martedì 3 giugno 2014

La scuola corrotta nel paese guasto. Ventesimo capitolo. Parte seconda

Catullo e Lesbia in un affresco di Ercolano
La penultima e l'ultima scena: esterno notte, interno notte. Congedo.

Il cielo non era sereno. Le foglie venivano mosse da un vento caldo e appiccicoso che spostavano pure una nuvolaglia dai bagliori giallognoli. Una torre metallica, forse un'antenna televisiva, stava dritta davanti a noi, visibile per delle lucine rosse appoggiate sul traliccio di ferro che si poteva solo immaginare. Sembravano piccoli fuochi ardenti come la nostra passione riaccesa dalle cattive emozioni nell'oscurità morale, dove non esisteva o non era percepibile una solida struttura etica e razionale.
Andammo a casa mia, questa è proprio l'ultima scena, ci spogliammo ancora una volta, ci ritrovammo nudi e bramosi nel letto, e facemmo l'amore con gusto. Forse avremmo trovato un nuovo equilibrio, da istrioni quali eravamo entrambi, nei ruoli moderni di amanti non possessivi o amanti-amici che dire si voglia. Oppure in quelli di Musa-poeta.
Durante una pausa, mi domandai quando avrei incontrato una donna autentica che avrebbe consentito anche a me di non recitare.
Me lo domando anche adesso che sono pieno di anni, “iam senior, sed cruda mihi viridisque senectus[1]. Quando ver venit meum?”[2]
Dopo eravamo allegri. Come la prima volta che avevamo fatto l'amore, nel novembre de '78, forse anche di più, perché nelfrattempo le cose erano diventate più chiare.
Verso l'una, tardi ma non tanto da compromettere il lavoro della mattina seguente, la riportai a casa sua e tornai nella mia dove per anni avrei dovuto scrivere il romanzo facente epoca. Poi si sarebbe visto. Non c'era fretta. Il ritardare appunto è epico. Misi la sveglia alle nove per correggere la prima e iniziare la seconda pagina di questo grande lavoro, fiume epico che sta sfociando nel mare dopo decenni che hanno disfatto tante cose e tante altre ne hanno create o rinnovate. Nel pomeriggio sarei andato a scuola per gli scrutini, quindi in bicicletta sul monte Donato o sulla Croara, oppure a correre i cinquemila metri al campo sportivo Baumann. La sera sarei tornato a prendere Desdemona per rivedere il mio scritto, ripassare l'Antigone, cercare un poco di fresco e fare l'amore.

Mi congedo da quanti hanno letto questa mia lunga lezione scritta, rispondendo ad alcuni dubbi che essa può avere suscitato. Ovviamente devo scrivere anche le domande presunte.
Prima domanda: "A chi dedico quest'opera mia nel momento in cui la concludo?"[3]
A tutte le persone che me l'hanno ispirata e vi sono presenti. Alle amanti, le consanguinee, i consanguinei, le alunne, gli alunni, le amiche, gli amici, i conoscenti vivi nella mia mente in questi decenni passati scrivendo e pensando a quanto dovevo scrivere. In particolare però alle donne che hanno creduto in me incoraggiandomi prima a vivere poi a scrivere: "namque vos solebatis meas esse aliquid putare nugas"[4].

Seconda domanda: "Quale delle femmine umane presenti qua dentro, diverse donne grazie a Dio, e donne diverse, quale ho amato di più?
Quella che considera se stessa la più amata di tutte.

Terza domanda: “Perché ho raccontato una storia prevalentemente amorosa?”
I malevoli ignoranti anzi la definiranno pornografica, oscena, perché conto i baci[5]. Costoro non si intendono di letteratura, né di bellezza. Chi non è completamente cretino o corrotto sa bene che il nostro romanzo tratta soprattutto di amore, ma anche di educazione, sia mentale sia fisica, di scuola, di morale, di natura, e di politica.

Perché ho messo per ultimo l'elemento politico?
Perché la politica nel nostro paese è dominata dal capitale finanziario. Oramai né il popolo, né il parlamento, né il governo decidono sulla vita della nazione. In questa fase un uomo escluso dagli arcani del potere, sebbene artista, può scrivere consapevolmente soltanto di cose amorose e di rapporti con la natura. E pure su questi temi sarà in grado di continuare solo finché la brama di lucro del Capitale sfrenato non avrà annichilito tutte le menti capaci di pensare. Ma il pensiero non può essere annientato senza abolire l'umanità. Io credo che il capitalismo prima di eliminare il genere umano dovrà suicidarsi. Infatti sono rimasto ottimista come mi vedeva Päivi; sono convinto che le donne e gli uomini, come disse Helena Sarjantola, non siano soltanto materia, e credo che l'anima di tutte le cose sia il bene, che tutto tenda al bene. Infatti se il male potesse prevalere, l'umanità si sarebbe già estinta, e io non avrei scritto questo romanzo per amore dell'umanità.

giovanni ghiselli

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Ricaverò e rinnoverò altri capitoli di questa storia della formazione di una persona attraverso l’amore, lo studio, il lavoro.
Tutti beni che oggi vengono ostacolati in ogni modo




[1] Cfr. Eneide, VI, 304, già piuttosto vecchio, ma gagliarda e verde la mia vecchiaia. Nell’Eneide si tratta di Caronte (deo invece di mihi), il traghettatore infernale
[2] Pervigilium Veneris, v. 89, quando viene la mia primavera?
[3] Cfr. Catullo, Carmi, 1, v.1.
[4] Infatti voi eravate soliti pensare che le mie bagattelle valessero qualcosa. Cfr. Catullo, Carmi, 1, vv. 3-4.
[5] Cfr. Catullo, Carmi, 5, 7-10: "Da mi basia mille, deinde centum, / dein mille altera, dein secunda centum, / deinde usque altera mille, deinde centum, dein, cum milia multa fecerimus…", dammi mille baci, poi cento, poi altri mille, poi ancora cento, poi senza fermarti altri mille poi cento, poi, quando ne avremo sommate molte migliaia…

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