque iuvat "[7].

Poi, se la ragazza, e madre, avesse continuato a mostrare gradimento, le avrei  consigliato di non opporsi a un amore gradito :"placitone etiam pugnabis amori? "[8].

Se invece avesse dato segni di riluttanza, avrei cercato di intenerirla gridando: “Uror, io! Remove, saeva puella faces"[9]

Ti chiederai, Lettore Perché tanto latino? Perché è la lingua che salva il pudore, nel senso che parlandolo puoi dire qualunque parola oscena, da fellatio a glubere, senza vergognarti, ma soprattutto voglio spingerti a leggere e amare questa lingua che è l’italiano antico, la nostra lingua nonna, se così si può dire. Ma soprattutto perché a Kaisa piacevo quando latineggiavo.

 

 

Sicché, dato un bacio furtivo all’immagine mia, mosso dalla spinta  dell’amore ineccepibile e sacrosanto per la bella studiosa, tornai sulla terrazza, alla seggiola rossa, al tavolo coperto di fiori, alla mia finnica dai capelli e dagli occhi del colore di quelli della madre mia: azzurri o turchini, o viola, secondo la luce, più chiara o meno chiara.

Mi scusai per l’indugio e ripresi a lusingarla. Con l’adulazione si può sedurre anche una vestale[10], una suora sposa di Cristo, o un’intellettuale iperborea consacrata più allo studio che alla famiglia. Mi ero prescritto la parte dell’innamorato vezzeggiatore[11] e dovevo trovare ogni parola, ogni pretesto perché lei si sentisse apprezzata, amata e invogliata a contraccambiarmi

 Facevo pure l’atto fisico, provato poco prima allo specchio, di prosternarmi davanti alla sua bellezza, alla sua serietà, alla sua castità. Nello stesso tempo cercavo di indurla ad accogliere le mie ragioni seminali

“Tizzone infernale! , penserai tu, lettore. “La tua fiamma erotica di sicuro trae  alimento dal fuoco della Gehenna!”[12].

Più che altro avevo scelto la parte  del complice con la realtà della vita.

Di fatto ero ispirato e spronato da un demone. Non potevo, non volevo recalcitrare al suo pungolo. Assecondavo il demone mio, non preso a prestito da altri come quello di coloro che si sposano perché così fan tutti o quasi tutti, poi si annoiano, litigano con la moglie, si cercano un’amante o un amante. Oppure sono gelosi e  picchiano o ammazzano. No, ero meno stupido io, e anche meno immorale e bestiale. Non credi, lettore?

Inducevo le donne  a fare il loro piacere con me, condividendo tutto. Con garbo.

 Mi ero già abbastanza inserito nel favore di me stesso e volevo entrare nel corpo di lei. Lo volevo proprio, lo volevo davvero, senza alcuna riserva. Te lo giuro, lettore.

Mentre risalivo le scale avevo deciso, tra l’altro, che, dopo l’intervallo, dovevo iniziare il secondo tempo con Kaisa riprendendo le cime degli argomenti trattati nei primi momenti del corteggiamento.

Dunque tornai a recitare il ruolo dell’innamorato quasi senza speranze. A questo punto ero pressoché sicuro che la mia disperazione  sarebbe stata smentita. Infatti era finta.

Dopo una breve pausa ripresi a parlare: “mi sei mancata tanto che ho fatto una  corsa su per le scale ” dissi con voce resa rauca dalla lena che ostentavo affannata.

Aggiunsi di avere deciso che solo lei poteva ridarmi la speranza, la voglia di vivere. Aveva la possibilità di rendermi idoneo a una vita migliore di quella che conducevo. Senza di lei, tutto il bene, il bello, il desiderabile del mondo, dell’universo intero, comprese le stelle sopra di me, e ogni gioia, ogni nobile aspirazione dentro di me, insomma proprio tutto, era inconsistente, privo di ogni sostanza. “Oujsiva ?” Domandò lei, “Precisamente”, risposi del tutto serio. Poi rincarai la dose nichilistica dicendo che se venivo orbato della presenza beatifica di lei rimaneva la porta del nulla spalancata su un vuoto terrificante. Le mie fatiche umanamente spese si sarebbero miseramente vanificate. Temevo, conclusi, che avrei sofferto l’estremo naufragio.

Dove non arrivavo con l’inglese a dire tante amenità, mi aiutavo con il latino, il greco e pure con l’italiano che la bella studiosa capiva poiché conosceva il francese. Sotto sotto ci divertivamo entrambi.

Cominciai a recitare un  affanno da nuotatore stremato, ut saevis proiectus ab undis/navita[13].  Gli occhi luccicavano umidi. Giurai che l’unica donna davanti alla quale avevo rinunciato alla mia fierezza e al mio orgoglio piegando il capo altero era lei. 

Cialtronissimo buffone da osteria e volgare mimo che insulti il pudore, mi direte voi lettori, quanti siete persone per bene, caste, sincere,  incapaci di simulare e dissimulare.

Invero neppure io simulavo né dissimulavo: stavo cercando di rendere evidente quanto sentivo, poiché “sentivo” davvero, e con forza, il desiderio, il bisogno di quella creatura semidivina.

Non so se ora voi la vedete nelle mie parole drizzate allo scopo, ma allora io la vedevo, minacciosa e pure promettente, oltre che sentirla. Dico della brama erotica.

 Kaisa sembrava un poco lusingata, un poco incredula e anche un poco divertita. Capiva che la parte recitata era pure vissuta. E sentiva che se nelle parole c’era qualche ironia, nei fatti, negli atti non ci sarebbe stata. Ci chiesero se volevamo un dolce, della palinka o delle sigarette. Kaisa scosse la testa bella, l’acropoli della sua persona,  in segno di virtuoso diniego, e io  dissi: “brava, non dobbiamo riempirci di malvagità”. Sorrise alla mia battuta. Non smetteva di osservarmi e ascoltarmi con attenzione. Sicché fui certo della mutua cupido.

 

Bologna 11 marzo 2025 ore 12, 06 giovanni ghiselli

p. s

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[1] In De Iside et Osiride Plutarco spiega che il lino spunta dal seno della terra immortale e produce una veste semplice e pura parevcei kaqara;n ejsqh`ta che non pesa ma offre riparo dal calore ed è adatta ad ogni stagione e non genera insetti 352F.

Nel De Magīa Apuleio scrive che la lana è escrescenza di un pigrissimo corpo segnissimi corporis excrementum (56). Già Orfeo e Pitagora la riservavano alle vesti dei profani. Invece mundissima lini seges, la purissima pianta del lino, tra i migliori frutti della terra, copre i santi sacerdoti d’Egitto e gli oggetti sacri.

Erodoto scrive che gli Egiziani considerano empio entrare nei santuari e farsi seppellire vestiti di lana (II, 81).

 

[2] Cfr. Virgilio, Eneide II, 274 “quantun mutatus ab illo

[3] Cfr. L’arrivo a Debrecen pubblicato nel libro Tre amori a Debrecen. Non compratelo: si trova in prestito nella biblioteca Ginzburg di Bologna.

[4] Alla fine dell'Ars Amatoria  leggiamo:"Lusus habet finem...Ut quondam iuvenes, ita nunc, mea turba, puellae/inscribant spoliis Naso Magister Erat " (III, 809 e 811-812), il gioco è finito...Come una volta i giovani, così ora le ragazze, mio seguito, scrivano sulle prede "Nasone Fu Il Maestro".

[5] Ovidio, Amores III, 4, 37, è  davvero rozzo quello che una moglie adultera offende

 

[6] Cfr. Ovidio, Metamorfosi: “bracchia mersit aquis nec se deprendit in illis! (II, 429)

[7] Ars amatoria I, 605-606), è già tempo di parlarle; fuggi lontano di qui, rozzo Pudore, la Sorte e Venere aiutano chi osa.

[8] Eneide IV, 38 v. 38) ti opporrai ancora a un amore che ti piace?

 

[9] Tibullo II, 4, 1-6),  Brucio ahi! Allontana, crudele ragazza, le fiaccole!

 

[10] Cfr. Dostoevkij, Delitto e castigo, VI, 4, 

[11] Cfr. Platone, Rsp. 474d : ejrasth;ς uJpokorizovmenoς

[12] Cfr. Nuovo Testamento,  Epistola di Giacomo, 3, 2-8: kai; flogizomevnh uJpo; th'" geevnnh".

 

[13] Lucrezio, De rerum natura V, 221-222,  come un marinaio naufrago gettato a riva da ondate furiose

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