lunedì 6 gennaio 2025

Ifigenia 199 Il lago di Garda. L’insufficienza totale.


 

Poco prima delle 17 ero di nuovo alla stazione di Trento. La attendevo per accoglierla, posto che fosse arrivata, con un sorriso non privo di spregio.

Questa volta arrivò, bella e guardata dagli uomini, come al solito. “Però, non è il mio tipo pensai”. Bella sì, ma poco fine. Helena, Kaisa e Päivi erano altre persone, altri gevnh, razze spirituali diverse: studiose,  educate, capaci di amare, di parlare e di stare zitte:  amorem amoenitatemque  exercentes [1].

Si scusò dell’errore grossolano: il treno per venire da me partiva dalla stazione occidentale mentre lei lo aspettava in quella centrale.

Ma forse era una menzogna. Aggiunse delle falsità dolciastre.

 

Avevo imparato da Freud che gli atti mancati non sono mai casuali. Ne ero convinto perché l’avevo verificato vivendo. Probabilmente colei voleva andare da tutt’altra parte. Incosciamente si dice, e di fatto il suo Io veniva spesso invaso dall’Es. Né era propensa a bonificare il pantano dell’inconscio, a estendervi la parte cosciente poiché era convinta che l’attore bravo deve assecondare l’istinto.

Quello recitativo non le mancava, però non aveva la potenza espressiva dello sguardo e del tono di tutta la persona.

 

Di questo però non facemmo parola quel giorno. Dissi invece che avevo impiegato benissimo il tempo dell’attesa andando a fare un’altra sciata a Fai della Paganella dove iniziano piste meravigliose che giungono fino ad Andalo. Ifigenia raccontò che aveva parlato con Lucia denominata “la fedelissima”.  Non sapevo di che avessero chiacchierato, né glielo domandai. Provai comunque un’allegrezza scellerata pensando che quelle due, una già avvelenata dal desiderio di successo, l’altra ancora da scoprire, solidarizzavano sotto l’immagine della mia persona, celebrata in qualche modo da entrambe. Ma probabilmente avevano fatto solo del pettegolezzo comaresco, magari non senza intrighi.

Di fatto nessuna delle due studiava sul serio e volevano fruire dei miei lavori sudati sui libri, fino a quando sarebbe servito.

 Ifigenia poi disse che a Verona era salito sul treno un uomo distinto e l’aveva corteggiata fino a chiederle l’indirizzo: invano. Non feci alcun commento e pensai: “Troppo tardi, ojyev, come dice Dioniso a Cadmo[2]: quando occorreva, tu non hai voluto sapere di riservatezza e rispetto”.

Ci fermammo sul lago di Garda. Non c’era un filo di vento e il Benaco non sorgeva con flutti e fremiti marini come favoleggia Virgilio[3].

Non era tempo di favole: fremevo di sdegno e disgusto piuttosto.

La faccia di Ifigenia era ottusa e inespressiva. Ero certo che il suo fascino non era sufficiente per sostenere la sua ambizione.

Arrivati a Bologna tentammo un contatto carnale. Come fummo nel letto però, non riuscivo nemmeno a desiderarla con forza. Quella sera lontana, nel talamo grande dove avevamo gridato di piacere e di gioia, nel giaciglio martire cui una volta si era spezzata una gamba incapace di reggeri i nostri tripudi  festosi e sacri, la sera del primo marzo, dopo una settimana di astinenza, facemmo l’amore una volta sola senza fatica, mentre la seconda avvenne con stento e con sforzo. Dovetti pensare ad altro. Non eravamo arrivati nemmeno alla sufficienza. Spensi la luce. Mi girai verso il muro. Poi lo toccai con un dito per avere la certezza di essere ancora vivo . Ifigenia  piangeva.

 

Bologna 6 gennaio 2025 ore 11, 21 giovanni ghiselli

p. s

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[1] Cfr. Plauto, Miles gloriosus, 656, in grado di praticare l’amore e la piacevolezza.

[2] Cfr. Euripide, Baccanti, 1345

[3] Cfr. Virgilio, Georgica II, 160

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