venerdì 24 maggio 2013

Il referendum di Bologna sulle scuole



A Bologna infuria il dibattito sui fondi comunali alle scuole materne paritarie. Continuare a darli o toglierli? Il problema è questo. La cittadinanza potrà esprimere il suo parere attraverso un referendum.

Vediamo alcune ragioni degli uni e degli altri.

Romano Prodi
è il più autorevole sostenitore del mantenimento dei finanziamenti alle paritarie. Il professore ha scritto nel suo blog che il referendum si doveva evitare poiché apre in modo improprio un dibattito che va oltre i ristretti limiti del quesito. Lui comunque voterà l’opzione B, quella del finanziamento "per una semplice ragione di buon senso". Infatti, "perché bocciare un accordo che ha funzionato bene per tanti anni?" Domanda il professore, e aggiunge: "Credo che le restrizioni che oggi limitano drammaticamente l’azione del Comune (per cui non tutti coloro i quali vogliono mandare i figli alle scuole comunali e statali possono farlo) siano dovute a una errata gerarchia nella soluzione dei problemi del paese, e non solo ad accordi di questo tipo".

Il referendum si terrà domenica 26 maggio. Si voterà dalle 8 alle 22. Possono votare i maggiorenni residenti mostrando un documento di identità.

Il sindaco Virginio Merola ha chiarito che il risultato del referendum è solo consultivo e non gli farà cambiare opinione rispetto al suo programma di mandato che prevede il finanziamento. Credo che un sindaco eletto dai cittadini di Bologna, dovrebbe tenere conto dell’opinione della maggioranza dei Bolognesi.
Dalla stessa parte è schierato il cardinal Carlo Caffarra e tutta la destra politica. Le loro ragioni sono la libertà di scelta dei genitori e l’insufficienza dei posti nella scuola pubblica.

Sull’altro fronte si trovano diversi personaggi locali e nazionali: Francesco Guccini, Gino Strada, Stefano Rodotà, Michele Serra, Sergio Cofferati, e altri più e meno famosi.
Riferisco le parole  di alcuni dei soliti noti locali, quelli che voteranno domenica.
Guccini
, che potrebbe influire parecchio sul risultato referendario grazie alla sua popolarità,  sostiene, con parole a dire il vero un poco generiche, che "la scuola dell’infanzia, pubblica, laica e plurale, è uno dei luoghi fondamentali dove l’uomo prende forma e inizia il suo viaggio". Poi cita Calamandrei: "Bisogna, amici, continuare a difendere nelle scuole la Resistenza e la continuità della coscienza morale".

Io dico che tali difese possono essere condotte efficacemente da insegnanti preparati, onesti, capaci e che le qualità morali e intellettuali non dipendono da etichette di nessun genere. Oggi si guarda troppo ai cartellini con il nome delle persone classificate magari per genere o per età, senza tenere conto della sostanza.
Pullulano i dibattiti, i confronti, le manifestazioni  degli uni e degli altri. Ieri, nella sede del quotidiano "la Repubblica" si è tenuto un forum sul Referendum: un duello oratorio tra Zamagni e Bonaga.
Il primo sosteneva la paritaria affermando che questa non è scuola privata ma anch’essa pubblica e che "Lo Stato assolve il suo dovere di fornire istruzione pubblica anche affidandola a soggetti non lucrativi che accettino le regole e i parametri della legge".
Bonaga ha denunciato: "il livello indecoroso del finanziamento pubblico all’istruzione: in Italia metà della media europea".
Poi ha aggiunto: "Anche in tempo di crisi, il contadino non risparmia sulla semina, dobbiamo investire di più sulla scuola pubblica, non di meno".
Su questo punto non si può non essere d’accordo. Io lo sono del tutto.

Zamagni sostiene che "le scuole paritarie costano 6 milioni. Il Comune ne versa solo uno, quindi ha un risparmio di cinque milioni in ben 27 scuole paritarie". E conclude: "E' quello che gli economisti chiamano ‘costo opportunità’".
I contrari, come Ivano Marescotti, ribattono che "tutti i soldi devono essere indirizzati alla scuola pubblica" e che "le scuole private sono spesso confessionali". Anche questo è vero.

Ci sono ragioni plausibili nell’uno e nell’altro schieramento.
Chi scrive non deve votare, siccome ha la residenza a Pesaro e, dunque, non è costretto a una scelta.
Allora risolve la questione come fece Alessandro Magno con il nodo di Gordio.

Era la primavera del 333 a. C.. Il figlio di Olimpiade e Filippo  non riusciva a sciogliere l’intricatissimo viluppo, e i Macedoni temevano un cattivo presagio. Ma il re disse: “Nihil interest quomodo solvantur” (Curzio Rufo, 3, 1, 18) e tagliò con un colpo tutte le cinghie. Come per l’uovo di Colombo, non è il risultato, ma la novità della soluzione, che porta l’impronta del genio.
Seguendo questo esempio, taglierò via i fuchi, i calamistri e ogni altro elemento ascitizio.
Non parlo in via teorica, bensì usando l’esperienza di una sessantina d’anni passati a scuola. Dopo tanto dibattere e discutere anche da parte di tanti che non si intendono di scuola, dico che il vero problema è quello della preparazione degli insegnanti. Quelli bravi, cioè studiosi, sono pochi, siccome dal potere discende l’avvertenza che l’ignoranza paga e che il non saper niente e il non saper fare niente, purché non dia fastidio a chi comanda, non  è uno svantaggio, anzi aiuta. Basta ascoltare gli incompetenti ultimamente cooptati dai tre maggiori partiti.
Io guarderei al di là del dilemma "pubblico-privato" e lo sostituirei con quello "scuola buona o scuola cattiva". Qui a Bologna ci sono insegnanti bravi, insegnanti meno bravi e pure insegnanti tutt’altro che bravi. Dove insegnano i bravi, la scuola è buona, dove i poco bravi è mediocre, dove i non bravi è pessima.
Andrebbero fatti controlli seri da parte di ispettori bravissimi, ma "quis custodiet ipsos / custodes? "[1]
Comunque un argomento forte e decisivo contro le scuole private o paritarie che dire si voglia, è facilmente trovabile e difficilmente confutabile: i docenti, almeno a livello di superiori di cui ho esperienza, vengono pagati meno nelle paritarie, molto meno, e, per questo motivo, di solito vi si rifugiano quelli che non riescono a entrare nelle statali.

Concludo citando Stefano Rodotà e le sue ragioni:
"La scuola è uno spazio pubblico di confronto, dove ci si abitua a convivere con chi ha altre consuetudini, altro colore della pelle, altra religione, altre abitudini alimentari. Se ciascuno si chiude nel ghetto della propria scuola privata, viene meno la conoscenza dell’altro e si prepara una società della distanza, per non dire del conflitto.
Tra tante difficoltà la scuola produce anticorpi..."


Giovanni Ghiselli
g.ghiselli@tin.it


Il mio blog http://giovannighiselli.blogspot.it/
ha raccolto 50842 in 115 giorni

Nell'immagine: "La Scuola di Atene" di Raffaello Sanzio, databile al 1509-1510






[1] GiovenaleVI, 347.348, chi custodirà gli stessi custodi, ovvero chi ispezionerà gli stessi ispettori? Le persone davvero preparate ora in Italia sono pochissime, se pure ci sono.

3 commenti:

  1. La domanda è: se il sindaco dichiara che comunque 'sto referendum non farà cambiare niente, a che prò buttarci soldi e tempo dei contribuenti???

    RispondiElimina
  2. chi lavora nella scuola pubblica ha diritto ad essere messo nelle condizioni di lavorare bene! Ho meno esperienza, sono solo 16 anni che insegno, ma dal primo giorno di scuola ad oggi tutto sta crollando. Un milione di euro a Bologna alle private 223 nel resto d'Italia!!!

    RispondiElimina
  3. Bisogna anche considerare che la scuola privata si paga mentre quella pubblica è gratis.
    Alessandro

    RispondiElimina

La gita “scolastica” a Eger. Prima parte. Silvia e i disegni di una bambina.

  Sabato 4 agosto andammo   tutti a Eger, famosa per avere respinto un assalto dei Turchi e per i suoi vini: l’ Egri bikavér , il sangue ...