mercoledì 4 giugno 2014

I Remedia amoris in diversi autori, Lucrezio, Ovidio e altri

ottava parte del Percorso sull'amore nei classici

Come può avvenire la guarigione dalla piaga e dalla follia amorosa? Lucrezio , Ennio ed Empedocle . Un elogio della Sicilia. Epicuro, Lucrezio e la considerazione razionale della natura ( naturae species ratioque). La ragione secondo Proust non arriva a spiegare tutto. Il IV libro del De rerum natura è un'antologia di tovpoi negativi sull'amore. Analisi dei vv. 1073-1191. Lo stesso atto sessuale è congiunto alla frustrazione, al dolore e alla pena. L'amore possessivo non è amore.
 Lucrezio, Platone, Cicerone, Leopardi e Schopenhauer.
Le nozze di Figaro:  “Aprite un po' quegli occhi uomini incauti e sciocchi”. Il medesimo argomento può essere impiegato in modi diversi, addirittura per sostenere tesi contrapposte, anche dal medesimo autore. Così fa Ovidio  nell' Ars amatoria e nei Remedia amoris  a proposito dei difetti delle donne. Con l'adulazione si può sedurre persino una vestale: Dostoevskij.
 Petrarca e Machiavelli. Di nuovo Lucrezio. Il lamento davanti alla porta chiusa (  paraklausivquron). Callimaco e Properzio. Il paraklausivquron rovesciato nel Processo di Kafka. L'attesa dell'innamorato con angoscia e senza. L'amore come superstizione, anzi come superstizione caratteristica delle donne. Alcuni classici dell'antifemminismo. Esiodo, Semonide, Euripide, Leopardi, Schopenhauer, Weininger.
 I Remedia amoris di Ovidio. Proemio del poemetto. (1-78). Antologia dei Remedia amoris . E' bene togliere di mezzo l'otium. Egisto amò e andò in rovina siccome non aveva niente da fare. Si possono coltivare i campi o andare a caccia. Il tovpo" della inutile mutatio locorum viene ribaltato. Il motivo dei favrmaka inutili. La donna che preferisce il venditore ambulante o il gladiatore all'uomo civile. Ovidio e Giovenale. Il tovpo" dell'invidia. L'elegia, come ciascun genere, ha il suo registro, i suoi temi e il suo metro. Un consiglio sbagliato. Il tema dell'impotenza e quello del piacere. Un assaggio del Satyricon. Conviene osservare i difetti dell'amante fino alla nausea. Ovidio e D'Annunzio. E' opportuno avere più di un'amante. Ovidio, Meleagro, Properzio e Svevo il quale del resto dà il suggerimento opposto: "un'amante in due è l'amante meno compromettente" (Una vita). Consigli di simulazione. Il paraklausivquron anomalo di Ovidio. L'amore che insegue chi fugge e viceversa: Callimaco, Orazio, Ovidio, Goldoni, Dostoevkij, Proust, Pavese. Il fiore non colto è più bello e desiderabile: Ariosto, Tolstoj, Gozzano. Chiodo schiaccia chiodo, ma quattro chiodi fanno una croce. Loca sola caveto . Bisogna evitare i luoghi isolati. Fillide, Arianna e la catena letteraria. Bisogna fare attenzione al contagio. Evitare la domina. Non parlare di lei. Rifiuto dell' odi et amo. E' meglio lasciarsi in pace evitando giudici e avvocati. L'amor proprio. Guardarsi dalle lacrime delle donne che sono a buon mercato come le bugie (Shakespeare). Apprezzamenti delle lacrime in Euripide. Non si devono rileggere le lettere del tempo dell'amore. E' bene allontanare le immagini. Il surrogato funereo di Laodamia e Admeto. Bisogna evitare i luoghi "consci" dell'amore perduto. Cenere, fuoco e amore in Ovidio e D'Annunzio. Un platonismo applicato ai Remedia . La ricchezza è un'occasione per l'amore sregolato, ma non per questo viene raccomandata la povertà. Rassegna dei poeti d'amore: Callimaco, Filita, Anacreonte, Tibullo, Properzio, Gallo. Leopardi su Ovidio.
Bisogna evitare la gelosia escludendo o ignorando la presenza di rivali. Non è il caso di mangiare cibi afrodisiaci: cipolla e rucola che fa saltare.
Gli stessi che invece vengono consigliati nell'Ars amatoria con l'aggiunta di altri: uova, miele e pinoli. Il vino nei Remedia e in Apuleio. Epilogo del poemetto. Il rimedio migliore è la moralizzazione del rapporto amoroso: Musil . Dalla donna che ci fa soffrire comunque si impara: Proust. Il rispetto: Moravia, Buzzati e Fromm. L'antistrofe del III Stasimo dell'Antigone

Partiamo da Lucrezio dandone qualche notizia. Del poeta, vissuto tra il 94 e il 50 a. C., ci è arrivato un poema didascalico in esametri, diviso in sei libri lunghi, ossia tutti superiori ai mille versi. Il genere fu iniziato da Esiodo, ma il poeta latino risente anche dell'entusiasmo profetico dell'agrigentino Empedocle che pure scrisse un poema Sulla natura , e di Ennio, onorato come archetipo della poesia latina: Ennius ut noster cecinit qui primus amoeno/detulit ex Helicone perenni fronde corona,,/ per gentis Italas hominum quae clara clueret" (I, 117-118), come cantò il nostro Ennio che per primo portò giù dall'ameno Elicona una corona dalle fronde perenni, la quale brillasse luminosa per le genti degli uomini italici.-gentis=gentes.-ut cecinit : si riferisce all'accoglimento da parte di Ennio della dottrina della metempsicosi che invece viene respinta da Lucrezio il quale"distingue il proprio dissenso filosofico antipitagorico dalla simpatia letteraria. Senz'altro Ennio è il poeta più imitato da Lucrezio (e forse anche amato: noster ha una carica anche affettiva)" [1] .
 "La voce vaticinante di Empedocle, il poeta che aveva conosciuto i segreti della natura, echeggia ora nei versi di Lucrezio ansioso di farsi 'vate di verità'. Empedocle diventa la figura (la figura letteraria) di una poesia filosofica impegnata quanto una profezia" [2] .
Abbiamo già incontrato più di una volta Empedocle : "Lucrezio lo giudica esemplare come poeta (vv. 729-733), al punto da meritare gli accenti entusiastici e innologici riservati al solo Epicuro (cfr. i vv. 731-733 con gli elogi dei proemi III, V e VI)…invece inattendibile come filosofo (vv. 740 sgg.), in quanto assertore dei quattro principi non solidi, deperibili e tra loro inconciliabili. La nascita dei corpi, secondo tale teoria, si avrebbe con l'unione dei principi ("Amore", Storghv, e la morte con la loro separazione ("Odio", Nei'ko" )" [3] .
 L'elogio di Empedocle di Agrigento comprende anche la sua terra siciliana: ne riporto alcuni versi, per siculofilia e per euripidofilia: infatti secondo me uno di questi ricorda, almeno concettualmente, un passo delle Troiane del drammaturgo ateniese :"Quae cum magna modis multis miranda videtur/gentibus humanis regio visendaque fertur,/rebus opima bonis, multa munita virum vi,/nil tamen hoc habuisse viro praeclarius in se/nec sanctum magis et mirum carumque videtur" (I, 725-730), questa regione mentre appare in molti modi grande e ammirabile alle genti umane e si dice che deve essere visitata siccome ricca di cose buone e munita di gran forza di uomini, tuttavia nulla sembra avere avuto in sé più glorioso di quest'uomo, né di più santo, meraviglioso e prezioso.-multa munita virum vi: doppia allitterazione. Questa abbondanza di uomini forti, precisamente di atleti, viene attribuita all'isola anche dal Coro delle prigioniere Troiane che si augurano come male minore di finire nella terra di Teseo, ossia ad Atene, oppure nella valle del Peneo ai piedi dell'Olimpo, e, come terza ipotesi augurabile di essere portate nell'etnea terra di Efesto, posta davanti a Cartagine, madre dei monti Siculi della quale si sente dire "kavrussesqai stefavnoi" ajreta'" "( Troiane, v. 223) che viene celebrata per le corone del valore. Questo dramma è del 415, lo stesso anno della spedizione in Sicilia e non è del tutto chiaro se l'autore abbia voluto scoraggiare gli Ateniesi dall'impresa. Probabilmente Lucrezio ha in mente le tragedie, quella letteraria e quella storica di Siracusa.       
 La dottrina illustrata dai versi  di Lucrezio dunque è quella di  Epicuro che viene celebrato come un eroe liberatore dell'umanità, attraverso quattro elogi situati in quattro libri (I, III, V, VI). Lo scopo è quello di  contribuire ad affrancare l'umanità dalle tenebre dai terrori dell'animo che derivano dalla religio e più in generale dal difetto della conoscenza razionale della natura ( naturae species ratioque , I, 148).
L'amore è una delle superstizioni, almeno una superfetazione emotiva che equivale a una malattia dell'animus (la nostra parte razionale) e va estirpato come un morbo maligno.
Abbiamo già visto, parlando dell'amore come ferita, che Tizio straziato dagli uccelli nel Tartaro [4]  è allegoria della  passione amorosa, la proiezione, in una seconda vita presunta, di una delle peggiori angosce tra quelle che devastano la vita terrena. Altre sono la paura degli dèi, l'ambizione politica e l'insaziabilità che fanno immaginare le orribili pene di Tantalo, di Sisifo e delle Danaidi. Sicché è qui sulla terra che diventa infernale la vita degli stolti:"Hic Acherusia fit stultorum denique vita " (III, 1023).
Nel  IV libro il poeta latino mostra tutta la penosità dell'amore, quindi ne smonta le cause affermando che gli uomini ingannati dai sensi attribuiscono alle donne pregi di cui le disgraziate sono sprovvedute.
A proposito del tovpo" della piaga i vv. 1068-1072 sono stati utilizzati nel VII capitolo .
Lì abbiamo visto che il primo consiglio "terapeutico" è quello di confondere le piaghe antiche con le recenti e curare queste con una "Venere vagabonda".
  Procediamo dal v. 1073 del IV libro.
 Lucrezio consiglia di fruire delle gioie di Venere senza innamorarsi, tenendo il piacere sotto il controllo della ratio :" Nec Veneris fructu caret is qui vitat amorem, /sed potius quae sunt sine poena commoda sumit./Nam certe purast sanis magis inde voluptas/quam miseris " (IV, 1073-1076), non rimane senza il frutto di Venere chi schiva l'amore, ma piuttosto ne prende i vantaggi senza la pena. Infatti  il piacere che viene di lì è più puro per gli equilibrati che per i dissennati.
Comunque Venere quale ipostasi della voluptas è il timone del mondo, come si legge nel proemio e senza la sua presenza non si può nemmeno poetare:"Quae quoniam rerum naturam sola gubernas/nec sine te quicquam dias in luminis oras/exoritur neque fit laetum neque amabile quicquam,/te sociam studeo scribendis versibus ess/quos ego de rerum natura pangere conor.  " (I, 21-24), e siccome tu sei la sola che governi la natura/né senza te alcuna cosa sorge alle luminose spiagge/del sole, né niente si fa di lieto e amabile,/voglio che tu sia compagna allo scrivere i versi/che io cerco di comporre sulla natura.-De rerum natura :" è il titolo dell'opera e rende il Peri; fuvsew" , titolo del poema di Empedocle e dell'opera fondamentale, oggi perduta, di Epicuro (in ben 37 libri)" [5] . Il lepos , il fascino di Venere è necessario anche ai versi del poeta perché vengano letti:" Quo magis aeternum da dictis, diva, leporem " (I, 28), tanto più concedi, o dea, fascino eterno alle parole.               
Il proemio però, si è detto, è "fuoritesto", ossia alquanto anomalo rispetto all'insieme del poema.
Qui nel IV canto l'autore precisa che bisogna mangiare la piacevole esca senza essere presi dall'amo cui rimangono attaccati i miseri, dibattendosi in convulsioni atroci.
Si è già notato che da Catullo in avanti miser  è la vittima della passione amorosa che è una forma di  insania e, secondo Lucrezio, può essere spiegata, contrastata e annullata dalla ragione. 
Molti autori moderni invece ci hanno chiarito che la ragione non arriva a spiegare tutto, e tra gli enigmi irrisolvibili  c'è il grande mistero dell'amore. Un fine osservatore di questo miracolo è Proust:"per tutti gli avvenimenti che nella vita e nelle sue contrastate situazioni riguardano l'amore, la miglior cosa è non cercare di comprendere, perché in quello che essi hanno sia d'inesorabile come d'insperato sembrano retti da leggi magiche piuttosto che razionali" [6] . Del resto l'irriducibilità di eros agli schemi angusti dell'intelletto era già stata affermata da Platone, come s'è visto in precedenza. 
Procediamo nel IV libro del De rerum natura dove troveremo  un'antologia di tutti i tovpoi negativi su Eros: dall' amore follia, all'amore possesso, all'amore bruciore, all'amore guerra e ferita:" Etenim potiundi tempore in ipso/fluctuat incertis erroribus ardor amantum/nec constat quid primum oculis manibusque fruantur./Quod petiere, premunt arte faciuntque dolorem/corporis et dentis inlidunt saepe labellis/osculaque afligunt, quia non est pura voluptas/et stimuli subsunt qui instigant laedere id ipsum/quodcumque est, rabies unde illaec gemina surgunt " (vv.1076- 1083),  In effetti, nel momento stesso del possedere, fluttua tra ondeggiamenti incerti l'ardore degli amanti né sanno di che cosa prima godere con gli occhi e le mani. Ciò cui hanno aspirato premono stretto e provocano dolore al corpo e spesso affondano i denti nelle labbra e infliggono baci, poiché non è puro il piacere e ci sono sotto dei pungoli che stimolano a ferire quello stesso oggetto, qualunque esso sia da dove sorgono quei germi di furia.
In potiundi  (genitivo del gerundio di potior , arcaico per potiendi ) c'è quella negativa volontà di possesso che inquina l'amore il quale nella forma sana è desiderio di vedere il potenziamento, non la sottomissione dell'amato.
L'atteggiamento negativo dell'innamorato possessivo quale viene descritto dal discorso di Lisia del Fedro  platonico viene spiegato meglio da Socrate quando chiarisce che siffatto ejrasthv" è malato e, per chi ha tale malattia (nosou'nti), è piacevole l'amato incapace di opporgli resistenza, mentre chi è più forte di lui o anche pari, gli è ostile, pertanto cerca di renderlo inferiore e più debole (239a). Insomma in  rapporti del genere l' ejrwvmeno" , l'amato, diviene vittima dell' ejrasthv" , l'amante, il quale ama wJ" luvkoi a [rna" ajgapw'sin (241d) come i lupi amano gli agnelli..
Ebbene, chiarisce Socrate, tale relazione non ha niente a che vedere con Eros che è figlio di Afrodite e, come un dio o qualcosa di divino,  non può essere un male (qeo;" hj; ti qei'on oJ   [Erw", oujde;n aj;n kako;n ei [h", 242e). Allora è necessaria una palinodia e una confutazione dei detrattori. In effetti l'amore sano non può che desiderare l'accrescimento e il potenziamento della persona amata. L' eros positivo "si fonda sempre su certi elementi comuni a tutte le forme d'amore. Questi sono: la premura , la responsabilità , il rispetto  e la conoscenza ...Amore è interesse attivo per la vita e la crescita di ciò che amiamo...Cura e interesse implicano un altro aspetto dell'amore: quello della responsabilità...la mia risposta al bisogno espresso o inespresso di un altro essere umano. Essere "responsabile" significa essere pronti e capaci di "rispondere". Giona non si sentiva responsabile degli abitanti di Ninive. Egli, come Caino, poteva domandare:"Sono il custode di mio fratello?". La persona che ama risponde. La vita di suo fratello non è solo affare di suo fratello, ma suo" [7] .- fluctuat incertis erroribus ardor amantum (v. 1077): il poeta applica agli amanti in genere  la metafora nautica con la quale diversi autori greci raffigurano la  città che, sconvolta dalla guerra civile, è come una nave travagliata dai flutti. E' uno dei tovpoi letterai più diffusi nella letteratura europea [8] .
 Cacciari vede l'antitesi di questo fluttuare della polis degli uomini nella stabilità della casa e della famiglia voluta dalle donne. "La commedia di Aristofane ha gettato uno sguardo profondo sul carattere, tragico, di tale relazione. Arduo è per le donne l' "éxodos", l'uscir-fuori (Lisistrata , 16), il loro luogo è "dentro" (510, 517). Se si decidono finalmente ad 'uscire' è per convincere la polis all'ordine dell'  'interno'. E cioè per fare di essa un oikos-anzi non solo della polis, ma dell'intera Ellade. "Ma voi come pensate di far cessare tutta questa confusione, di risolvere questi affari?", chiede a Lisistrata il probulo. Semplicemente trattando le cose della polis come la nostra lana, risponde la donna, tendendola, sbrogliandola. E Prassagora:"Voglio fare della città una casa sola ( mivan oi [khsin), abbattendo tutti i muri, così che si possa andare dall'una all'altra" (Ecclesiazuse, 673-674). Gli uomini fanno la guerra, dilapidano, pensano a prendere e basta, inseguono cariche, chiacchierano insopportabilmente nell'agorà. Impossibile pace finché comanderanno le loro leggi. La polis, anche quando le cose funzionano, non sta bene "se non escogita qualche novità (ti kainovn)" (Ecclesiazuse, 218-220); l'ordine dell'oikos, invece, è totalmente estraneo a tentativi ed esperimenti (koujci; metapeirwmevna"-i [doi" a] n aujtav" [  [9] , 217-218). Finché esisteranno remi e triremi, e finché vi sarà denaro per armarle, non vi sarà tranquillità (Lisistrata, 172-174); finché lo Stato sarà una nave, vivrà agitato come Ulisse "kuvmasi kai; polevmw/" [10] . Le donne di Aristofane lo sanno come lo sa la tragedia" [11] .    
 "Ardor amantum  è clausola allitterante dopo la dieresi bucolica. Al v. 1078 (quid...fruantur ) la costruzione di  fruor  con l'accusativo (invece dell'ablativo) è arcaica (si trova, per esempio, in Catone il Vecchio e in Terenzio)" [12] . Si può forse aggiungere che quando l'ardor è  potente  come quello di Leandro, viene spento dall'ondeggiare del flutto non prima della vita dell'amante.   Il verbo fruor  rende non solo l'idea del godimento ma anche quella dell'uso. Arte con la -e lunga è avverbio da artus -a-um.- Dentis (=dentes)… inlidunt labellis  al v. 1080, fa riferimento ai morsi d'amore che gli amanti si scambiano (le molles morsiunculae , "morsettini" sui teneri labelli  di Plauto, Pseudolus , v. 67; cfr. Catullo, carme 8, v. 18: Quem basiabis? cui labella mordebis? ); ma qui la scelta del verbo inlidere  (da in+laedo ; il verbo semplice torna al v. 1082)  sottolinea la violenza irrazionale dell'atto, e labellis  serve proprio a rilevare il contrasto fra la situazione amorosa (cui il diminutivo affettivo è funzionale) e l'impulso violento che spinge, invece, a far male" [13] . Questo mordere  e il successivo adfligunt  (lezione di O concorrente con afigunt di Q) rendono l'idea dell'ostilità degli amanti intrecciati da tale voluptas non pura.  Il mordere durante la copula erotica corrisponde alla volontà di impossessarsi di qualcosa dell'altro, all'amare wJ" luvkoi a [rna" ajgapw'sin (Fedro , 241d) s'è detto. Già nell'inno a Venere del proemio ci sono avvisaglie della violenza dell'amore dove gli uccelli del cielo sono "perculsae corda tua vi" (I, 13), colpite (da percello) nel cuore (corda è accusativo di relazione) dalla tua forza. Ma lì si tratta appunto di aeriae…volucres (I, 12). "Nell'uomo (per ora assente nel proemio) all'istinto naturale dell'accoppiamento s'unisce perniciosamente la passione psicologica, il che non avviene negli animali"  [14] .     
 Secondo Lucrezio ogni forma di eros che non sia controllato dalla ratio  è  malsana e contaminata dalla violenza, dal dolore, dall'angoscia .  "Rabies  è una forma alternativa di genitivo per rabiei ; la passione erotica è vista espressamente come rabies  o furor  (v. 1117). Rabida  è detto talora della libido  (specie femminile)" [15]  . "In più occasioni Lucrezio consegue effetti di alta espressività e di vero e proprio espressionismo incentrato sulla violenza e ostilità dei due sessi" [16] .

Procediamo con la lettura del poema di Lucrezio:"Sed leviter poenas frangit Venus inter amorem/blandaque refrenat morsus admixta voluptas./Namque in eo spes est, unde est ardoris origo,/restingui quoque posse ab eodem corpore flammam./ Quod fieri contra totum natura repugnat;/unaque res haec est, cuius quam plurima habemus,/tam magis ardescit dira cuppedine pectus./ Nam cibus atque umor membris assumitur intus;/quae quoniam certas possunt obsidere partis, /hoc facile expletur laticum frugumque cupido " (IV, 1084-1093), ma un poco spezza i tormenti Venere in mezzo all'amore e il piacere carezzevole, pur mescolato, doma i morsi. Infatti in questo si spera, che da dove scaturisce l'ardore, dal medesimo corpo possa anche spengersi la fiamma. Ma la natura ribatte che avviene tutto il contrario, e questa è la sola cosa di cui, quanto più ne abbiamo, tanto più il petto arde di una brama tremenda. Infatti il cibo e i liquidi vengono assunti dentro le membra dal momento che essi possono occupare determinate parti, perciò facilmente si sazia la brama di liquidi e cibo.
Da frangit  si vede che anche il carezzevole alleviamento dei tormenti è traumatico siccome la voluptas  è admixta , quia non est pura (v. 1081) non è integrale ma è mischiata di dolore. L'orgasmo di una ragazza toccata dal suo ragazzo  viene descritto da Giuseppe Berto come qualcosa di simile a una frattura in una pagina che contiene qualche eco lucreziana:" mentre in lei avveniva un che di poco chiaro come una specie d'irrigidimento cedevole o di cedevolezza contratta e smetteva anche di dire le parole tenere inquantoché si teneva le labbra a morsi forse temendo di mettersi a gridare e quindi respirava col naso sempre più frequentemente e in ultimo dopo una rottura piena di brividi gli diceva basta..." [17] . In flammam (v. 1087) torna l'immagine topica che abbiamo trovato tante volte con l'indicazione dell'illogicità della speranza che l'esca della fiamma, il corpo desiderato. possa spengere lo stesso fuoco suscitato da lui. Di fatto l'amore non è logico: può essere al di sopra o al di sotto della logica, ma puramente logico non è. Lo ha chiarito Socrate nel Fedro platonico. In dira cuppedine  (forma arcaica di cupidine , v. 1090) torna la terribilità della brama già denunciata al v. 1046. E' il tovpo" dell'amore tremendo, deinov" , che è davvero tale quando è ostacolato come quello, già visto, di Ero (Ero e Leandro , v. 245) o non è contraccambiato, come quello dell'Ermengarda manzoniana:"Amor tremendo è il mio" [18] .- Assumitur  intus (v. 1091): la differenza tra il cibo che si mangia, o i liquidi che si bevono, e il corpo dell'amante è che questo, a meno di essere cannibali, non può essere inghiottito, anche se certe persone nei rapporti umani appaiono voraci. La trasfusione possibile e accrescitiva, abbiamo visto è solo quella delle anime. Secondo Lucrezio gli amanti possono introiettare soltanto simulacra...tenuia  (vv. 1095-1096), simulacri sottili che si staccano dal corpo bramato ma con questi non si saziano, come un assetato che nel sonno crede di bere  non si disseta:"Ex hominis vero facie pulchroque colore/nil datur in corpus praeter simulacra fruendum/tenuia; quae vento spes raptast saepe misella./ Ut bibere in somnis sitiens cum quaerit et umor/non datur, ardorem qui membris stinguere possit,/sed laticum simulacra petit frustraque laborat/in medioque sitit torrenti flumine potans…" (vv. 1093-1100), ma dell'aspetto e dell'incarnato bello dell'essere umano nulla è concesso da godere dentro il corpo, se non simulacri sottili; speranza meschina che spesso viene involata dal vento. Come quando chi ha sete nel sonno cerca di bere, e non gli è concessa l'acqua che possa spengere l'ardore del corpo, ma si lancia su simulacri di liquidi e si affanna per niente, e mentre beve in mezzo a un fiume che scorre, ha sete.-simulacra: sono le membrane impalpabili che si staccano dai corpi e colpiscono la nostra percezione visiva. Il termine greco corrispondente è ei [dwla.-tenuia:" trisillabico, con -u- semiconsonantico, che chiude la prima sillaba, allungandola. Nel risalto datogli dall'enjambement, dice anche la delusione dell'amante: ciò di cui si può appropriarsi veramente (frui) sono solo immagini sottili e inconsistenti" [19] .

La vita umana come ombra e sogno.
Non è  l'uomo comunque sogno di un'ombra?  E' questa una considerazione che va da Pindaro:" skia'" o [nar/a [nqrwpo"" [20] ; a Sofocle che nell'Aiace  fa dire a Ulisse, preso da rispetto e compassione per il nemico precipitato nella follia :"  JOrw''  ga;r hJ ma'" oujde;n oj;nta"  a [llo plh;n-ei [dwl j, o{soiper zw'men, hj; kouvfhn skiavn "(vv.125-126)  vedo infatti che non siamo altro che larve, quanti viviamo, o muta ombra; a Shakespeare  nel Macbeth fa dire al protagonista prossimo alla fine:"Life's but a walking shadow; a poor player, That struts and frets his hour upon the stage, And then is heard no more: it is a tale Told by an idiot, full of sound and fury, Signifyng nothing" (V, 5), la vita è solo un'ombra che cammina; un povero attore che si pavoneggia e si agita sulla scena nella sua ora e poi non se ne parla più: è la storia raccontata da un idiota, piena di frastuono e di furia, che non significa nulla.
Prospero nella La tempesta  (del 1612)  conclude :" We are such stuff/as dreams are made on; and our little life/is rounded with a sleep", Noi siamo fatti con la materia dei sogni, e la nostra breve vita è circondata dal sonno"(IV, 1).
"Fu nel Rinascimento-le utopie lo dimostrano-, che l'uomo cominciò nuovamente a sognare se stesso, a fantasticare sul suo essere, e ridestò il dubbio, l'angoscia, il sogno riguardo al proprio destino. Più tardi, nella Controriforma, l'inquietudine metafisica sarebbe stata rimodellata in forma ortodossa affermando che la vita è sogno"  [21] .
-vento : si ricorderà che nel carme 70 di Catullo citato sopra il vento costituisce, insieme con l'acqua, la materia instabile su cui non si possono scolpire le parole di devozione e fedeltà di Lesbia per il poeta innamorato.-umor: etimologicamente imparentato con uJgrovth" , umidità e uJgrov" , umido. Nella tragedia greca la polvere, che deriva dalla mancanza di umido, è segno di sterilità, un simbolo ripreso da T. S. Eliot. 
"sic in amore Venus simulacris ludit amantis/nec satiare queunt spectando corpora coram/nec manibus quicquam teneris abradere membris/possunt errantes incerti corpore toto./Denique cum membris collatis flore fruuntur/aetatis, iam cum praesagit gaudia corpus/atque in eost Venus ut muliebria conserat arva,/adfigunt avide corpus iunguntque salivas/oris et inspirant pressantes dentibus ora,/nequiquam, quoniam nil inde abradere possunt/nec penetrare et abire in corpus corpore toto;/nam facere interdum velle et certare videntur:/usque adeo cupide in Veneris compagibus haerent,/ membra voluptatis dum vi labefacta liquescunt " (IV, vv. 1101-1114),  così nell'amore Venere con i simulacri beffa gli amanti, né possono saziarsi rimirando i corpi presenti, né con le mani possono raschiare via nulla alle tenere membra, mentre errano incerti per tutto il corpo. Infine, come, congiunte le membra, godono del fiore della giovinezza, quando già il corpo pregusta il piacere e Venere è sul punto di seminare i campi della femmina, inchiodano avidamente il corpo e mescolano le salive della bocca, e ansimano premendo coi denti le labbra, invano poiché di lì non possono raschiare via niente, né penetrare e sparire nel corpo con tutto il corpo, infatti sembrano talvolta volere farlo lottando: a tal punto sono avidamente attaccati nei lacci di Venere, mentre le membra sdilinquite dalla violenza del piacere si struggono.-corpora coram "nota la clausola allitterante e fortemente assonante, dopo la dieresi bucolica...Teneris abradere membris  è di nuovo una iunctura  ossimorica (vedi sopra: vv. 1080-1081), in cui si uniscono un verbo connotato di violenza e un epiteto (teneris ) indicante delicatezza e affettività (come, al v. 1080, labellis ). L'insistenza sull'impotenza degli amantes  a raggiungere la soddisfazione (nec...queunt...nec possunt ), cui così freneticamente aspirano, genera la consueta reazione mista di pietà e derisione" [22] .
Vorrei aggiungere un mio contributo comparativistico: ne Il castello  di Kafka viene descritta una copula del genere per denunciare l'impossibilità o l'impotenza dell'amore tra K. e Frieda:"poiché la seggiola era accanto al capezzale, vacillarono e caddero sul letto. E lì giacquero, ma non con l'abbandono di quella prima notte. Lei cercava qualcosa, e lui pure, e ciascuno, furente e col viso contratto, cercava, conficcando il capo nel petto dell'altro: né i loro amplessi né i loro corpi tesi li rendevan dimentichi, ma anzi li richiamavano al dovere di cercare ancora; come i cani raspano disperatamente il terreno, così essi scavavano l'uno il corpo dell'altro, e poi, delusi, smarriti, per trovare un'ultima felicità, si lambivano a volte con la lingua vicendevolmente il viso. Solo la stanchezza li pacificò e li riempì di mutua gratitudine. Poi sopraggiunsero le due serve. "Guarda quei due sul letto" disse l'una, e per compassione li coprì d'un lenzuolo" [23] .- Membris collatis  è ablativo assoluto con il participio di confero . In questa espressione c'è l'idea di un corpo a corpo ostile (cfr. arma, manum, pedem, signa conferre  nel senso di ingaggiare il combattimento).- "Flore fruuntur è clausola allitterante dopo la dieresi bucolica" [24] .-Eost=eo est .-Ut muliebria conserat arva : "Per rendere efficace e visibile la dinamica del rapporto sessuale, Lucrezio non rifugge da immagini potenti e crude, prese a prestito dall'agricoltura" [25] . Per questa immagine metaforica cfr. la scheda "assimilazione della donna alla terra".- oris  :"è inutile per il senso, ma permette la raffinatezza del poliptoto a cornice (oris...ora )" [26] .-nequiquam : "la pesante parola, che costituisce un molosso (una sequenza, cioè, di tre sillabe lunghe) ed è collocata nel risalto della sede iniziale davanti a cesura semiternaria, non lascia scampo alle illusioni degli amantes " [27] . La stessa situazione si ripete al v. 1133.-in corpus corpore : il poliptoto a contatto è espressivo del desiderio  simbiotico dei due amanti, ma la simbiosi non è amore:"In contrasto con l'unione simbiotica, l'amore maturo è unione a condizione di preservare la propria integrità, la propria individualità" [28] .-certare : la volontà simbiotica include quella di lottare per la sopraffazione poiché ognuno dei due vuole essere l'elemento predominante e un rapporto alla pari non è possibile siccome anche le relazioni erotiche, come tutte quelle umane, se non vengono corrette dalla moralità, sono connotate dalla legge del più forte che sottomette e sfrutta chi è più debole. Abbiamo già sentito Tucidide (V, 105, 2) per la sfera politico-militare, ora diamo la parola a C. Pavese per quella più genericamente umana e più specificamente amorosa:" Tipologia delle donne: quelle che sfruttano e quelle che si lasciano sfruttare....Le prime sono melliflue, urbane, signore. Le seconde sono aspre, maleducate, incapaci di dominio di sé. (Ciò che rende villani e violenti è la sete di tenerezza.) Tutti e due i tipi confermano la impossibilità  di comunione umana. Ci sono servi e padroni, non ci sono uguali. La sola regola eroica: essere soli soli soli" [29] .- In Veneris compagibus : l'amore come trappola che allaccia e come rete è denunciato da Cassandra nell'Agamennone di Eschilo:"ajll& a [rku" hJ xuvneuno"" (v. 1116), ma una rete è la compagna di letto.-labefacta liquescunt : l'allitterazione in clausola con la liquida rende fonicamente l'idea dello scioglimento delle membra. 
"Tandem ubi se erupit nervis conlecta cupido/parva fit ardoris violenti pausa parumper./Inde redit rabies eadem et furor ille revisit,/cum sibi quid cupiant ipsi contingere quaerunt,/nec reperire malum id possunt quae machina vincat:/usque adeo incerti tabescunt vulnere caeco " (IV, 1115-1120), finalmente, quando si è lanciato fuori dai nervi il desiderio raccolto, segue per un poco una piccola pausa dell'ardore violento. Quindi torna la medesima rabbia e quella smania a infuriare, mentre essi stessi si chiedono che cosa bramano raggiungere, né sono capaci di trovare quale espediente superi quel male: sino a tal punto senza saperlo si struggono con cieca ferita.-Nervis : nervus  è etimologicamente imparentato con   neu'ron e i suoi significati vanno da "membro virile" (in Orazio, Epodi , 12, 19) a "carcere". Comunque l'eiaculazione è una scarica di tensione nervosa che fornisce una parva pausa...parumper . "Le due parole (parva...parumper ) etimologicamente collegate sono poste a cornice del verso (e l'allitterazione è rinforzata da pausa , grecismo per mora)" [30] . Né sembra che ci sia gioia in questa pausa breve e malsicura. Pare che ci sia al massimo un "piacer figlio d'affanno" come nell'idillio di Leopardi [31] .
Schopenhauer afferma esplicitamente la scarsa soddisfazione che consegue alla scarica erotica:"Non si è notato come "illico post coitum cachinnus auditur diaboli "? La qual cosa, detta seriamente, si fonda sul fatto che il desiderio sessuale, soprattutto quando si concentra nell'innamoramento fissandosi su di una donna determinata, è la quintessenza dell'imbroglio di questo nobile mondo; perché promette così indicibilmente, infinitamente e straordinariamente molto, e mantiene, poi, così miserabilmente poco" [32] .-redit rabies...furor revisit : chiasmo e allitterazione in r -. Sembra che la copula si prepari con un digrignare di denti.
Il messaggio è che l'atto sessuale è congiunto al dolore e all'infelicità.
Sentiamo ancora Schopenhauer:"giustamente Platone (all'inizio della Repubblica ) stima felice la vecchiaia, in quanto infine libera dall'istinto sessuale, che tormenta incessantemente l'uomo sino a quel momento. Si potrebbe anzi sostenere che i molteplici e infiniti capricci provocati dall'istinto sessuale, e gli affetti sorti da questi, mantengono nell'uomo una costante e soave follia, sintanto che egli resta sotto l'influsso di quell'impulso o di quel diavolo, da cui è di continuo posseduto; soltanto con la sua estinzione egli diventerebbe quindi del tutto assennato...La causa di ciò non sta in altro se non nel fatto che la gioventù rimane ancora sotto il dominio, o meglio il servaggio di quel demone, che non le concede facilmente neppure un'ora libera, e al tempo stesso è l'autore immediato e mediato di quasi tutte le sventure che colpiscono e minacciano l'uomo: la vecchiaia ha per contro la serenità di chi si è liberato da una catena portata per lungo tempo, e si muove ora liberamente...il vecchio è penetrato della massima del'Ecclesiaste : "tutto è vano", e sa che tutte le noci sono vuote, per quanto esse possano venir ricoperte d'oro" [33] .
La vecchiaia per giunta "è libertà dall'obbligo di attestare a se stessi e agli altri il proprio valore, la propria capacità e vitalità" scrive Magris [34]  a proposito dei vecchi di Svevo i quali del resto non hanno deposto del tutto le loro pretese sessuali.
Il biasimo del sesso invece viene attribuito da Platone a Sofocle oramai anziano, il quale, quando  Cefalo gli domanda:"pw'"...e [cei" pro;" tajfrodivsia; e [ti oiJov" te ei'j gunaiki; suggivgnesqai " , come ti va nelle cose d'amore? sei ancora capace di congiungerti con una donna?,  risponde: "eujfhvmei w'j a [nqrwpe: aJsmenevstata mevntoi aujto; ajpevfugon, wJvsper luttw'ntav tina kai; a [grion despovthn ajpodrav"" (Repubblica , 329c), sta' zitto tu, infatti con grandissima gioia me ne sono liberato, come se fossi fuggito da un padrone furente e selvaggio.
 Questo anatema di Sofocle viene riferita e approvata da Catone il vecchio nel De senectute  di Cicerone :" Bene Sophocles, cum ex eo quidam iam affecto aetate quaereret utereturne rebus veneriis:"Di meliora! inquit; libenter vero istinc sicut ab domino agresti ac furioso profugi " (14), opportunamente Sofocle quando, già vecchio e fiaccato dagli anni, un tale gli chiedeva se facesse ancora del sesso, disse: dio ne scampi, volentieri invero sono scappato di lì come da un padrone selvaggio e furioso!  
 Nella stessa opera del resto il piacere  dei sensi in generale viene smontato:" impedit enim consilium voluptas, rationi inimica est, mentis, ut ita dicam, praestringit oculos, nec habet ullum cum virtute commercium " (12), in effetti il piacere impedisce il giudizio, è nemico della ragione, abbaglia, per così dire, gli occhi della mente e non ha alcun rapporto con la virtù.
Di fatto ancora negli anni Cinquanta del Novecento la pretaglia delle parrocchie di Pesaro diceva ai ragazzini che se uno pensava troppo alle femmine diventava cieco, e non solo di mente.
-quid cupiant : il desiderio di fondo è quello di generare nel bello. Diotima, volendo dire che cos'è l'amore tradotto in atto (to; e [rgon), dà questa definizione:" e [sti ga;r tou'to tovko" ejn kalw'/ , kai; kata; to; sw'ma kai; kata; th;n yuchvn " (Simposio , 206b), questo  è generazione nel bello sia secondo il corpo sia secondo l'anima. La nostra natura infatti, precisa Diotima, desidera generare, ma generare nel brutto non può, bensì nel bello ("tivktein ejpiqumei' hJmw'n hj fuvsi" : tivktein de; ejn me;n aijscrw'/ ouj duvnatai, ejn de; tw'/ kalw'/", 206c). Questo è il vero motivo del cupere . Infatti tutti i tentativi di svalutare l'atto sessuale non resistono a questa obiezione di C. Pavese:" Se il chiavare non fosse la cosa più importante della vita, la Genesi non comincerebbe di lì" [35] . Abbiamo già detto del tentativo di sottrarre la creazione della vita all'accoppiamento tra il maschio e la femmina. Succede quando non è possibile unirsi nel bello e si copula nel brutto, in maniera non creativa ma distruttiva, tanto che "l'amore divino si trasforma in lussuria, l'abbraccio in una spaventevole, digrignante chiavata" [36] .-machina : è un altro grecismo ( mhcanhv): l'uomo erotico in effetti deve essere come Odisseo  polumhvcano", poiché la sessualità è centrale nella vita:" Ulisse è l'eroe polùmetis  (scaltro) come è polùtropos  (versatile) e poluméchanos  nel senso che non manca mai di espediento, di pòroi , per trarsi d'impaccio in ogni genere di difficoltà, aporìa ...La varietà, il cambiamento della metis, sottolineano la sua parentela con il mondo multiplo, diviso, ondeggiante dove essa è immersa per esercitare la sua azione. E' questa complicità con il reale che assicura la sua efficacia" [37] .
Aggiungo che la metis è lo strumento con cui Polluce prevale sulla forza bruta di Amico, il re dei Bebrici che lo aveva sfidato nella gara di pugilato: Polluce schivava gli assalti dello sfidante bestiale e grazie all'intelligenza (dia;  mh'tin  [38] ) restava semptre incolume-tabescunt : tabescere indica lo struggersi d'amore anche in Properzio (3, 6, 23) e in Ovidio (Met.  3, 445) Dalla stessa radice il sostantivo tabes, decomposizione e, il verbo greco, thvkw, sciolgo.-vulnere caeco : la ferita è cieca in quanto è incomprensibile a chi intende l'amore quale azione prevaricatoria ed essa non dà luce come invece fanno i vulnera  sanati dalla comprensione che, lo abbiamo detto, ci parlano come bocche non mute.
"Adde quod absumunt viris pereuntque labore/adde quod alterius sub nutu degitur aetas/languent officia atque aegrotat fama vacillans " (1121-1123), aggiungi che esauriscono le forze e si annientano con la fatica, aggiungi che la vita si consuma sottomessa ai cenni di un altro, nei doveri sei fiacco e la reputazione si ammala e traballa.-absumunt viris (vires ): è solo l'amore non contaccambiato, che, come un investimento improduttivo, provoca questa sensazione di illangidimento; l'eros indirizzato sulla persona congeniale, viceversa, dà un senso di potenziamento, di vitalità rinnovata e di gioia.-sub nutu : probabilmente Leopardi ricorda questo passo scrivendo:"Or ti vanta, che il puoi. Narra che sola/sei del tuo sesso a cui piegar sostenni/l'altero capo " [39] .-fama : l'alta considerazione della fama è indizio dell'appartenenza alla civiltà di vergogna. L'innamorato invece è un ispirato che vede oltre le cose terrene e non si cura dell'opinione dei più.
maggioli 
"Labitur interea res et Babylonica fiunt/unguenta et pulchra in pedibus Sicyonia rident/scilicet et grandes viridi cum luce zmaragdi/ auro includuntur teriturque thalassina vestis/assidue et Veneris sudorem exercita potat " (vv. 1124-1128), si scialacqua nel frattempo la roba, e diventa profumi di Babilonia, e calzari belli  di Sicione sorridono nei piedi e naturalmente grossi smeraldi con la luce verde sono incastonati nell'oro e si consuma la veste colore del mare continuamente, e tenuta in esercizio beve sudore di Venere.-Labitur...res : cfr. Sofocle, Antigone , 782:"  jvErw", oJ;" ejn kthvmasi pivptei"", Eros che sulle ricchezze ti abbatti.-Babylonica : nella nostra tradizione letteraria le cose di Babilonia sono spesso esotiche, lussuriose e smisurate. Sentiamo, per esempio il realismo magico di Marquez:"in un mercoledì di gloria fecero venire un treno carico di puttane inverosimili, femmine babiloniche addestrate a trucchi immemorabili,  e provviste di ogni sorta di unguenti e dispositivi per stimolare gli inermi, aizzare i timidi, saziare i voraci, esaltare i modesti, temperare i multipli e correggere i solitari" [40] . "Nei codici il nostro v. 1124 si legge in realtà dopo il v. 1122 e fu il filologo del XVI secolo Lambinus (=Denys Lambin) a dare al testo l'attuale ordine, che ha il pregio di riferire Babylonica  (come aggettivo sostantivato di difficile comprensione: "oggetti di Babilonia" ?) a unguenta  ( erano noti i profumi di Babilonia, come informa Erodoto, Storie  I, 195); l'inversione sarà stata provocata o facilitata dall'identica iniziale delle due parole languent  e labitur  . In fiunt  il numero plurale (dopo il singolare res ) si spiega come attrazione da parte del predicato " [41] . -rident : il sorriso è trasferito dal volto della donna, o dell'amante,  al regalo di cui essi sono soddisfatti. I sandali insomma riverberano il sorriso delle persone come la distesa marina quello di Venere:" tibi rident aequora ponti " (I, 8).-grandes viridi cum luce zmaragdi  : evocano le spese folli dell'amante innamorato, e , forse, occhi femminili tesi ad affascinare come quelli, già segnalati, della Carmen di Svevo.-thalassina :  aggettivo, hapax , è formato su qavlassa, "mare", dunque "marina". Tale veste può riprodurre il colore degli smeraldi o degli occhi dell'amata cui l'amante avrebbe potuto rivolgere la battuta che Proust  fa dire a Swann rivolto a una prostituta:"Che cosa carina: ti sei messa degli occhi azzurri dello stesso colore della tua cintura!" [42] .-potat : Lucrezio vuole indicare  una bevuta laida, quasi una fellatio della vestis . "La radice del verbo deriva dall'indoeuropeo *po-  che ha dato come esito in greco pi-/po-/pw-, in latino po- (il verbo bibo deriva da *bi-po )" [43] .
"Et bene parta patrum fiunt anademata, mitrae, /interdum in pallam atque Alidensia Ciaque vertunt " (1129-113O), e il patrimonio dei padri onestamente acquistato diventano bende e copricapi, talora si cambia in pepli e in tessuti di Alinda e di Ceo".-anademata : è una traslitterazione di ajnadhvmata, "bende", da ajnadevw=cingo.-mitrae  da mitra  che traslittera mivtra, ed è un copricapo orientale, una specie di cuffia.-pallam : è una sopravveste da donna, pure di origine greca.-Alidensia : da Alinda, in Caria.-Ciaque : "di Ceo nelle Cicladi, che Lucrezio-come già Varrone e poi Plinio (vd. nat. hist.  4, 62)- confonde qui con Cos, celebre per le sue stoffe" [44] . Sembra che l'amore provochi sperperi tesi a gratificare la sanguisuga amata . Questo è detto esplicitamente nella tirata antifemminista dell'Ippolito  di Euripide  di alcuni versi della quale forse si è ricordato Lucrezio:" E quello che ha preso in casa la pianta perniciosa  gode nel porre intorno all'idolo malvagio (ajgavlmati kakivstw/////) ornamenti belli e si affatica intorno ai pepli, infelice (kai; pevploisin ejkponei'-duvsthno") , distruggendo la ricchezza della casa" (vv. 630-633). Ma la brama di tale distruttiva pianta dell'accecamento ("ajthrovn...futovn", v. 630) non è amore poiché l'amore è un'entità benefica e costruttiva.
Vediamo un momento, purtroppo fuggitivo, di vero amore in Resurrezione di Tolstoj:" Bastava che Katjuŝa entrasse nella stanza o che da lontano Nechljùdov scorgesse il suo grembiule bianco, perché tutto gli apparisse illuminato dal sole, tutto diventasse più interessante, più giocondo, più ricco di significato, perché la vita diventasse più lieta. E anche per lei era così" [45] .
"Eximia veste et victu convivia, ludi, /pocula crebra, unguenta coronae serta parantur, /nequiquam, quoniam medio de fonte leporum/surgit amari aliquid quod in ipsis floribus angat ..." (vv. 1131-1134):"si preparano conviti con apparato e portate sfarzose, giochi, tazze fitte, profumi, corone. ghirlande, invano poiché dal mezzo della sorgente dei piaceri sgorga qualche cosa di amaro che angoscia persino in mezzo ai fiori.-"Eximia  è ablativo concordato con il solo veste , ma si riferisce anche a victu ; veste  varrà qui vestis stragula  (a differenza di vestis  al v. 1127), drappo per divani in stoffa evidentemente preziosa" [46] . Tutto lo sfoggio pacchiano (trimalchionesco diremmo, dopo il Satyricon , ma si può pensare anche a quello del Creso erodoteo) attira consensi che non appagano. Una via di soddisfazione autentica, senza angoscia, la indica Seneca :"qui domum intraverit nos potius miretur quam supellectilem nostram " (Ep. a Lucilio , 5, 6) , chi sarà entrato in casa nostra ammiri noi piuttosto che le nostre suppellettili.-nequiquam : la parola lunga e pesante, in posizione enfatica, inficia l'accumulo di cose ammucchiate ed esibite.-amari :"la paronomasia-come ai vv. 1054 e 1056 riduceva l'amor  a pura manifestazione fisiologica (umorem )- qui lo riduce a semplice sofferenza interiore (amari )" [47] .
"aut cum conscius ipse animus se forte remordet/desidiose agere aetatem lustrisque perire..." (vv. 1135-1136), o perché l'animo senza volere  si tormenta da solo  rendendosi conto di passare la vita senza far nulla e di esaurirsi nella crapula...-forte : il tormento viene addosso "per caso" nel senso che quando agiamo in maniera distruttiva e contraria alla vita in generale, o, nella fattispecie, al mos maiorum , cerchiamo di respingere la pena, ma questa, sempre viva, ci vola addosso. Per l'immagine mutuata cfr. Edipo re , vv. 481-482.
"aut quod in ambiguo verbum iaculata reliquit/quod cupido adfixum cordi vivescit ut ignis, aut nimium iactare oculos aliumve tueri/quod putat in vultuque videt vestigia risus " (vv. 1137-1140), o perché ella, scagliata una parola in parte incerta, ha lasciato una cosa che, conficcata nel cuore bramoso, fiammeggia viva come fuoco, o perché egli pensa che lei lanci troppe occhiate e miri a un altro e vede nel volto il riflesso di un sorriso.-aut : altra spiegazione di questa eziologia del dolore.- in ambiguo=in ambiguum . Ambiguus è formato da amb- e ago:" che inclina in due direzioni, malfermo".
 Abbiamo visto che Pirandello estende questa ambiguità a ogni comunicazione verbale [48]  .-iaculata  (da iaculor ; iaculum  è il giavellotto): la parola della donna amata, se non è del tutto benevola, diventa un arma. Sentiamo di nuovo  Leopardi in Aspasia  :" Narra che prima,/e spero ultima certo, il ciglio mio/supplichevol vedesti, a te dinanzi/me timido, tremante (ardo in ridirlo/di sdegno e di rossor), me di me privo,/ogni tua voglia, ogni parola, ogni atto/spiar sommessamente, a' tuoi superbi/fastidi impallidir, brillare in volto/ad un segno cortese, ad ogni sguardo/mutar forma e color" (vv. 92-101).-adfixum...ignis : la ferita e la fiamma sono messe insieme perché si potenzino a vicenda nel rappresentare la pena d'amore.-iactare oculos : il verbo, etimologicamente imparentato con iaculor , lancio, iaculum, giavellotto, e iactura, danno,  rende l'idea del lancio dannoso: in questo caso di un'arma a doppio taglio che lusinga l'occhieggiato e ferisce l'amante.-vultuque videt vestigia : la triplice allitterazione in v-  sembra rendere fonicamente il rimuginare sofferente del geloso.
"Atque in amore mala haec proprio summeque secundo/inveniuntur; in adverso vero atque inopi sunt,/prendere quae possis oculorum lumine operto,/innumerabilia; ut melius vigilare sit ante,/qua docui ratione, cavereque ne inliciaris " (vv. 1141-1145), e questi mali si trovano in un amore conquistato e corrisposto al massimo, ma in uno non contraccambiato e per il quale non si ha la forza, ce ne sono innumerevoli che puoi afferrare a occhi chiusi; sicché è meglio mettersi in guardia prima, secondo il metodo che ho insegnato, e stare attento a non essere adescato.-inopi : per conquistare l'amore come per vincere guerre o gare ci vogliono mezzi (opes ) che possono variare dalla bellezza, alla ricchezza, al potere, al genio, poiché l'amore, soprattutto quello delle donne, nasce dall'ammirazione. "Farsi amare per pietà, quando l'amore nasce solo dall'ammirazione, è un'idea molto degna di pietà" [49] .-
Nelle Troiane  di Euripide,  Elena,  secondo Ecuba, fu attirata dallo splendore di Paride: sia quello della bellezza, sia quello delle ricchezze che portava con sé e che possedeva a Troia dove l'oro scorreva a fiumi. L'adultera, lasciata Sparta, sperava di sommergere nelle spese la città dei Frigi, poiché non le bastavano i palazzi di Menelao per trasmodare nel lusso  (vv. 994-995).
Quanto al suo parteggiare per i Troiani o per i Greci durante la guerra, la bellissima  stava sempre dalla parte del vincitore: se prevaleva Menelao, lo esaltava per umiliare Paride, se avevano successo i Troiani, lo spartano non era più nulla ("oujde;n h'jn ovJde", v. 1007). La figlia di Zeus insomma seguiva la fortuna, non la virtù. In effetti non solo l'adultera di Sparta ma le femmine, umane e no, in genere hanno senso pratico e stanno sempre dalla parte di chi ha i mezzi per vincere. "Le donne non perdonano l'insuccesso", dice bene Kostantin, il ragazzo  suicida de Il gabbiano  [50]  di Cechov ; "Se una donna non tradisce, è perché non le conviene" sostiene Pavese [51] . Inoltre:"Le puttane battono a soldi. Ma quale donna si dà altro che a ragion veduta?" [52] .-ut : conclusivo.-inliciaris : verbo formato da in  +lacio (attiro, irretisco)). Per non lasciarsi sedurre bisognerebbe  mangiare soltanto l'esca, senza essere mai presi, come suggerisce Kierkegaard. Prima di innamorarci di una donna dovremmo guardare, oltre che al suo aspetto, importantissimo per carità, anche alla sua moralità, alla sua educazione, alle sue abitudini. Abbiamo già detto di Swann che, adescato, non vede  l'insufficienza dell'educazione di Odette.
"Nam vitare, plagas in amoris ne iaciamur,/non ita difficile est quam captum retibus ipsis/exire et validos Veneris perrumpere nodos " (1146-1148), infatti evitare di gettarsi nelle reti d'amore, non è così difficile come una volta incappato nelle stesse reti uscirne e spezzare a forza i robusti nodi di Venere.-plagas ...retibus ...nodos : l'amore ancora una volta [53]   che imbriglia, allaccia, inceppa. Ma si tratta sempre di amori sbagliati, anzi di rapporti malevoli che tendono appunto a depotenziare e sottomettere. Come questo descritto da Pavese:"Quale mezzo migliore per una donna che vuole fottere un uomo, se non portarlo in un ambiente non suo, vestirlo in un modo ridicolo, esporlo a cose di cui è inesperto, e-quanto a lei-avere nel frattempo altro da fare, magari quelle cose stesse che l'uomo non sa fare? Non solo lo si fotte davanti al mondo, ma-importante per una donna che è l'animale più ragionevole che esista-ci si convince che va fottuto, si conserva la buona coscienza" [54] . Tale pessimismo nei confronti dell'amore e delle donne certamente non è estraneo al suicidio di tali autori .
"Et tamen implicitus quoque possis inque peditus/effugere infestum, nisi tute tibi obvius obstes/et praetermittas animi vitia omnia primum/aut quae corpori' sunt eius, quam praepetis ac vis " (vv. 1149-1152), e tuttavia anche avviluppato e impedito potresti schivare il danno, se non ti ostacolassi da solo andandole incontro e per prima cosa non lasciassi correre tutti i vizi dell'animo o quelli evidenti del corpo di colei che più tutte desideri e vuoi.-implicitus : da implico, avviluppo.-inque peditus : et impeditus  in tmesi, da in e pes, con le pastoie ai piedi, il contrario di expeditus , sciolto. L'amore è considerato come un laccio che inceppa e impedisce la visione della realtà effettuale, quasi il corrispettivo dell' a [th, l'accecamento, che, nel IX dell'Iliade , è una "smisurata forza irrazionale"contro la quale"ogni arte dell'educazione umana, ogni buon consiglio è impotente" [55] . Infatti la donna viene definita da Ippolito ajthrovnfutovn (v.630), pianta dell'accecamento.-Infestum: aggettivo sostantivato.-tute tibi obvius obstes : il pronome personale in poliptoto e la doppia allitterazione rendono l'idea dell'uomo che ostacola se stesso andando da solo incontro al suo danno.-corpori'  (=corporis ) quae sunt : i difetti del corpo sono evidenti e reali, particolarmente dopo che la donna si è spogliata, mentre gli animi vitia  possono anche passare inosservati.
 Si tratta di aprire bene gli occhi sui difetti dell'amante, come vedremo tra poco.
Ovidio utilizzerà questa lezione nei Remedia amoris .
"Come dimenticare che Lucrezio aveva raccomandato di non ostacolare con l'autoinganno la guarigione dall'amore? e aveva anche aggredito satiricamente la cecità di chi non vuol vedere nella persona amata i difetti dell'animo e del corpo ma preferisce nasconderli dietro un repertorio di nomignoli blandi. E così i Rimedi contro l'amore  ripetono questa lezione e anzi aumentano le dosi terapeutiche: non solo saranno banditi gli autoinganni dell'eufemismo ("aprite gli occhi e chiamate i difetti col loro vero nome") ma addirittura bisognerà rovesciare in difetto ogni pregio esistente ("se è formosa, chiamala grassa; se bruna, chiamala negra;  se è snella, chiamala quattrossa; se non è rozza, dì che è sfacciata".). E' questo uno dei punti in cui l'Ovidio dei Remedia  sembra più esplicitamente disfare gli insegnamenti dell'Ars . Nell'Ars  l'eufemismo d'amore (se è grassa, dilla formosa...) era raccomandato a chi voleva farsi amare: ma si trattava di una tecnica di corteggiamento, e la possibilità di scivolare nell'autoinganno era solo un corollario di cui il poeta scrupolosamente avvertiva i suoi discepoli (Ars amatoria  2, 647 ss.). Sia l'Ars  che i Remedia  fanno tesoro della lezione diatribica di cui Lucrezio era stato portavoce, la lezione secondo cui gli innamorati sono ciechi fino al ridicolo. Una proposizione da cui conseguono due  opposte possibilità: se si tratta di mostrarsi innamorati, bisogna accettare di apparire ciechi e ridicoli (l'Ars ); se si tratta di liberarsi dall'amore, bisogna bene aprire gli occhi, e magari finanche vedere troppo (i Remedia )" [56]
 "Nam faciunt homines plerumque cupidine caeci/et tribuunt ea quae non sunt his commoda vere " (vv.1153-1154), infatti fanno così di solito gli uomini acciecati dalla brama e attribuiscono a queste quei pregi che esse non hanno.-cupidine caeci : clausola allitterante con il tovpo" di "aprite un po' quegli occhi,/uomini incauti e sciocchi" ripreso e spiegato dall'aria del Figaro delle nozze di Mozart-Da Ponte:"Guardate queste femmine,/guardate cosa son./Queste chiamate dee/dagli ingannati sensi/a cui tributa incensi/la debole ragion./Son streghe che incantano/per farci penar,/sirene che cantano/per farci affogar;/civette che allettano/per trarci le piume,/comete che brillano/per toglierci il lume./Son rose spinose,/son volpi vezzose,/son orse benigne,/colombe maligne,/maestre d'inganni,/amiche d'affanni/che fingono, mentono,/che amore non sentono,/ non senton pietà./Il resto nol dico./Già ognuno lo sa" [57] . Infatti era già scritto nella nostra letteratura classica.-
"Multimodis igitur pravas turpisque videmus/esse in deliciis summoque in honore vigere " (1155-1156), quindi vediamo quelle per molti versi deformi e ripugnanti essere vezzeggiate e tenute nella considerazione più alta.-turpisque=turpesque . Questa trasfigurazione è motivata non solo dalla cecità dell'uomo ma anche dall'astuzia della donna che, al pari di Ulisse, può essere seduttiva senza essere bella [58] . Kafka racconta in diverse pagine gli espedienti di una donna brutta, Frieda, spietatamente denunciati attraverso il discorso indiretto di un'altra donna, Pepi, naturalmente una rivale:" Frieda, una ragazza bruttina, magra, non giovane, con pochi aridi capelli, e per giunta una sorniona sempre piena di misteri, cosa che probabilmente dipende dal suo aspetto; meschina com'è di faccia e di corpo, deve ben avere altri segreti che nessuno può indagare...Nessuno sa meglio di Frieda stessa quanto sia misero il suo aspetto, chi la vede, ad esempio, per la prima volta coi capelli sciolti giunge le mani per la pietà; una ragazza così, se ci fosse giustizia, non dovrebbe fare neanche la cameriera, lo sa anche lei e ne ha pianto per nottate intere, stringendosi a Pepi e mettendosi intorno al capo le trecce di Pepi. Ma quando è in servizio ogni dubbio l'abbandona, si crede la più bella di tutte e riesce a comunicare agli altri la sua convinzione. Conosce i suoi polli Frieda; quella è la sua vera arte. Ed è pronta nel mentire e nell'ingannare affinché la gente non abbia tempo di osservarla bene. Naturalmente queste arti alla lunga non bastano, la gente ha occhi e finirebbe per servirsene. Ma nell'istante in cui ella fiuta il pericolo ha già pronto un espediente nuovo: ultimamente, per esempio, la sua relazione con Klamm!...Che furba, che furba!…Ma quello che basta a Klamm come potrebbe non essere ammirato dagli altri?…gli è davvero piaciuta quella cosettina gialla e patita? Ma no, non l'ha neanche guardata, lei gli ha solo detto che era l'amante di Klamm, per lui il trucco era ancora nuovo, ed eccolo perduto...D'altronde Frieda non si sa vestire, è completamente priva di gusto; chi ha una pelle giallastra è obbligato a tenersela, ma non occorre che si metta per giunta, come Frieda, una camicetta color crema, molto scollata, così che vien da piangere davanti a tutto quel giallo...Pepi invece detestava simili artifici " [59]
"Atque alios alii irrident Veneremque suadent/ut placent, quoniam foedo adflictentur amore,/nec sua respiciunt miseri mala maxima saepe " (vv. 1157-1159), e si deridono a vicenda, e consigliano di placare Venere, poiché sono tormentati da un amore ripugnante, e spesso non considerano, disgraziati i propri grandissimi mali.-alios alii irrident : poiché vedono la follia degli altri ma non la propria. Si  comportano in modo simile ai deiloiv , i plebei, stigmatizzati da Teognide:" ajllhvlou" d& ajpatw'sin ejp& ajllhvloisi gelw'nte"" (Silloge, v. 59) si ingannano a vicenda deridendosi a vicenda. La differenza è che gli innamorati pazzi ingannano se stessi. "Suadent è trisillabico con -u-  con forza di vocale...Al v. 1158 è da notare la clausola allitterante (adflictentur amore ) e al v. 1159 l'allitterazione in s-  e la triplice allitterazione in m- . (sua...saepe; miseri mala maxima )" [60] . Aggiungo la segnalazione dell'ossimoro foedo...amore
"Nigra melichrus est, immunda et foetida acosmos " (v. 1160), la nera ha l'incarnato di miele, la lercia e puzzolente è trasandata.-nigra : la pelle scura era apprezzata molto meno della candida . Catullo mette la carnagione chiara tra le doti fisiche gradite a molti, ma non sufficienti secondo lui, quando mancano la venustas, la grazia, e la mica salis , il grano di sale, a costituire una bella donna. Tale è solo Lesbia :"Quintia formosa est multis, mihi candida, longa, recta est…Lesbia formosa est " (86, 1-2, 5), Quinzia per molti è bella, per me di carnagione chiara, lunga, diritta…Lesbia sì che è bella.
Il Creonte della Medea  di Grillparzer, rimpiangendo la figlia fatta morire dalla rivale, gli sembra di vederla :"così bianca, così bella, scendere leggera tra le nere rovine" (atto V). L' Antigone di Anouilh non è sicura di essere desiderata veramente da Emone per il suo aspetto, meno attraente di quello della sorella:"Sono nera e magra. Ismene è rosa e dorata come un frutto" [61] . Ma il fidanzato, forse perché impazzito, l'ha preferita all'altra figlia di Edipo.  -melichrus: è traslitterazione dell'aggettivo greco melivcrou"  composta da mevli (miele) e crova (carnagione). Questo travisamento ricorda l'idealizzazione dell'innamorato Buceo nel X idillio di Teocrito:"Suvran kalevontiv tu pavnte", /ijscna;n aJliovkauston, ejgw; de; movno" melivclwron" (vv. 26-27), tutti ti chiamano Sira, secca, bruciata dal sole, io solo colore del miele.-immunda  : formato da in , prefisso negativo, e mundus , pulito. Significa sciatto e sudicio. Una curiosità: Cicerone, deluso dal comportamento di Pompeo che pensava solo a fuggire, lo paragona a quelle donne immundae, insulsae, indecorae, sudicie, sciocche, brutte che ci distolgono dall'amarle (Att.  9, 10, 2).-foetida : è quella che foetet , puzza, la portatrice di foetor , trasfigurata in acosmos  (traslitterazione di a [kosmo" , disordinato) che qui dovrebbe indicare la neglegentia sui , l' apparente noncuranza di sé; insomma una trasandatezza elegante.
"caesia Palladium, nervosa et lignea dorcas " (v. 1161), quella con gli occhi glauchi è un simulacro di Pallade, la nervosa e legnosa una gazzella".-Palladium : corrisponde al greco Pallavdion , statua di Pallade che infatti Omero chiama glaukw'pi", dagli occhi lucenti. Nel nostro contesto gli occhi chiari, tra il verde e l'azzurro, non sono considerati un pregio.-dorcas : traslitterazione del greco dorkav", gazzella e capriolo, animali agili, eleganti. Il verbo reggente è sempre est .
"parvula, pumilio, chariton mia, tota merum sal  " (1162), la piccina, la nana, è una delle grazie, tutta sale puro.-parvula : cfr. "la piccina è ognor vezzosa" della lista di Don Giovanni  di Mozart-Da Ponte (I, 5), ma questo è il seduttore per il quale conta non l'individualità della donna bensì quello che tutte le donne hanno in comune. Invece compie la stessa operazione di Lucrezio, Eliante nel Misantropo  di Moliere che aveva  tradotto il De rerum natura  prima del 1660 :"La nera come un corvo è una splendida bruna: la magra ha vita stretta e libere movenze; la grassa ha portamento nobile e maestoso; la sciatta, che è fornita di non molte attrattive, diventa una bellezza che vuole trascurarsi; la gigantessa sembra, a vederla, una dea; la nana è un riassunto di celesti splendori; l'orgogliosa ha un aspetto degno d'una corona; la scaltra è spiritosa; la sciocca è molto buona; la chiacchierona è donna sempre di buonumore; la taciturna gode di un onesto pudore. Perciò lo spasimante, se è molto innamorato, ama pure i difetti della persona amata" [62] .-chariton mia : traslitterazione di carivtwn miva, una delle Cariti o Grazie.-tota merum sal  (con clausola monosillabica): noi usiamo piuttosto il pepe per una persona piccola ma non insignificante, mentre della inespressiva e insipida diciamo "non sa di nulla". Anche per Catullo, come abbiamo visto, il sapore di una donna è dato dal suo sale:"nulla in tam magno est corpore mica salis " (86, 4), in un corpo tanto grande non c'è un granello di sale. Il sapore ovviamente viene dallo spirito. 
"magna atque immanis cataplexis plenaque honoris "(1163), la mostruosamente grande è un incanto pieno di maestà.-immanis : formato da in-  prefisso negativo e manus=bonus , quindi mostruoso.-cataplexis  : traslitterazione di katavplhxi", che ha la radice del verbo plhvssw, colpisco.- honoris : cfr. "è la grande maestosa", (Don Giovanni , I, 5 ).
"Balba loqui non quit, traulizi, muta pudens est " (v. 1164), la balbuziente, non sa parlare, cinguetta, la muta è riservata.-balba : abbiamo visto che la donna deve essere silenziosa; la balbuziente invece appare spregevole qui e ancor più nella ripresa dantesca:"mi venne in sogno una femmina balba" (Purgatorio , XIX, 7).-traulizei : traslittera traulivzei con ei pronunciato i.-muta pudens : il mutismo è un silenzio eccessivo e anche qui un difetto è ribaltato in pregio.
"at flagrans odiosa loquacula lampadium fit " (1165).-ma quella che sputa fuoco odiosa, chiacchierona diventa una fiammetta.-flagrans : una megera o un'erinni fiammeggiante.-Lampadium  : traslittera lampavdion, diminutivo di lampav", fiaccola.
"Ischnon eromenion fit, cum vivere non quit/prae macie; rhadine verost iam mortua tussi " (1166-1167), diventa uno snello tesorino, quando non può vivere per la magrezza; poi è delicata quella che crepa dalla tosse.-Ischnon eromenion =ijscno;n ejrwmevnion=snello amoruccio .-rhadine =rJadinhv. "questo quadro ironico e caricaturale delle illusioni dell'amante...è accentuato dalla conservazione delle parole greche, altrove nel poema costantemente rese nelle equivalenti forme latine" [63] . Dionigi segnala pure che questo motivo, già presente in Platone (Rsp. 474d), Teocrito 10, 26 sg. , già citato, e nell'Anthologia Palatina  , "sarà caro alla letteratura posteriore (Orazio, serm. I, 3, 38 sgg.; Ovidio, ars  2, 657-662; rem. am.  315 sgg.), fino a riaffiorare nel Misanthrope  di Moliere (2, 5)". Ancora un paio di versi poi vediamo quali parole ci appulcrano Orazio e Ovidio.
"At tumida et mammosa Ceres est ipsa ab Iaccho,/simula Silena ac Saturast, labeosa philema " (vv. 1168-1169), ma la turgida e pocciona è Cerere stessa sgravata da Iacco, la camusa una Silena o una Satira, la labbrona un bel bacio.-tumida: questa, che è gonfia (tumet ) e con tette enormi viene interpretata come un'incarnazione della magna mater  dopo che ha partorito Iacco "divinità associata ai culti eleusini di Demetra; è probabile che Lucrezio identifichi Iacco con Liber  (divinità italica corrispondente al greco Dioniso), nato da Cerere (Cicerone, De natura deorum  II, 24, 62). "Ab Iaccho  è espressione molto densa con ab  causale ("a causa di Iacco", appena partorito) o temporale ("subito dopo" aver partorito)" [64] .-simula : diminutivo di sima ricavato dal greco simov", camuso.- Silena : ai sileni rappresentati con zampogna o flauto viene assimilato Socrate, che infatti aveva il naso camuso, dal bell' Alcibiade il quale era affascinato dal maestro nonostante la  bruttezza, nel Simposio  platonico (215). Simula Silena  costituiscono " una iunctura  non solo allitterante ma anche omeoptotica, isosillabica e parafonica" [65] .-labeosa : formato da labea , labbro, + il suffisso -osus  che, presente pure in mammosa , significa grandezza.-philema : traslitterazione di fivlhma, bacio.
Dicevamo che pure Orazio e Ovidio si sono espressi in questo tovpo" il quale effettivamente può trovare risonanze in tutti gli uomini di tutti i tempi.
Il Venosino nella Satira  I 3 afferma che le brutture e i difetti dell'amante ingannano l'innamorato cieco e addirittura proprio quelle imperfezioni gli piacciono (vv. 38-40). Si deve porre mente a questo per imparare un poco di indulgenza verso le manchevolezze del prossimo . Il locus  è utilizzato come exemplum  di tolleranza. La conclusione della satira è che se compatiremo, verremo compatiti. Si vede come un argomento può essere impiegato per dare insegnamenti opposti.
Lo stesso poeta può usare il medesimo tovpo" in libri diversi per sostenere una tesi e quella contraria.
Così fa Ovidio che nei Remedia amoris apre gli occhi sui difetti delle donne suggerendo perfino di accentuarli con il pensiero, mentre nell'Ars amatoria  consiglia di guardarsi bene dal rinfacciare  alle ragazze le loro imperfezioni (parcite praecipue vitia exprobrare puellis , II, 640): a molti fu utile avere fatto finta di non vedere. Questo vale per non disgustare le donne le quali anzi vanno adulate. Del resto chiunque chieda qualche cosa deve essere un adulatore, si dice il cuoco Sicone nel Duvskolo" di Menandro , preparandosi a chiedere un lebete al vecchio scorbutico " dei' ga;r ei''j nai kolakiko;n-to;n deovmenon tou" (vv. 492-493).
Con l'adulazione si può sedurre persino una vestale.
 L'adulazione funziona sempre quando si vuole compiacere una donna. Sentiamo Svidrigàilov il " vecchio  libertino incancrenito" di Delitto e castigo  che ha "una specie di scintilla sempre accesa nel sangue" :"... finalmente feci ricorso al mezzo supremo e infallibile per soggiogare il cuore femminile, il mezzo che non fallisce mai e che agisce decisamente su tutte le donne, senza eccezione. Niente al mondo è più difficile della sincerità e più facile dell'adulazione...per quanto infantilmente grossolana possa essere l'adulazione, almeno per metà essa sembra senz'altro vera. E questo vale per gente di ogni livello e di ogni ceto sociale. Con l'adulazione si può sedurre perfino una vestale" [66] .
Non è difficile essere creduti quando si adula, suggerisce Ovidio nel primo libro dell'Ars amatoria  :"Nec credi labor est: sibi quaeque videtur amanda/pessima sit, nulli non sua forma placet " (vv. 611-612) e non è difficile essere creduto: a ognuna sembra di essere degna di amore, sia pure pessima, a nessuna dispiace il suo aspetto . Sentiamo ancora il seduttore di Madame Bovary:"Finalmente lo hai davanti, il tesoro tanto cercato: risplende, scintilla. Eppure dubiti ancora, non osi crederci: ne resti abbagliato come all'uscita dalle tenebre alla luce" (p. 118).
Restiamo ancora un poco sull'argomento trattato da Ovidio prima di tornare a Lucrezio.
Il poeta nel II libro dell'Ars  amatoria afferma che chiudere un occhio sui difetti dell'amante è utile non solo alla conquista ma anche al mantenimento del rapporto il quale riceve lunga vita dalla transigenza fondata a sua volta sull'abitudine:"Quod male fers, adsuesce: feres bene: multa vetustas/leniet; incipiens omnia sentit amor  " (vv.647-648), a quello che sopporti male, abituati: sopporterai bene: la lunga durata allevierà molte cose difficili; l'amore all'inizio fa caso a tutto.
 Lo stesso passare del tempo toglie tutte le pecche del corpo, e quello che era un difetto smette di esserlo con la dilazione. Sapere aspettare serve, ma anche l'uso intelligente delle parole è funzionale a questo scopo.
Ovidio dunque nell' Ars amatoria presenta come astuzia da usare quello che Lucrezio considera un errore da evitare :"Nominibus mollire licet mala:"Fusca" vocetur,/nigrior Illyrica cui pice sanguis erit;/si paeta est, "Veneri similis"; si rava, "Minervae";/sit "gracilis", macie quae male viva sua est;/dic "habilem", quaecumque brevis, quae turgida, "plenam";/et lateat vitium proximitate boni " (, II, vv. 657-662), i difetti si possono attenuare con le parole: "scura" si chiami quella che avrà vene più nere della pece illirica; se è un pò strabica, "simile a Venere"; se è glauca, "a Minerva"; sia "gracile" quella che, del tutto esaurita, è viva per poco, chiama "maneggevole" chiunque sia corta; quella gonfia, "piena", e si nasconda il difetto con il pregio più vicino.
 Le parole insomma servono ad avvicinare e conservare la donna.
Viceversa nei Remedia Amoris  il poeta Peligno consiglia di accentuare mentalmente i difetti dell'amante per tenerla lontana. Non è difficile compiere l'una o l'altra operazione siccome è sottile il confine tra vizio e virtù.
"Profuit adsidue vitiis insistere amicae/idque mihi factum saepe salubre fuit./"Quam mala" dicebam "nostrae sunt crura puellae" (nec tamen, ut vere confiteamur, erant); "bracchia quam non sunt nostrae formosa puellae" (et tamen, ut vere confiteamur erant)/"quam brevis est" (nec erat), "quam multum poscit amantem";/haec odio venit maxima causa meo./ Et mala sunt vicina bonis: errore sub illo/pro vitio virtus crimina saepe tulit./ Qua potes, in peius dotes deflecte puellae/iudiciumque brevi limite falle tuum./"Turgida", si plena est, si fusca est, "nigra" vocetur;/in gracili "macie" crimen habere potest./Et poterit dici "petulans" quae rustica non est;/et poterit dici "rustica", si qua proba est  "  (vv. 315-330), mi ha fatto bene pensare senza tregua ai difetti dell'amante e questa pratica ripetuta mi è stata salutare. "Quanto sono fatte male-dicevo-le gambe della mia donna" (né tuttavia, a dire il vero, lo erano); "quanto non sono belle le braccia della mia donna" (e tuttavia, a dire il vero, lo erano) " quanto è corta" (e non lo era), quanto esige dall'amante", questo divenne il motivo più grande per la mia avversione. Poi i mali stanno vicino ai beni: sottomessa a quell'errore spesso la virtù si è presa le colpe del vizio. Per quanto puoi, volgi in peggio le doti della tua donna e, dato il breve confine, inganna il tuo giudizio. "Gonfia" devi chiamarla se è piena, se è scura "negra"; in quella magra la secchezza può essere incriminata. E potrà chiamarsi "sfrontata" quella che non è campagnola e si potrà chiamare "campagnola" se una è virtuosa.-quam multum poscit  (v. 321): ecco il difetto  più odioso per l'amante poiché l'utile è valutato più del bello e del buono. Una riflessione che si trova anche in Machiavelli il quale consiglia al suo principe di evitare quello che anche secondo lui è il difetto più odioso:"ma, sopra a tutto, astenersi dalla roba d'altri; perché li uomini sdimenticano più presto la morte del padre che la perdita del patrimonio" [67] . Citeremo ancora l'autore de Il Principe poiché Ovidio è il maestro, se vogliamo il cattivo maestro, dello sganciamento di un'attività dalla morale. - et mala sunt vicina bonis (v. 323): basta spostare un poco il punto di vista, come quando si è in movimento, anche soltanto con la bicicletta, e si osserva un paesaggio montuoso, perché le forme cambino e si trasfigurino. Questo avviene non solo nel campo della percezione fisica o estetica ma anche in quello della interpretazione morale:" Unnatural vices/are fathered by our heroism. Virtues/ are forced upon us by our impudents crimes " [68] , afferma il classicista Eliot, vizi innaturali hanno come padre il nostro eroismo. Virtù ci sono imposte dai nostri impudenti delitti. Già Machiavelli aveva indicato questa confusione di virtù magari deleterie e vizi che possono creare il bene:"se si considerrà bene tutto, si troverà qualche cosa che parrà virtù, e, seguendola sarebbe la ruina sua, e qualcuna altra che parrà vizio, e seguendola, ne riesce la securtà e il bene essere suo"  [69] . -    
in peius (v. 325) : il pessimismo è quasi sempre legato a frustrazioni vitali, soprattutto amorose e di salute.
Un'eco di questa svalutazione e svilimento del corpo femminile, necessario a chi voglia liberarsi dall'irrazionale soggezione alla libidine erotica, si trova nel Secretum  del Petrarca quando S. Agostino che vuole liberare l'animo di Francesco dai due errori più pericolosi, l'amore per la gloria e l'amore per Laura, mette in guardia il poeta dai pericoli connessi alla bellezza delle donne, effimera e ingannevole se non addirittura inesistente:"Pauci enim sunt qui, ex quo semel virus illud illecebrose voluptatis imbiberint, feminei corporis feditatem de qua loquor, sat viriliter, ne dicam satis constanter, examinent " (III, 68), sono pochi quelli che, da quando una volta sola abbiano assorbito quel noto veleno del piacere seducente, possono considerare abbastanza energicamente, per non dire con sufficiente costanza, la laidezza del corpo femminile.-rustica (vv. 329 e 330) : si ricordino le riflessioni che abbiamo fatto sulla rusticitas  che può essere cosa buona o cattiva a seconda di come la si prende. A volte, controbatto, la seduzione della bellezza femminile o maschile, insomma l'inganno  di Cipride, porta aiuto a chi subisce o lo infligge:  così è  nel poema di Apollonio Rodio dove Fineo consiglia agli Argonauti: cercate l'aiuto della dea Cipride che inganna: in lei infatti sta il compimento glorioso delle vostre fatiche (Argonautiche, II, 423-424). Ma già Saffo chiede aiuto ad Afrodite  invocandola come dolovploke, tessitrice di inganni (I D, v. 2).  
Continuiamo ancora un poco con Ovidio il quale consiglia pure di mettere in imbarazzo l'amata spingendola in situazioni dove non si trovi a suo agio:"Quin etiam, quacumque caret tua femina dote,/hanc moveat, blandis usque precare sonis:/ exige uti cantet, si qua est sine voce puella; /fac saltet, nescit si qua movere manum;/barbara sermone est, fac tecum multa loquatur;/non didicit chordas tangere, posce lyram;/durius incedit, fac inambulet; omne papillae/pectus habent, vitium fascia nulla tegat;/si male dentata est, narra, quod rideat, illi;/mollibus est oculis, quod fleat illa refer " (Remedia Amoris , 331-340), anzi, di qualsiasi qualità sia priva la tua donna, pregala continuamente con toni di lusinga che eserciti questa: pretendi che canti, se è una ragazza senza voce; falla danzare, se è una che non sa muovere una mano; se è rozza nel modo di esprimersi, falla parlare molto con te; non ha imparato a toccare le corde, chiedile di suonare la lira; cammina goffamente, falla passeggiare; i capezzoli occupano tutto il petto, nessun reggiseno copra il difetto; se ha una dentatura brutta, raccontale qualcosa di cui rida; se è di occhi piagnucolosi, dille qualcosa di cui pianga.-precare (v. 332): imperativo di precor.  Viene consigliata una diabolica, sistematica distruzione della creatura oggetto di amore-odio, conseguenza dell'amare  senza bene velle  e della cattiva competizione tra i sessi. Secondo Pavese questa strategia è concepita e messa in atto sistematicamente dal "popolo nemico" delle donne per annientare gli uomini:"Una donna che non sia una stupida, presto o tardi, incontra un rottame umano e si prova a salvarlo. Qualche volta ci riesce. Ma una donna che non sia una stupida, presto o tardi trova un uomo sano e lo riduce a rottame. Ci riesce sempre" [70] .
Torniamo a Lucrezio che, consapevole di non poter esaurire l'argomento, ne prende un altro, sempre però con lo scopo di fornire all'innamorato accecato i mezzi per recuperare la vista mentale e liberarsi dalla schiavitù.
"Cetera de genere hoc longum est si dicere coner./Sed tamen esto iam quantovis oris honore,/cui Veneris membris vis omnibus exoriatur:/nempe aliae quoque sunt; nempe hac sine viximus ante;/nempe eadem facit, et scimus facere, omnia turpi,/ et miseram taetris se suffit odoribus ipsa/quam famulae longe fugitant furtimque cachinnant " (IV, 1170-1176), sarebbe troppo lungo se cercassi di dire gli altri travisamenti del genere. Ma tuttavia sia pure di bellezza quanto vuoi sublime nel volto, una alla quale da tutte le membra venga fuori la potenza di Venere: certo ce ne sono anche altre; certo abbiamo vissuto senza questa in precedenza; certo fa tutte le medesime cose, e sappiamo che le  fa,   di una brutta, e si affumica la disgraziata, con ributtanti suffumigi, proprio lei, da cui le serve scappano lontano e sghignazzano di nascosto.-oris : la bellezza (honor ) del volto è quella che si nota per prima, soprattutto da quando si è adulti.-aliae quoque sunt : non è un buon argomento per l'uomo che ha concentrato tutti i suoi desideri e le sue speranze in quella forma e tutte le altre non hanno significato per lui. Catullo nel carme 86 già menzionato nega che Quinzia sia "formosa " nonostante abbia un fisico a posto. L'unica bella per lui è Lesbia:"Lesbia formosa est, quae cum pulcerrima tota est,/tum omnibus una omnis subripuit veneres " (vv. 5-6), Lesbia sì che è bella, lei che è splendidissima integralmente, e da sola ha sottratto a tutte tutte le grazie.-
B. Shaw denuncia l’illusione dell’uomo giovane che esagera la differenza tra una giovane donna e le altre: “Like all young men, you greatly exaggerate the difference between one young woman and another [71] .
hac sine : anastrofe.-turpi : dativo di comunanza retto da eadem. E' una costruzione frequente nella lingua greca dove il dativo sociativo è retto da  oJJ aujtov", idem  appunto.- famulae...fugitant furtimque : triplice allitterazione. Nessuna donna, per quanto sia bella, è di uno splendore integrale per le sue cameriere che ne conoscono gli arcana venustatis , i segreti della bellezza si potrebbe dire utilizzando l'espressione tacitiana imperii arcanum (Historiae  I, 4), il segreto del potere.-cachinnant : la bellezza, che toglie il fiato e il sonno all'innamorato, fa sghignazzare le serve. 

"At lacrimans exclusus amator limina saepe/floribus et sertis operit postisque superbos/unguit amaracino et foribus miser oscula figit " ( De rerum natura, IV, vv. 1177-1179), ma l'innamorato, versando lacrime per essere stato messo alla porta, spesso copre di fiori e di ghirlande la soglia e unge gli stipiti superbi di maggiorana e, disgraziato, imprime baci sui battenti.-lacrimans exclusus : questo è un paraklausivquron.
 il lamento davanti alla porta chiusa.
 I più antichi, che io sappia, si trovano nell'Antologia Palatina . Tra i più noti quello di Callimaco a Conòpio (Zanzaretta) alla quale il poeta, costretto a passare la notte sotto un freddo portico, augura la medesima sofferenza e ricorda che i colori della giovinezza durano poco:"hJ polih; de;-aujtivk& ajnamnhvsei tau'tav se pavnta kovmh " (A. P. V, 23, vv. 5-6), la chioma canuta fra poco ti farà ricordare tutto questo. Tale tovpo" ha una larga presenza nella letteratura latina: dalla commedia all'elegia.
 Si ricorderà come Properzio nell'ultima elegia del terzo libro ricordi a Cinzia i prossimi capelli bianchi con le rughe, quindi le auguri di soffrire le medesime pene che sta infliggendo a lui con il lasciarlo fuori dalla porta (exclusa inque vicem fastus patiare superbos, tenuta fuori a tua volta, possa soffrire la superba alterigia, III, 25, 15) poiché la bellezza è, si potrebbe dire, un'arma che dopo una certa età si rivolge contro chi la impugna. E' l'eterna consolazione del maschio: l'età si abbatte sulla donna come una mannaia. E sull'uomo no?
Rimaniamo ancora sul paraklausivquron. Nel Processo  di Kafka ce n'è uno molto particolare, quasi rovesciato: è infatti un'attesa ansiosa e querula davanti a una porta aperta proprio per colui che attende senza avere il coraggio di entrare. E' la parabola che il cappellano delle carceri  racconta a K. nel Duomo :"Davanti alla legge c'è un guardiano. A lui viene un uomo di campagna e chiede di entrare nella legge. Ma il guardiano dice che ora non gli può concedere di entrare. L'uomo riflette e chiede se almeno potrà entrare più tardi. "Può darsi" risponde il guardiano, "ma per ora no". Siccome la porta che conduce alla legge è aperta come sempre e il custode si fa da parte, l'uomo si china per dare un'occhiata, dalla porta, nell'interno. Quando se ne accorge, il guardiano si mette a ridere:"Se ne hai tanta voglia, prova pure a entrare nonostante la mia proibizione. Bada, però: io sono potente, e sono soltanto l'infimo dei guardiani. Davanti a ogni sala sta un guardiano, uno più potente dell'altro. Già la vista del terzo non riesco a sopportarla nemmeno io". L'uomo di campagna non aspettava tali difficoltà; la legge, pensa, dovrebbe pur essere accessibile a tutti e sempre, ma a guardar bene il guardiano avvolto nel cappotto di pelliccia, il suo lungo naso a punta, la lunga barba tartara, nera e rada, decide di attendere piuttosto finché non abbia ottenuto il permesso di entrare. Il guardiano gli dà uno sgabello e lo fa sedere di fianco alla porta. Là rimane seduto per giorni e anni. Fa numerosi tentativi per passare e stanca il guardiano con le sue richieste. Il guardiano istituisce più volte brevi interrogatori, gli chiede notizie della sua patria e di molte altre cose, ma sono domande prive di interesse come le fanno i gran signori, e alla fine gli ripete sempre che non lo può far entrare. L'uomo, che per il viaggio si è provveduto di molte cose, dà fondo a tutto per quanto prezioso sia, tentando di corrompere il guardiano. Questi accetta ogni cosa, ma osserva:"Lo accetto soltanto perché tu non creda di aver trascurato qualcosa". Durante tutti quegli anni l'uomo osserva il guardiano quasi senza interruzione. Dimentica gli altri guardiani e solo il primo gli sembra l'unico ostacolo all'ingresso nella legge. Egli maledice il caso disgraziato, nei primi anni ad alta voce, poi quando invecchia si limita a brontolare tra sé. Rimbambisce e, siccome studiando per anni il guardiano, conosce ormai anche le pulci nel suo  bavero di pelliccia, implora anche queste di aiutarlo e di far cambiare opinione al guardiano. Infine il lume degli occhi gli si indebolisce ed egli non sa se veramente fa più buio intorno a lui o se soltanto gli occhi lo ingannano. Ma ancora distingue nell'oscurità uno splendore che erompe inestinguibile dalla porta della legge. Ormai non vive più a lungo. Prima di morire, tutte le esperienze di quel tempo si condensano nella sua testa in una domanda che finora non ha rivolto al guardiano. Gli fa un cenno poiché non può più ergere il corpo che si sta irrigidendo. Il guardiano è costretto a piegarsi profondamente verso di lui, poiché la differenza di statura è mutata molto a sfavore dell'uomo di campagna. "Che cosa vuoi sapere ancora?" chiede il guardiano, "sei insaziabile". L'uomo risponde:"Tutti tendono verso la legge, come mai in tutti questi anni nessun altro ha chiesto di entrare?". Il guardiano si rende conto che l'uomo è giunto alla fine e per farsi intendere ancora da quelle orecchie che stanno per diventare insensibili, grida:"Nessun altro poteva entrare qui perché questo ingresso era destinato soltanto a te. Ora vado a chiuderlo" [72] .
"Nell'apologo, la Legge nascosta dietro la porta, la Legge che l'uomo di campagna ricerca e che K. ignora di ricercare, rivela di attendere tutti gli uomini e soprattutto Josef K. Così, nel processo dove finora avevamo visto solo persecuzione e arbitrio, dobbiamo scorgere una specie di invito, che Qualcuno gli aveva rivolto. Il peccato senza nome, il senso di colpa di cui Josef K. e gli altri imputati sono colpevoli, è in realtà un'elezione divina: questo peccato li rende "belli"; mentre tutti gli altri uomini, che non vivono sotto quest'ombra, non esistono agli occhi di Dio...Il sacerdote propone a K. di entrare nell'edificio della Legge, come fa l'uomo di campagna inebetito e quasi cieco...La categoria dell'attesa è il cuore del mondo di Kafka: attesa di Dio, attesa degli uomini" [73] .
 
L'attesa è comunque la categoria di chi ama una persona per un verso o per un altro non disponibile. L'attendere del resto non è necessariamente doloroso.
 Alla fine di Delitto e castigo  Raskòlnikov sente di amare Sònia riamato, che questa è la sua felicità e che nessun ostacolo di spazio né di tempo potrà dividerli:"Erano decisi ad attendere, a pazientare. Restavano loro ancora sette anni di quella vita...la sera di quello stesso giorno, quando le baracche erano già state chiuse, Raskòlnikov, sdraiato sul tavolaccio, pensava a Sònia...pensava a lei...ogni cosa, perfino il suo delitto, perfino la condanna e la deportazione, gli parvero allora, in quel primo impulso, come fatti esteriori, estranei, cose che non erano accadute a lui. Quella sera, tuttavia, non gli era possibile pensare a lungo ad una sola cosa, né concentrarsi in un solo pensiero; non riusciva a ragionare su nessun problema; poteva soltanto sentire...Alla dialettica era subentrata la vita" [74]
 Questa è un'attesa sicura, o quasi, della ricompensa. Un'attesa concordata e senza angoscia. Poi c'è l'attesa con angoscia, l'attesa con il bisogno, urgente e non condiviso, di vedere l'altro.
 Sentiamo Proust che collega l'attesa di chi ama al silenzio di chi non ama:"Qualcuno ha detto che il silenzio è una forza: in tutt'altro senso, è una forza terribile a disposizione di quelli che sono amati, perché accresce l'ansietà di chi aspetta. [75] "
Infine R. Barthes:"Sono innamorato?-Sì, poiché sto aspettando". L'altro, invece, non aspetta mai. Talvolta, ho voglia di giocare a quello che non aspetta; cerco allora di tenermi occupato, di arrivare in ritardo; ma a questo gioco io perdo sempre: qualunque cosa io faccia, mi ritrovo sempre sfaccendato, esatto, o per meglio dire in anticipo. La fatale identità dell'innamorato non è altro che: io sono quello che aspetta ...Fare aspettare : prerogativa costante di qualsiasi potere"  [76] .  
 
Torniamo a Lucrezio. superbos : la superbia è naturalmente della donna, ma la concordanza è, per ipallage con postis=postes poiché l'escluso ha davanti solo gli stipiti in quanto la bella non concede neppure il suo volto sdegnoso.
Le figure retoriche non sono solo fatti meccanici.- Foribus da foris  ("porta" e , come avverbio, "fuori") imparentato etimologicamente con il greco quvra poiché "la radice deriva dall'indoeuropeo *dhor- che ha dato come esito in greco qur-, in latino for-" [77]  e forum, "piazza".-miser : è, al solito, l'innamorato non contraccambiato. 
 "quem si, iam admissum, venientem offenderit aura/una modo, causas abeundi quaerat honestas,/et meditata diu cadat alte sumpta querela,/stultitiaque ibi se damnet, tribuisse quod illi/plus videat quam mortali concedere par est " (vv. 1180-1184), ma se quello, già fatto entrare, colpisse mentre si avvicina una sola zaffata, cercherebbe pretesti onorevoli per allontanarsi, e il lamento a lungo meditato, preso in alto, cadrebbe, e si condannerebbe per la stoltezza, poiché vedrebbe che le ha attribuito più di quanto è giusto accordare a una creatura mortale.-quem : nesso relativo.-si...offenderit : la protasi del periodo ipotetico della possibilità presenta, rispetto all'apodosi, un'anteriorità che non è necessario rendere in italiano.-aura : la "zaffata" anche se viene dai taetri odores  (v. 1171) può essere attribuita alla donna stessa da una disposizione contraria o vendicativa. Per vendicarci della donna che ci fa soffrire è classico pensare che "diventerà vecchia e brutta" e che "puzza".-alte sumpta : le lamentele sull'amore infelice possono essere prese dalla tradizione letteraria che, come abbiamo visto, ne è ricca.-ibi : " è scandito qui con corretio iambica  (cioè con due sillabe brevi, anziché come sillaba breve+sillaba lunga" [78] .-plus...quam mortali : è comunque un errore di dignità mitologica, è infatti simile al crimine compiuto dal Prometeo incatenato  di Eschilo. Anche il titano ha amato troppo i mortali e ha concesso loro più di quanto dovevano avere. L'uomo prima attribuisce alla donna adorata qualità divine amando anche quello che scorre nelle sue viscere. C'è una poesia di uno dei massimi poeti del Novecento, l'ungherese Jòzsef Attila che elogia la materia stessa di cui è fatta la donna:"I circoli del tuo sangue/tremano senza cessazione , come cespugli di rose./Portano l'eterna corrente,/perché sbocci l'amore sulle tue guance,/perché sia benedetto il tuo frutto./Il sensibile terriccio delle tue viscere/è tutto intessuto di mille radichette/che uniscono in brevi nodi/i fili sottili, sbrogliandosi, /perché le cellule accolgano i molti succhi/e le belle propaggini dei tuoi polmoni a foglia/sussurrino il canto della gloria loro!/L'eterna materia percorre felice/le gallerie delle viscere lunghe/e le scorie lasciano una ricca vita/nelle polle bollenti delle reni laboriose!/A onde si alzano in te le valli,/tremano in te le costellazioni,/si muovono i laghi, operano fabbriche,/s'agitano milioni di animali viventi,/insetti, /erbe lunghe,/crudeltà e bontà:/brucia il sole e incupisce la pallescente luce polare/e trascorre nei tuoi contenuti/l'eternità inconscia" [79] . La donna dunque è cosmo e dea. Poi, come il re carnevalesco, si ribalta. Lo spiega Giasone a una giovane ierodula del tempio sull'Acrocorinto in un dialogo di C. Pavese:"Piccola Mèlita, tu sei del tempio. E non sapete che nel tempio-nel vostro- l'uomo sale per essere dio almeno un giorno, almeno un'ora, per giacere con voi come foste la dea? Sempre l'uomo pretende di giacere con lei-poi s'accorge che aveva a che fare con carne mortale, con la povera donna che voi siete e che son tutte. E allora infuria-cerca altrove di essere dio" [80] .
"Nec Veneres nostras hoc fallit; quo magis ipsae/omnia summo opere hos vitae postscaenia celant/quos retinere volunt adstrictosque esse in amore,/nequiquam, quoniam tu animo tamen omnia possis/protrahere in lucem atque omnis inquirere risus " (vv. 1185-1189), né alle nostre Veneri sfugge questo; e tanto di più esse con somma cura tengono nascosti i retroscena della vita a quelli che vogliono trattenere legati nell'amore, invano poiché tu col pensiero puoi comunque trarre tutti i trucchi alla luce e scoprire tutti gli aspetti ridicoli.-fallit : con l'accusativo della persona cui sfugge (Veneres nostras , detto ironicamente).-celant : etimologicamente imparentato con clam = di nascosto, regge  il doppio accusativo.-vitae postscaenia : quanto c'è dietro l' "enorme pupazzata" [81]  della vita.-adstrictos : l'amore secondo Lucrezio inceppa gli uomini, come la superstizione, e denunciarne l'irrazionalità è come abbattere il mostro della religio. Le sacerdotesse dell'amore sono le donne :"la donna ama credere che l'amore possa tutto ,-ed è questa la sua caratteristica superstizione " [82] .-omnis (=omnes) risus : è la derisione del risentimento della persona frustrata dalle donne e quindi dalla vita.
"et, si bello animost et non odiosa, vicissim/praetermittere <et> humanis concedere rebus " (vv. 1190-1191), e, se è di spirito bello e non disgustosa, a tua volta puoi lasciar correre e scusare le miserie umane.-si bello animo est et non odiosa :"Nota la variatio : prima il complemento di qualità (bello animo ; ricorda che bellus  è il diminutivo di bonus ), poi il predicato al nominativo (odiosa ; lo stesso aggettivo al v. 1165)" [83] .-praetermittere : quest'appello alla comprensione della donna buona dopo che sono state dette peste e corna sull'astuzia malvagia delle femmine umane, è tipica degli autori misogini. In fondo bisogna pure accoppiarsi e riprodursi per non invecchiare nella solitudine.
 
Alcuni classici dell'antifemminismo.
 Esiodo, Semonide, Euripide, Leopardi, Schopenhauer, Weininger.
 
 Esiodo dal quale parte la considerazione malevola delle donne, come abbiamo visto, riconosce che l'uomo ha bisogno di questa creatura complementare e che, se non sbaglia la scelta della compagna, può evitare i dolori infiniti. Nella Teogonia  dopo avere definito la donna "bel malanno" (v. 585) e "inganno scosceso" (v. 589) afferma che comunque chi evita le nozze e le opere tremende delle donne ("mevrmera e [rga gunaikw'n, v. 603) arriva alla funesta vecchiaia con la carenza di uno che si prenda cura di lui, e, quando muore, la sua ricchezza se la dividono i lontani parenti. Del resto chi sceglie una buona moglie, saggia e premurosa, compensa il male con il bene (v. 609), chi invece si imbatte in una donna di stirpe funesta, vive con un'angoscia costante nel petto, nell'animo e nel cuore e il suo male è senza rimedio (vv. 610-612).
Nelle poema agricolo l'autore torna sull'argomento e aggiunge che l'uomo non può fare migliore acquisto di una moglie buona, come non c'è nulla di più raccapricciante di una sposa cattiva (Opere , vv. 702-703).
Su questa linea si trova Semonide di Amorgo autore (nei primi anni del VI secolo) di un Giambo sulle donne (fr. 7 D), una tra le più famose espressioni dell'antifemminismo greco. Questo autore fa derivare le femmine umane di vario carattere da altrettante bestie: il primo tipo discende dal porco irsuto: sta non lavata in vesti sporche a ingrassare in mezzo al luridume (vv. 5-6).
Il secondo deriva dalla volpe [84]  maliziosa, esperta di tutto, non le sfugge niente, sovverte le categorie morali ed è varia d'umore. La terza femmina proviene dalla cagna che latra in continuazione e non basta lapidarla per farla tacere. La quarta, figlia della terra, è pigra e pesante. La quinta deriva dal mare ed è mutevole e capricciosa poiché il pelago è cangiante: a volte è calma, come l'acqua marina quando d'estate  è una grande gioia per i marinai, a volte invece si infuria ed è agitata da onde di cupo fragore. Insomma una bufera di femmina.
 La sesta deriva dall'asina,  scostumata, sessualmente vorace; la settima dalla donnola, sciagurata, disgustosa e ladra; l'ottava proviene dalla cavalla, morbida e adorna di una folta criniera. Non sopporta i lavori domestici e si fa amico l'uomo solo per necessità. Questa è  la donna narcisista e parassitaria che passa il tempo a pettinarsi, truccarsi, profumarsi. Una creatura del genere è uno spettacolo bello a vedersi per gli altri, ma per chi se la tiene in casa è un male, a meno che sia un despota o uno scettrato che di tali vezzi si gloria nell'animo. Tale è dunque la donna adatta ai tiranni che nella cultura greco-latina sono paradigmi negativi [85] .
Costoro del resto hanno fama di violentare le donne come abbiamo visto nella descrizione che Otane fa del mouvnarco"  nel dibattito sulla migliore costituzione ( Erodoto, III, 79-84). Quella che deriva dalla scimmia è brutta e ripugnante.
Ultimo tipo, e unico raccomandabile, è quello che deriva dall'ape ( "ejk melivssh" ", v. 83). Questa ha tutte le caratteristiche della buona sposa e chi se la prende è fortunato. A lei sola infatti non siede accanto il biasimo (mw'mo"), grazie a lei fiorisce la prosperità, invecchia cara con lo sposo che l'ama [86]  dopo aver generato una bella prole, diviene distinta tra tutte le donne, la circonda grazia divina (qeivh...cavri", v. 89) e non si compiace di star seduta tra le donne quando parlano di sesso. Leopardi traduce questi versi (90-91) così :" né con l'altre è solita/goder di novellari osceni e fetidi".
Del resto A Silvia  la natura negò le conversazioni gentili e delicate con altre ragazze :"né teco le compagne ai dì festivi/ragionavan d'amore" (vv. 47-48).
 Dunque una possibilità di non essere cattiva per la donna c'è secondo Esiodo, Semonide e Lucrezio. Molto più radicale nella negatività e nella certezza di non poter trovare una buona moglie è l'Ippolito  di Euripide il quale vorrebbe che i figli si potessero generare in altro modo che passando attraverso le donne: "O Zeus perché ponesti nella luce del sole le donne, un male ingannatore per gli uomini? Se infatti volevi seminare la stirpe umana, non era necessario ottenere questo dalle donne , ma bastava che i mortali mettendo in cambio nei tuoi templi oro e ferro o un peso di bronzo, comprassero discendenza di figli, ciascuno del valore del dono offerto, e vivessero in case libere, senza le femmine. Ora invece quando dapprima stiamo per portare in casa quel malanno, sperperiamo la prosperità della casa" (vv. 616-626).
Tra i classici dell'antifemminismo assoluto possiamo aggiungere qualche parola di Schopenhauer :" Le donne sono adatte a curarci e a educarci nell'infanzia, appunto perché esse stesse sono puerili, sciocche e miopi, in una parola tutto il tempo della loro vita rimangono grandi bambini: esse occupano un gradino intermedio fra il bambino e l'uomo, che è il vero essere umano...le donne rimangono bambini per tutta la vita, vedono sempre soltanto ciò che è vicino, rimangono attaccate al presente, scambiano l'apparenza delle cose con la loro sostanza, e preferiscono inezie alle questioni più importanti...le donne, in quanto sesso più debole, sono costrette dalla natura a far ricorso non già alla forza ma all'astuzia: di qui deriva la loro istintiva scaltrezza e la loro indistruttibile tendenza alla menzogna...per la donna una sola cosa è decisiva, vale a dire a quale uomo essa sia piaciuta...Il sesso femminile, di statura bassa, di spalle strette, di fianchi larghi e di gambe corte, poteva essere chiamato il bel sesso soltanto dall'intelletto maschile obnubilato dall'istinto sessuale: in quell'istinto cioè risiede tutta la bellezza femminile. Con molta più ragione, si potrebbe chiamare il sesso non estetico ...Nel nostro continente monogamico, sposare significa dividere a metà i propri diritti e raddoppiare i doveri...Nessun continente è così sessualmente corrotto come l'Europa a causa del matrimonio monogamico contro natura" [87] .
In questa stessa linea il Leopardi di Aspasia  , frustrato da Fanny Targioni-Tozzetti sui sentimenti della quale precedentemente si era illuso al punto che gli sembrava di errare "sott'altra luce che l'usata" [88] . Dopo la morte del poeta, Ranieri disse a Fanny che quella donna era lei ma ella protestò dichiarando di non aver mai dato "la menoma lusinga a quel pover uomo" e anzi precisò, ogni volta che il Leopardi accennava a cose d'amore, "io m'inquietavo, e non volevo, né anco credevo vere certe cose, come non le credo ancora, ed il bene che io gli volevo glielo voglio ancora tal quale, abbenché ei più non esista" [89] . Vediamo dunque la vendetta dell'innamorato deluso. Rispetto al solito: diventerai vecchia e brutta, qui la variante è: sei scema come tutte, quasi tutte le donne. Riporto alcuni versi di Aspasia :"Raggio divino al mio pensiero apparve,/donna, la tua beltà [90] .... Vagheggia/il piagato [91]  mortal quindi la figlia/della sua mente, l'amorosa idea/che gran parte d'Olimpo in se racchiude, /tutta al volto ai costumi alla favella/pari alla donna che il rapito amante/vagheggiare ed amar confuso estima./or questa egli non già, ma quella, ancora/nei corporali amplessi, inchina ed ama./ Alfin l'errore e gli scambiati oggetti/conoscendo, s'adira; e spesso incolpa/la donna a torto. A quella eccelsa imago/sorge di rado il femminile ingegno;/e ciò che inspira ai generosi amanti/la sua stessa beltà, donna non pensa,/né comprender potria. Non cape in quelle/anguste fronti ugual concetto. E male/al vivo sfolgorar di quegli sguardi/spera l'uomo ingannato, e mal richiede/sensi profondi, sconoscuti, e molto/più che virili, in chi dell'uomo al tutto/da natura è minor. Che se più molli/e più tenui le membra, essa la mente/men capace e men forte anco riceve" (vv. 33 e ss.). Quel "di rado" invero lascia qualche speranza.
Un altro classico dell'antifemminismo è Sesso e carattere  di O. Weininger, morto suicida nel 1903, a 23 anni. Ne abbiamo già riferito qualche cosa. Egli nel suo libro sostiene che la femmina umana ha sempre bisogno della guida del maschio:" la donna s'aspetta sempre dall'uomo la delucidazione delle proprie rappresentazioni oscure...la donna riceve la propria coscienza dall'uomo: la funzione sessuale per l'uomo-tipo di fronte alla donna-tipo è appunto quella di rendere cosciente l'inconscio della donna che è per lui il completamento ideale" [92] . Più avanti l'autore sostiene che "la donna non possiede alcuna logica" (p. 163) Ella  "non possiede dunque il principium identitatis  né il principium contradictionis  o exclusi tertii ". Allora "un essere che non comprende come A e non-A s'escludano a vicenda, non trova nessun impedimento alla menzogna, anzi per lui non esiste un concetto di menzogna, dato che il suo contrario, la verità, gli rimane completamente ignota come termine di confronto" (p. 164). La donna si realizza nell'attività sessuale e dunque ella "non pretende dall'uomo bellezza ma pieno desiderio sessuale. Su di essa non fa mai impressione l'elemento apollineo nell'uomo ( e perciò neppure quello dionisiaco), ma quello faunesco nella sua massima estensione; mai l'uomo ma sempre il maschio; e in primo luogo-non lo si può tacere in un libro sulla donna-la sua sessualità nel senso più stretto, il phallus " (p. 258). La paura che l'uomo ha della donna sarebbe orrore del vuoto:"Il senso della donna è dunque quello di essere non-senso. Essa rappresenta il nulla, il polo contrario alla divinità, l'altra possibilità nell'essere umano..E così si spiega anche quella profonda paura dell'uomo: la paura della donna, cioè la paura di fronte alla mancanza di senso: la paura dinanzi all'abisso allettante del nulla...la donna non è nulla, è un vaso cavo imbellettato e dipinto per un pò di tempo" (p. 299)...Soltanto col diventare sessuale dell'uomo la donna riceve esistenza e importanza: la sua esistenza dipende dal phallus  e questo è perciò il suo supremo signore e dominatore assoluto. L'uomo divenuto sesso è il Fatum  della donna; don Giovanni è l'unico uomo dinanzi a cui tremi fin nel midollo delle ossa" (p. 300).
Non è nuovo del resto quanto afferma Weininger: nelle Nuvole di Aristofane il discorso ingiusto (Lovgo" a [diko" ) sostiene che Tetide lasciò Peleo perché non era impetuoso (uJbristhv" , v. 1067)  e non era piacevole passare la notte con lui, mentre la donna gode a essere sbattuta. Si noti il capovolgimento dell' u{bri" , la violenza, che applicata alla libidine della donna diviene un valore. Altrettanto in Machiavelli:"Io iudico bene questo, che sia meglio essere impetuoso che respettivo, perché la fortuna è donna; et è necessario, volendola tenere sotto, batterla et urtarla" (Il Principe, XXV, 9).
Echi del misogino austriaco si trovano nel rimuginare di Zeno mentre osserva e ascolta il rivale Guido provando la tentazione di ucciderlo, una voglia repressa perché non ne scapiti il sonno:"Faceva parte della sua teoria (o di quella del Weininger) che la donna non può essere geniale perché non sa ricordare" [93] .
Nell'ultimo capitolo del libro (La donna e l'umanità ) troviamo uno spiraglio, l'accenno a un remedium  rispetto all'impossibilità di amare. Il rimedio giusto è sempre la moralizzazione. "Nel coito sta il massimo abbassamento, nell'amore la massima elevazione della donna. Che la donna pretenda il coito e non l'amore significa che vuol essere avvilita, non innalzata. La maggior nemica dell'emancipazione della donna è la donna stessa (p. 334)...come deve l'uomo trattare la donna? Come vuole essere trattata essa stessa, o come esige l'idea morale? Se la deve trattare come essa vuole, deve accoppiarsi a lei, ché essa vuol venir posseduta; la deve picchiare, ché vuol esser percossa; ipnotizzare, ché vuol venire ipnotizzata; deve dimostrarle con la galanteria quanto poco ne stimi il vero valore, ché essa vuol sentirsi complimentare, ma non venir stimata per ciò che è. Se invece vuole comportarsi di fronte alla donna come esige l'idea morale, dovrà cercare di vedere in lei la creatura umana che è, cercar di stimarla come tale (p. 335)...l'uomo non è in grado di risolvere il problema etico per la propria persona se continua a negare l'idea dell'umanità nella donna, nel momento che ne usa come d'un mezzo di godimento" (p. 339). Una resipiscenza del genere viene in mente all'uxoricida della Sonata a Kreutzer:" Guardai i miei figlioli, il suo volto livido e disfatto, e per la prima volta dimenticai me stesso, i miei diritti, l'orgoglio, e per la prima volta vidi in lei un essere umano"(p. 382). Sembra l' a [rti manqavnw , "ora comprendo", di Admeto nell'Alcesti di Euripide (v. 942).

I Remedia amoris di Ovidio.
I Remedia amoris  come, ho già ricordato, appartengono all'ultimo periodo della prima parte della produzione ovidiana, quella elegiaco- amorosa che  arriva al 2 d. C. Ebbene in questo poemetto di 814 versi (412 distici elegiaci) il poeta non tocca l'argomento della moralizzazione necessaria al benessere mentale ma insiste nel consigliare  finzione e simulazione.
 L'amore è ancora una volta visto come una partita a scacchi [94] .
 Invece, non del tutto a torto, Pavese sostiene:"L'amore è come la grazia di Dio-l'astuzia non serve" [95] .
 L'Ars amatoria , l' abbiamo visto, è un poema di precettistica erotica nel quale il praeceptor amoris  (I, 17), ossia l'autore stesso, "insegna a ricondurre tutti i momenti di una relazione d'amore alla strategia del maggior vantaggio possibile; perfino la sofferenza non viene esclusa purché sia ridotta, essa pure, a strumento dell'utile : per guadagnare il favore della puella  sarà bene che il corteggiatore appaia  sofferente: est tibi agendus amans imitandaque vulnera verbis  ( Ars amatoria  1, 609)" [96] , devi fare la parte dell'innamorato e con le parole simulare le ferite.
"Tocchiamo così un punto cruciale della conversione che ha subìto l'elegia: dall'ideologia della sincerità a quella della finzione. L'elegia aveva fatto dell'autenticità la forma stessa del suo discorso; la didascalica ovidiana diffida della sincerità e delle passioni incontrollabili, e raccomanda invece l'arte di fingere. Come un attore, l'amante deve recitare il suo ruolo: est tibi agendus amans ...Se la didascalica ovidiana costituisce la realizzazione di questo semplice programma (alla fine risulterà che è possibile un amore senza frustrazioni e patimenti) possiamo aggiungere che Ovidio non si accontenta di una dimostrazione 'affermativa' (" vi insegno come si ama") ma accetta anche la sfida di una prova in negativo ("se il vostro amore è sbagliato, vi insegno a liberarvene")...Ciò che rispetto all'Ars  distingue i Remedia  sta nelle ragioni specifiche di un'opera che si propone come insegnamento di una terapia: si tratta di servirsi ora della riconosciuta parzialità del mondo elegiaco per indicare l'esistenza e i vantaggi di altri mondi verso cui uscire, in cui cercare rifugio e guarigione...l'argomentazione didascalica dei Remedia  intende aggredire l'elegia in uno dei suoi fondamentali presupposti ideologici: il rifiuto della vita attiva, la scelta deliberata dell'otium desidiosum   [97] . Se l'otium , la pigra mollezza, è alimento della malattia d'amore, la guarigione comincia già dall'impegnarsi in una vita attiva: Remedia amoris  143 s. qui finem quaeris amoris,/ (cedit amor rebus) res age, tutu, eris " [98]   . Di questi versi abbiamo già dato la traduzione.
Mi sembrano cruciale anche quest' altro distico sull'otium da evitare se si vuole guarire dall'amore:"otia si tollas, periere Cupidinis arcus,/contemptaeque iacent et sine luce faces" (139-140), se togli di mezzo il tempo libero, si rompono gli archi di Cupido, e le sue fiaccole rimangono a terra disprezzate e senza luce.
L'amore ha bisogno di tempo libero: nel Duvskolo" di Menandro  Sostrato, l'innamorato ricco, domanda al fratello della ragazza, Gorgia  è:"ma per gli dèi, non sei mai stato innamorato di una, tu ragazzo?"(v. 341). E  il futuro cognato, che ricco non è, risponde: "Non me lo posso permettere, caro mio"(v.342) Sostrato non ne capisce la ragione e domanda:"chi te lo impedisce?" pensando magari al vecchio misantropo, ma Gorgia fa vedere un panorama negativo più ampio:"il calcolo dei miei guai/che non mi dà un momento di respiro"(343-344).
L'uxoricida della già citata Sonata a Kreutzer mette l'ozio tra le esche ingannevoli della sua infausta passione amorosa:"Ma in realtà quel mio amore era prodotto, da una parte, dall'affaccendata madre e dalla sarta, dall'altra-dalla grande abbondanza di cibi che ingoiavo, e in più dalla vita oziosa che menavo" (p. 327). Altrettanto pensa la vecchia Bovary dei grilli della nuora:"Ci vorrebbe un'occupazione, un bel lavoro manuale! Se come tante altre fosse costretta a guadagnarsi il pane, non avrebbe mica tanti fumi per la testa. Sai da dove vengono? Da quel mucchio di idee balorde, dal troppo ozio in cui vive" [99] .
Le attività raccomandate da Ovidio sono innanzitutto quelle "del foro e della guerra, il cui rifiuto voleva dire per il poeta elegiaco rinuncia alla carriera e alla rispettabilità" (p. 40). In una nota [100]  Conte menziona Amores  I, 15, 1 ss. segnalando che in questa elegia di Ovidio "e in genere nei luoghi elegiaci pertinenti, le attività rifiutate si connotano negativamente (praemia militiae pulverulenta ; verbosas leges  e ingrato foro  ai vv. 4 ss.) ed è invece rivendicata la positività dell'ignavia  e dell'inertia  (la poesia elegiaca è detta ingenii inertis opus ); al contrario, nei Remedia , il poeta deve impegnarsi a sottolineare la positività dei mondi che il suo allievo deve scoprire (152 ss.), ed è adesso la scelta dell'otium  a subire la critica (quella stessa che poteva venire dai moralisti benpensanti, dai senes severiores )".
Altra operosità raccomandata per sfuggire al tormento amoroso è quella nell'agricoltura, " l'attività economica tradizionale del signore romano, ma che è raccomandata come modello di vita in cui i tratti dell'utile quasi cedono di fronte alle preponderanti attrattive estetiche che può offrire una tenuta di campagna. E naturalmente, fra i modi di combattere l'otium , non può mancare la passione per la caccia (e in subordine, per la pesca): l'inconciliabilità fra Diana e Venere è una di quelle opposizioni fondamentali che sono addirittura registrate nel codice antropologico" [101] .
Vediamo alcuni aspetti di questo poemetto, il proemio, quindi scegliamo alcuni "versi chiave"
"L'opera si presenta come un trattato di medicina, il cui contenuto si sviluppa in una serie di precetti (i precedenti si collocano nel mondo greco: nel II sec. a. C. Nicandro di Colofone aveva raccolto in esametri ricette e antidoti contro i veleni di origine animale e vegetale). Trattazione scientifica dunque, per un argomento considerato di pertinenza scientifica" [102] . Il metodo e il lessico della scienza medica era stato usato, molto prima, nella letteratura greca da Tucidide il quale pensa di potere fare previsioni o "proiezioni", in avanti e pure all'indietro, avvalendosi dell'analisi dei fatti umani, dei documenti, insomma  di tutti i segni concreti esistenti (tekmhvria): un modo di procedere paragonabile a quello della contemporanea medicina  ippocratica la quale partiva dall'osservazione dei sintomi e dell'analogia di casi simili per giungere alla diagnosi e alla prognosi.
La vicinanza  della letteratura alla scienza del resto si ripeterà più volte nella cultura europea: un caso recente è quello verificatosi nella temperie positivistica del secondo Ottocento, con il Naturalismo e il Verismo: Verga nella Prefazione a L'amante di Gramigna  scrive:"Caro Farina, eccoti non un racconto ma l'abbozzo di un racconto. Esso almeno avrà il merito di essere brevissimo, e di essere storico-un documento umano, come dicono oggi [103] ...il semplice fatto umano farà pensare sempre; avrà l'efficacia dell'essere stato, delle lagrime vere, delle febbri e delle sensazioni che sono passate per la carne".
Nei primi distici troviamo un dialogo tra il poeta e Cupido che apre il poemetto come se avesse ricevuto una dichiarazione di guerra, un conflitto rovesciato rispetto alla topica, non solo elegiaca, che abbiamo indicato finora: qui l'iniziativa bellica verrebbe sottratta dall'uomo al dio Amore.
"Legerat huius Amor titulum nomenque libelli:/"Bella mihi, video, bella parantur" ait".(vv. 1-2) Amore aveva letto il titolo di questo libretto e il suo nome:"guerra, lo vedo- affermò- la guerra si prepara contro di me. Il dialogo iniziale con Cupìdo si trova anche nella prima elegia dei giovanili Amores dove il dio aveva tolto un piede a ogni secondo verso, e aveva dardeggiato il poeta con le sue frecce sicure facendolo bruciare, sottoponendolo al suo impero, e costringendolo in conclusione a passare dall'esametro epico-eroico al distico dell'elegia amorosa. Dunque dall'intenzione di celebrare le guerre in esametri Ovidio era passato alla "maniera" di Gallo, Tibullo e Properzio accentuando la componente callimachea, cioè ironica e letteraria. Come per il poeta di Cirene e per gli altri alessandrini , "cultura è per lui quella vasta forma del ricordo che non solo sa mettere spiritosamente in contatto cose fra loro distanti e divertire con sorprendenti trovate l'ascoltatore, ma che abbraccia anche, con largo sguardo, le varie parvenze della vita" [104] . Lo stesso scambio di battute con il dio si trova nel proemio degli Aitia dove  Apollo parla di poetica con Callimaco e sostiene il poeta contro i suoi detrattori. Pure l'inizio del IV libro dei Fasti presenta un abbozzo di dialogo, nella fattispecie con Venere. -libelli: anche Catullo chiama libellus la sua raccolta di poesie :"Cui dono lepidum novum libellum? (1, 1), a chi dono il grazioso nuovo libretto? . Così pure Properzio:"Fortunata meo si qua es celebrata libello! (III, 2, 17), fortunata colei che è resa famosa dal mio libretto! Si tratta comunque di poesia erotica.-bella…bella: l'epanalessi è resa solenne dall'echeggiamento di quella  della Sibilla cumana nel VI canto dell'Eneide:"Bella, horrida bella/et Thybrim multo spumantem sanguine cerno" (vv. 86-87), guerre, guerre raccapriccianti vedo e il Tevere spumeggiante di molto sangue. Sentiamo la risposta di Ovidio al rimprovero del dio:"Parce tuum vatem sceleris damnare, Cupido,/tradita qui toties te duce signa tuli" (Remedia Amoris, vv. 2-3), risparmia al tuo vate l'accusa di empietà, Cupido, a me che tante volte sotto il tuo comando ho portato le insegne affidate. "Ovidio sceglie lo schema retorico tipico della suasoria, quell'esercitazione declamatoria scolastica che le fonti ci dicono particolarmente apprezzata dal poeta, e che avrà la sua maggiore diffusione in età imperiale. La suasoria è in sostanza un'orazione che viene rivolta a un personaggio famoso della storia o del mito nel momento in cui deve prendere una decisione importante, per spingerlo in una direzione piuttosto che in un'altra. Si struttura in tre momenti: occorre anzitutto guadagnarsi la fiducia dell'interlocutore (conciliare), fare poi leva sui suoi sentimenti (permovere), dare infine il proprio insegnamento (docere)…Nei versi iniziali della sua apostrofe alla divinità, Ovidio concretizza dunque il principio del conciliare: rassicura il dio circa la propria fedeltà che è rimasta immutata negli anni, e gli ricorda di avere speso tutta la vita al servizio della sua militia" [105] .-tuum vatem: Ovidio si sente il profeta del dio  cui, fin dall'elegia proemiale degli Amores, il poeta ha lasciato un dominio assoluto sulla propria persona:"uror, et in vacuo pectore regnat Amor" (I, 1, 26) brucio e nel petto regna esclusivo Amore. Così fa pure Dante quando dedica se stesso alle Muse all'inizio del Purgatorio:"Ma qui la morta poesì resurga,/o sante Muse, poi che vostro sono" (I, 7-8).
 Segue un exemplum tratto dal V canto dell'Iliade  (vv. 330 sgg. ) dove Afrodite viene ferita da Diomede:" Non ego Tydides, a quo tua saucia mater/in liquidum rediit aethera Martis equis" (Remedia , vv. 5-6), io non sono il Tidide ferita dal quale tua madre tornò nel limpido etere con i cavalli di Marte.-saucia: sintatticamente equivale a sauciata ed è l'aggettivo canonico per le sofferenze erotiche causate dalle ferite d'amore: l'abbiamo già trovato in Ennio (Medea exul, 9) che traduce ejkplagei's&  di Euripide (Medea, 8), in Catullo (64, 250), in Lucrezio (IV, 1048) e nell'incipit del IV canto dell'Eneide. Ovidio lo utilizzerà ancora in questo stesso poemetto, più avanti (436), concordandolo con turba e rivolgendosi in apostrofe alla folla ferita degli innamorati infelici.  Nell'utilizzare la tradizione il poeta deve aggiungere il proprio genio: qui l'originalità sta nel fatto che Ovidio si avvale di Omero inserendo una ferita non metaforica in un contesto di piaghe dell'anima.
 Il poemetto prosegue con la rivendicazione di fedeltà dell'autore che afferma di non essersi mai sottratto all'amore:"Saepe tepent alii iuvenes; ego semper amavi,/et si, quid faciam nunc quoque, quaeris, amo" (7-8), spesso sono tiepidi gli altri giovani; io sempre ho amato, e, se chiedi cosa faccio anche ora, amo.-iuvenes; ego: l'accostamento chiastico dei due soggetti mette in rilievo l'antitesi tra i più e il genio erotico, non solo letterario del poeta che è milite ed eroe dell'esercito di Eros. " amo usato assolutamente in chiusura di pentametro è anzi un tratto tipico della lingua poetica elegiaca: vedi per esempio Catullo, c. 92, v. 4; Properzio, Elegie II, 8, 12; Ovidio Ars amandi 3, 598 e in particolare Heroides, 5, 132: unde hoc comperirem tam bene, quaeris, amo" [106] , chiedi dove ho imparato questo così bene? amo. Da quest'ultima citazione vediamo che in amore non si dà apprendimento senza esperienza sul campo e senza una partecipazione emotiva almeno iniziale. Una considerazione che si può ricavare anche dal successivo distico dei Remedia:"Quin etiam docui, qua posses arte parari,/et, quod nunc ratio est, impetus ante fuit" (vv. 9-10), anzi ho perfino insegnato con quale arte ti si possa conquistare, e quella che è ora una teoria, prima fu slancio.-docui: Ovidio ribadisce la sua funzione di professore dell'amore, una specie di Diotima di Roma .-ratio…impetus: l'elaborazione teorica è preceduta dall'intuizione, lo qumov" , abbiamo visto nella Medea di Euripide (v. 1079), prevale sui bouleuvmata,  e i ragionamenti non sono altro che sentimenti travestiti. Ovidio insomma non ha tradito passando dall'Ars ai Remedia: l'amore va cercato quando dà piacere, fuggito quando infligge dolore.
"Nec te, blande puer, nec nostras prodimus artem,/nec nova praeteritum Musa retexit opus./Si quis amat quod amare iuvat, feliciter ardens/gaudeat et vento naviget ille suo; at si quis male fert indignae regna puellae,/ne pereat, nostrae sentiat artis opem" (vv. 11-16), non tradisco te, grazioso fanciullo, né la nostra arte, né una Musa nuova ha disfatto la tela precedente. Se uno ama ciò che dà piacere amare, goda ardendo con successo e navighi con il vento favorevole; ma se uno sopporta male la tirannide di una ragazza indegna, per non morire provi l'aiuto della mia arte.-blande: l'aggettivo qualifica tutta l'atmosfera che circonda Eros: più avanti esso viene attribuito allo stesso genere elegiaco (v. 379) e all'amante quando, ancora in buoni rapporti, scriveva (v. 717).-prodimus: Ovidio non ha cambiato campo poiché quello che ora consiglia di evitare non è amore ma distruzione.-retexit: da retexo, nel senso di "disfo la tela" con allusione a Penelope che ingannava i proci. "Con il suo inganno Penelope arresta l'inesorabilità del tempo: oggi è uguale a ieri, a giudicare dal lavoro del telaio. Penelope inganna i pretendenti prolungando una situazione, quella del giorno in cui partì Ulisse, annullando il tempo nella misura in cui disfà quello che ha tessuto. L'inganno di Penelope viene concluso da Ulisse al suo ritorno che prende i pretendenti in una "rete dai mille fori" (Od. XXII 386)" [107] . Ovidio negando questo verbo vuol dire che non inganna.-feliciter: Nella poesia erotica felix , contrapposto a miser, è colui che ha successo in amore e quindi può gioire del suo ardore amoroso e lasciarsi andare spiegando le vele al vento favorevole. Abbiamo già trovato più volte la metafora della navigazione per indicare l'amore e anche altri aspetti della vita. Abbiamo anche visto che felix è imparentato, anche etimologicamente, con femina né potrebbe essere altrimenti.-indignae regna puellae: bisogna liberarsi dal dispotismo dell'amore quando la tiranna non è meritevole, cioè quando la puella, invece di accrescere la gioia e potenziare la vita, è portatrice di morte. Infatti l'aiuto di Ovidio serve a salvarsi la vita (pereat) da un dispotismo che può mietere vittime. L'accostamento tra l'amore indegno e il perire si trova già nella X Bucolica:"Indigno cum Gallus amore peribat" (v. 10). In quel caso la donna indegna era una meretrice di nome Citeride che  piantò il padre dell'elegia latina per seguire Antonio nelle Gallie.
 Vittorio Alfieri nella Vita racconta il suo dolore disperato alla scoperta dell'indegnità dell'amante perché già prima di amare lui ella avea amato un palafreniere che stava a casa del marito. "Il mio dolore e furore, le diverse mie risoluzioni, e tutte false e tutte funeste e tutte vanissime ch'io andai quella sera facendo e disfacendo, e bestemmiando, e gemendo, e ruggendo, ed in mezzo a tant'ira e dolore amando pur sempre perdutamente un così indegno oggetto; non si possono tutti questi affetti ritrarre con le parole: ed ancora vent'anni dopo mi sento ribollire il sangue ripensandovi".
Avrebbe dovuto leggere il nostro poemetto nel quale seguono due exempla di suicidio:"Cur aliquis laqueo collum nodatus amator/a trabe sublimi triste pependit onus?/ Cur aliquis rigido fodit sua pectora ferro?/Invidiam caedis pacis amator habes" (vv. 17-20), perché un innamorato annodatosi un laccio al collo è rimasto sospeso a un'altissima trave, funesto fardello? Perché un altro si è trafitto il petto con l'inflessibile ferro? Tu amante della pace raccogli l'odiosità della strage.- laqueo collum (acc. di relazione) nodatus: lett.= annodato nel collo con un laccio. Il nodum del laccio che pende da un'alta trabes si trova nel suicidio della regina Amata alla fine dell'Eneide: "et nodum informis leti trabe nectit ab alta" (XII, 603), e attacca a un'alta trave il nodo di una morte deforme. Conte suggerisce questo modello epico che a sua volta può averne uno tragico nel  suicidio "deforme" di Giocasta nell'Edipo re:"  poi vedemmo la donna impiccata/ e avviluppata in lacci ritorti" (vv. 1263-1264). Altro suicidio sconcio, in quanto conseguente a una violenza pedofila  è quello della bambina Matriosa^ che ne I demoni di Dostoevskij si impicca in "un minuscolo ripostiglio, una specie di pollaio" dopo che il suo viso aveva espresso "una disperazione che era impossibile di vedere sul viso di una bambina" (p. 448 ). Questa è una delle più terribili tra quelle sofferenze di bambini delle quali Ivan Karamazov dice:" E se le sofferenze dei bambini hanno servito a completare la somma delle sofferenze necessarie per acquistar la verità, io dichiaro fin d'ora che tutta la verità presa insieme non vale quel prezzo" [108] .-ferro: richiama il suicidio di Didone (Eneide IV, 663-666) del quale si è già detto.-caedis: genitivo oggettivo.
"Qui, nisi desierit, misero periturus amore est,/desinat, et nulli funeris auctor eris" (21-22), chi, se non avrà smesso è destinato a morire di amore infelice, smetta e per nessuno tu sarai causa di morte.-desierit…desinat: poliptoto.-funeris auctor: Ovidio insiste sul concetto che Amore non deve essere causa di morte ma di vita.
"Et puer es, nec te quicquam nisi ludere oportet:/lude; decent annos mollia regna tuos" (vv. 23-24), sei un fanciullo e a te nulla conviene se non giocare: gioca; ai tuoi anni si addicono governi dolci.-ludere…lude: altro poliptoto. In effetti a Eros non può mancare questa componente. Il verbo ludo , come il sostantivo ludus derivano dalla radice indoeuropea *loid- che ha dato come esito in latino lud- e in greco loid(or)- da cui  loidorevw , "insulto". Il significato del verbo greco non è estraneo al latino ludibrium, derisione, e all'italiano ludibrio. Si vede dunque che la radice ha una componente negativa che può sempre affiorare. Ma finché prevale la positiva, non tanto a lungo di solito, conviene valorizzarla e godersela:"Garzoncello scherzoso,/cotesta età fiorita/ è come un giorno d'allegrezza pieno…" [109] .
L'amore dunque viene collegato alla pestis e alla rovina ma anche al gioco. Afrodite dea dell'amore è anche dea del gioco.        
Quando è passato il momento buono del ludus e del iocus allora è tempo di rimpianti, come si sa, e come si legge in Catullo:"Ibi illa multa tum iocosa fiebant,/quae tu volebas nec puella nolebat. Fulsere vere candidi tibi soles " (8, 6-8), lì allora accadevano quei molti meravigliosi giochi/che tu volevi né la ragazza rifiutava./Davvero hanno brillato radiosi i soli per te.
"Nam poteras uti nudis ad bella sagittis,/sed tua mortifero sanguine tela carent" (vv. 25-26), infatti avresti potuto servirti per la guerre di frecce vere, ma le tue armi non hanno il sangue della morte. Questi versi presenti in quasi tutti i codici sono stati espunti da diversi editori. Li lascio perché ribadiscono l'idea di fondo che Amore è collegato alla vita, alla salute, alla gioia non alle ferite né morte, checché ne dicano alcuni, pure autorevoli. Vero è che in certi casi solo morendo si capisce quanto forte sia il collegamento tra l'amore e la vita e quanto sia doloroso avere perduto l'occasione di amare le altre creature viventi nel breve tempo a noi concesso. Questo è l'insegnamento che ci dà Tolstoj attraverso i pensieri del principe Andrej ferito a morte a Borodino:"La commiserazione, l'amore per i fratelli, per coloro che ci amano; l'amore per coloro che ci odiano, l'amore per i nemici, sì, quell'amore che Dio ha predicato sulla terra, che mi ha insegnato la principessina Mar'ja e che io non capivo; ecco perché mi dispiaceva di lasciare la vita, ecco quello che ancora mi restava, se fossi vissuto. Ma adesso è troppo tardi. Lo so!" [110] .-poteras: falso condizionale che esprime irrealtà come fanno i tempi storici in greco.-nudis sagittis: i dardi di Amore invece sono metaforici e non feriscono il corpo. Chi è intelligente e morale non ne viene ferito in alcun modo.
"Vitricus et gladiis et acuta dimicet hasta/et victor multa caede cruentus eat;/tu cole maternas, tuto quibus utimur, artes,/et quarum vitio nulla fit orba parens" (vv. 27-30), il tuo patrigno combatta con spade e lancia acuminata ed esca vincitore insanguinato per molta strage; tu coltiva le arti materne, delle quali ci serviamo senza pericolo, e per colpa delle quali nessuna madre viene privata dei figli.-Vitricus: è Marte in quanto amante di Venere. Il dio combatte con armi vere e nude che provocano stragi; tuttavia, come sappiamo dall'inno a Venere del De rerum natura perfino questo dio sanguinario può essere vinto dalle feritr metaforiche dell'amore (I, 34).-maternas…artes: sono quelle della seduzione, fondamentalmente due: la bellezza dell'aspetto e quella della parola. Odisseo aveva soprattutto la seconda, Giasone la prima, Alcibiade le aveva entrambe.-tuto quibus utimur: chi è devoto di Venere e Amore si trova al sicuro rispetto alla guerra. Lo afferma anche Tibullo:"Quisquis amore tenetur , eat tutusque sacerque/qualibet; insidias non timuisse decet!" (I, 1, 29-30), chiunque sia occupato da amore, vada in qualsiasi luogo sicuro e intoccabile; gli conviene non prendersi paura delle insidie. Similmente Properzio:"nec tamen est quisquam, sacros qui laedat amantes (III, 16, 11), né tuttavia c'è alcuno che tocchi i sacri amanti. Non certo i santi sacerdoti dell'Antonio e Cleopatra che, come abbiamo visto, benedicevano la regina nella sua lussuria.  -orba parens: è una sommessa maledizione della guerra che stronca le giovani vite, una delle tante.-
"effice, nocturna, frangatur ianua rixa/ et tegat ornatas multa corona fores;/fac coeant furtim iuvenes timidaeque puellae/ verbaque dent cauto qualibet arte viro,/et modo blanditias rigido, modo iurgia, posti/dicat et exclusus flebile cantet amans" (vv. 31-36), fai in modo che le risse notturne infrangano la porta e che molte corone coprano i battenti addobbati; fai incontrare di nascosto i giovani e le timide ragazze ed esse ingannino con qualsiasi mezzo l'amante sospettoso, e all'uscio inflessibile l'amante dica ora parole carezzevoli ora invettive e, chiuso fuori, canti compassionevolmente.-effice…frangatur…tegat: costruzione paratattica senza ut.-multa corona: la violenza delle risse, del resto non omicide, è attenuata dalle ghirlande di fiori. "il nesso multa corona rimanda anche, per antifrasi, a multa caede del v. 28" [111] .
 verbaque dent:" dare verba è espressione del sermo cotidianus comico satirico equivalente come senso a decipere, "ingannare" (per esempio Terenzio, Eunuchus, v. 24 e Orazio, Satire I, 3, v. 22)" [112] .-cauto…viro: è il marito o l'amante sospettoso. Appartiene, vedremo,  a questa categoria L'eterno marito descritto da Dostoevskij come predestinato alle corna.-rigido…posti: abbiamo già detto che l'inflessibilità della porta chiusa davanti all'innamorato  è in realtà quella della donna insensibile alle sofferenze dello spasimante. Rigidus evoca il freddo dell'animo della donna che non apre: deriva infatti dalla radice rig-/frig su cui si formano pure rigeo , "sono rigido" per il freddo e frigus , "freddo".   In Amores I, 6, 17 i claustra (le serrature) sono definiti inmitia (spietate) e alla fine dell'elegia  l'addio è rivolto ai battenti crudeli con la soglia insensibile ("Vos quoque, crudeles rigido cum limine postes" , v. 73).-flebile: neutro avverbiale, molto comune in greco. 
"His lacrimis contentus eris sine crimine mortis:/non tua fax avidos digna subire rogos." (vv. 37-38), ti accontenterai di queste lacrime senza la colpa della morte: la tua fiaccola non è adatta ad andare sotto ai roghi ingordi.-fax: abbiamo già detto dell'ambivalenza simbolica della fax e della taeda nella storia di Didone. Qui possiamo aggiungere che nell'Agamennone di Eschilo una funzione del genere la assume il tappeto rosso, la via coperta di porpora ( porfurovstrwto" povro", v. 910) fatta stendere dalla regina per il re vincitore. Questo oggetto rosso-sangue è simbolico: da una parte è segno di lusso eccessivo, come noterà  lo stesso Atrìde, dall'altra prefigura il sanguinoso assassinio del re.
"Haec ego; movit Amor gemmatas aureus alas/et mihi "propositum perfice" dixit opus" (vv. 39-40), queste parole io; Amore aureo scosse le ali adorne di gemme e mi rispose "porta a termine l'opera promessa".-movit…gemmatas…alas: Amore dà l' assenso in tutto il suo fulgore (aureus) e avalla il piano di lavoro del suo fedele.
Il poeta quindi impiega questa ispirazione in pro dei lettori :"Ad mea, decepti iuvenes, praecepta venite,/quos suus ex omni parte fefellit amor./Discite sanari, per quem didicistis amare; una manus vobis vulnus opemque feret " (vv. 41-44), venite alle mie lezioni, giovani raggirati, quelli che da qualsiasi parte l'amore ha ingannato. Imparate a essere risanati da quello per cui avete imparato ad amare; una sola mano vi porterà la ferita e l'aiuto.-decepti: si può dire delle illusioni di Amore quanto afferma Gorgia della tragedia: essa crea un inganno nel quale chi inganna è più giusto di chi non inganna, e chi è ingannato è più saggio di chi non viene ingannato: "oJv te ajpathvsa" dikaiovtero" tou' mh; ajpathvsanto" kai; oJ ajpathqei;" sofwvtero" tou' mh; ajpathqevnto"" [113] .-sanari: come si è detto, Ovidio vuole assimilare il suo poemetto a un trattato di medicina. Questo verbo verrà ripreso, vedremo, nell'ultimo verso.-amare: l'accostamento di questa attività alla passività di sanari mostra come anche il tenerorum lusor amorum accosti l'amore alla malattia che ha bisogno di precetti curativi.-vulnus: ecco che infatti torna la solita calunnia dei poeti. Ma, abbiamo sentito la lucidità del principe Andrej in Guerra e pace, l'amore è vita .
"Terra salutares herbas eademque nocentes/nutrit et urticae proxima saepe rosa est " (vv. 45-46), la terra nutre erbe salutari e pure quelle nocive e spesso la rosa è vicinissima all'ortica.-terra: la similitudine della terra alla donna che abbiamo visto ci dà conto di come dall'una e dall'altra si possano trarre frutti diversi, anche contrapposti. In ogni caso il raccoglitore che sbaglia non può incriminare la Grande Madre che offre.
"Vulnus in Herculeo quae quondam fecerat hoste,/vulneris auxilium Pelias hasta tulit " (vv. 47-48), l'asta Pelia che una volta aveva inferto una ferita nel nemico figlio di Ercole, portò aiuto alla ferita.- Herculeo hoste: Ovidio procede con un exemplum tratto dal mito dopo quello ricavato dalla natura. L'Eraclide in questione è Telefo che la lancia di Achille, ricavata dal legno di un frassino del Pelio, monte della Tessaglia [114] , prima ferì poi risanò. Come dire che l'amore è un'arma a doppio taglio. 
"Sed quaecumque viris, vobis quoque dicta, puellae,/credite; diversis partibus arma damus" (vv. 49-50), ma tutto quanto è detto per gli uomini, è detto anche per voi, ragazze, credete; noi offriamo le armi alle fazioni opposte.-vobis quoque: è l'obiettività  epica applicata al campo erotico; Ovidio vuole evitare l'accusa di parzialità.-arma: armi, beninteso, non cruente.
"E quibus ad vestros si quid non pertinet usus,/attamen exemplo multa docere potest./Utile propositum est saevas extinguere flammas/nec servum vitii pectus habere sui " (vv. 51-54), e se tra queste qualcuna non è adatta ai vostri bisogni, tuttavia può insegnare molto con l'esempio. Proposito utile è spengere le fiamme crudeli e non avere il cuore schiavo della sua malattia.-exemplo: l'esempio fornisce l'elemento concreto alla didassi.-saevas flammas: sono quelle distruttive; infatti il fuoco è, pure lui, ambivalente e può essere anche purificatore.-vitii…sui: la malattia del cuore è l'emotività eccessiva.
 Seguono esempi di amori pessimi che gli amanti avrebbero evitato se avessero ascoltato i precetti del maestro. Così Fillide, Didone, Medea, Tereo, Pasife, Fedra, Menelao e Scilla, che per amore di Minosse mandò in rovina suo padre Niso, avrebbero risparmiato tanto dolore se avessero utilizzato le lezioni di Ovidio che si sente il nocchiero della navigazione erotica:"Me duce damnosas, homines compescite curas;/rectaque cum sociis me duce navis eat " (vv. 69-70), sotto la mia guida, umani, domate le ansie nocive; sotto la mia guida la nave proceda diritta con l'equipaggio. Per una pratica corretta dell'amore è indispensabile la lettura del poeta il quale si definisce difensore della libertà con riferimento al fatto che un rapporto erotico malato, ossia privo di bene velle, diviene una tirannide del più forte:"Publicus assertor dominis suppressa levabo/pectora:vindictae quisque favete suae " (vv. 73-74), pubblico liberatore solleverò i cuori oppressi dai tiranni: ciascuno favorisca la sua liberazione.-Publicus assertor : l'espressione appartiene all'ambito giuridico e designa  l'assertor libertatis il quale toccava lo schiavo con la bacchetta di affrancamento (vindicta) davanti a un magistrato e al dominus e lo poneva in libertà.- dominis suppressa: Ovidio è un liberatore come l'Epicuro di Lucrezio che affrancò la vita umana quando giaceva "in terris oppressa gravi sub religione" (De rerum natura , I, 63), schiacciata in terra sotto l'opprimente superstizione.
"Te precor incipiens; adsit tua laurea nobis,/carminis et medicae, Phoebe, repertor opis; tu pariter vati, pariter succurre medenti; utraque tutelae subdita cura tuae est" (vv. 75-78), ti invoco all'inizio; mi assista il tuo alloro, Febo, inventore della poesia e della medicina; tu vieni in aiuto sia del poeta sia del guaritore; l'una e l'altra cura sono soggette alla tua tutela.-Te…tua…tu…tuae: anafora (con poliptoto) dei pronomi personali e degli aggettivi possessivi, tipica del linguaggio della preghiera.-Phoebe: Febo Apollo viene invocato come guaritore anche dal Coro nella Parodo dell'Edipo re (v. 154). Qui il vates Ovidio assume una funzione simile a quella del mavnti"  Tiresia nelle tragedie di Sofocle. "Conclude il proemio didascalico una preghiera ad Apollo, che troverà una precisa corrispondenza nell'epilogo (vv. 811-814)" [115] .
Ora procediamo facendo una scelta di versi particolarmente significativi.
 Se l'amore può diventare una malattia anche grave, bisogna capire presto quale legame  diventerà deleterio e togliergli il tempo:"Nam mora dat vires: teneras mora percoquit uvas/et validas segetes, quae fuit herba, facit " (vv. 83-84), infatti il tempo fornisce le forze: il tempo fa maturare bene le uve acerbe e rende spighe rigogliose quella che era erba. Il tempo porta a maturazione i frutti dei campi e pure quelli della sventura, dunque, prima di offrire il collo a un giogo amoroso bisogna prevederne gli sviluppi:"Quale sit quod amas, celeri circumspice mente,/et tua laesuro subtrahe colla iugo  " (vv. 89- 90), abbraccia con rapido sguardo  la qualità di quello che ami, e togli via il collo da un giogo che potrà ferirti.
E' importante  individuare in fretta la malattia poiché in amore, come in ogni attività, è decisiva l'intelligenza del tempo:"Principiis obsta: sero medicina paratur /cum mala per longas convaluere moras  " (vv. 91-92), opponiti agli inizi, tardi si procura la medicina quando il male si è rafforzato attraverso lunghi indugi.-convaluere=convaluerunt, perfetto arcaico di convalesco. Insomma: antiquus amor cancer est, un vecchio amore è un cancro, come leggeremo tra poco nel  Satyricon ( 42, 7).
Quindi Ovidio usa il paragone con la ferita (vulnus  v. 101) che va medicata subito. Le cure del medico della malattia amorosa, lo stesso terapeuta Ovidio, comunque non mancheranno nemmeno ai malati cronici. Segue il tovpo" della passione incendio che va spento appena divampato, oppure quando le sue forze si sono oramai esaurite (vv. 117-118). Si tratta di cogliere il momento opportuno, secondo il precetto  posto da Isocrate nel manifesto della sua scuola :"tw'n kairw'n mh; diamartei'n"( Contro i sofisti , 16), non fallire le occasioni. Anche la medicina è più o meno  l'arte di cogliere il momento giusto:"Temporis ars medicina fere est " (v. 131). Perciò, suggerisce Ovidio, continuando ad assimilare l'amore a una malattia e la propria cura a quella del medico, quando ti sembrerà di essere medicabilis (136), curabile dalla mia arte, fugias otia (v. 137), evita gli ozi, poiché questi invitano all'amore:"haec ut ames faciunt " v. 138). Abbiamo già detto di questa diagnosi e riportato alcuni versi. Aggiungo l'esempio mitico che viene allegato: quello di Egisto la cui attività seduttiva nei confronti della donna sposata Clitennestra è descritta e biasimata da Omero nel III canto dell'Odissea : Nestore racconta che mentre gli eroi della guerra troiana erano laggiù a compiere molte imprese, quello se ne stava tranquillo nella parte più sicura (eu [khlo"  mucw'/ , v. 263)  di Argo che nutre cavalli e molto cercava di  sedurre con le parole (qevlgesken e [pessin, v. 264 ) [116]  la moglie di Agamennone la quale dapprima rifiutava l'indegno misfatto poiché aveva un'anima nobile ed era sorvegliata da un aedo di fiducia del suo sposo, ma alla fine cedeva (vv. 265-272). L'interpretazione di Ovidio non è troppo diversa da quella di Omero:"Quaeritis Aegisthus quare sit factus adulter;/in promptu causa est; desidiosus erat " (vv. 161-162), volete sapere perché Egisto divenne adultero? il motivo è a portata di mano: non aveva nulla da fare.  Gli altri Greci infatti facevano la guerra e ad Argo non c'erano processi a impegnarlo. Dunque:"Quod potuit, ne nil illic ageretur, amavit " (v. 167), fece quello che poté per non stare là senza far niente: fece l'amore. Anche Madame Bovary divenne adultera poiché si annoiava:"per lei, ecco, l'esistenza era fredda come un solaio esposto a settentrione, il silenzioso ragno della noia tesseva e ritesseva la tela nell'ombra, in ogni cantuccio del suo animo" (p. 36).
Un bel diversivo che ricrea la mente abbattuta dall'amore sono i campi e e il desiderio di occuparsene :" rura quoque oblectant animos studiumque colendi (v. 169). Segue la descrizione di una campagna più amena  che faticosa:"Poma dat autumnus; formonsa est messibus aestas;/ver praebet flores; igne levatur hiemps " (vv. 187-188), l'autunno dà la frutta; l'estate è bella per le messi; la primavera offre fiori; l'inverno è alleviato dal fuoco.
 Non è detto però, che la natura bella allontani i pensieri d'amore o mitighi il dolore dell'assenza della creatura amata, né nella realtà effettuale, né nella poesia.
 Petrarca nel sonetto  già citato (CCLXVI) ci dice che il paesaggio ridente non molcisce l'affanno  ma contrasta con il suo stato d'animo e ne esulcera il dolore per la perdita di Laura:"Ridono i prati, e 'l ciel si rasserena;/Giove s'allegra di mirar sua figlia;/l'aria et l'acqua et la terra è d'amor piena;/ogni animal d'amar si riconsiglia./Ma per me, lasso, tornano i più gravi/sospiri, che del cor profondo tragge/quella ch'al ciel se ne portò le chiavi;/et cantar augelletti, et fiorir piagge/e 'n belle donne honeste atti soavi/sono un deserto, et fere aspre et selvagge" (CCCX ,vv. 5-14). La corrispondenza paesaggio stato d'animo insomma può definirsi per analogia, come nel sonetto XXVIII "Solo et pensoso i più deserti campi" (XXXV), ma anche per opposizione come nei versi citati sopra.
Tornando ai Remedia  di Ovidio, una volta che il piacere della campagna ha cominciato a incantare l'animo, Amore se ne va annullato con le ali indebolite (vv. 197-198).
Segue il consiglio di praticare la caccia, esercizio consigliato da diversi altri autori, Senofonte, Polibio, Machiavelli p. e., per altre ragioni: principalmente quella di tenere in esercizio il fisico [117] . Un aiuto per dimenticare può venire anche da un lungo viaggio senza voltarsi indietro: se l'amore è una guerra sia guerra scitica [118] , o partica: "tempora nec numera nec crebro respice Romam,/sed fuge; tutus adhuc Parthus ab hoste fuga est " (vv. 224-225). non contare i giorni e non voltarti spesso a guardare Roma, ma fuggi, ancora il Parto si mette al riparo con la fuga.
 Già Properzio aveva affermato l'opportunità della ritirata altrove per salvarsi dalla pena amorosa:"Magnum iter ad doctas proficisci cogor Athenas/ut me longa gravi solvat amore via./Crescit enim assidue spectando cura puellae:/ipse alimenta sibi maxima praebet Amor./Omnia sunt temptata mihi, quacumque fugari/ possit; at ex omni me premit ipse deus./…Unum erit auxilium: mutatis Cinthya terris/Quantum oculis, animo tam procul ibit amor./ Nunc agite, o socii, propellite in aequore navem "III, 21, 1-6; 8-10), sono costretto a partire per un grande viaggio verso la dotta Atene perché un lungo tragitto mi liberi da quest'amore opprimente. Cresce infatti continuamente osservandola il tormento della ragazza: Amore si fornisce da solo l'alimento più grande. Le ho tentate tutte, da qualunque parte si potesse mettere in fuga; ma da ogni parte mi opprime lo stesso dio…resterà solo un rimedio: mutato luogo, Cinzia,  quanto dagli occhi tanto lontano andrà Amore dal cuore.  Ora avanti, compagni, spingete nel mare la nave.
Da questi autori dunque è stato ribaltato il topos dell'inutilità della mutatio locorum che si trova in Orazio :"Caelum, non animum, mutant qui trans mare currunt/strenua nos exercet inertia " (Epistole,  1, 11, 27-28) , cambiano il cielo, non lo stato d'animo quelli che corrono al di là del mare, un'irrequieta indolenza ci tiene in ansia;  quindi Seneca scriverà:" Animum debes mutare, non caelum. Licet vastum traieceris mare, licet, ut ait Vergilius noster, "terraeque urbesque recedant"  [119] , sequentur te quocumque perveneris vitia " (Ep. a Lucilio , 28, 1), l'animo devi cambiare, non il cielo. Anche se avrai attraversato il mare immenso, anche se, come dice il nostro Virgilio, "terre e città si allontanano", dovunque sarai giunto ti seguiranno i vizi. E ancora:" Nullum tibi opem feret iste discursus; peregrinaris enim cum adfectibus tuis et mala te tua sequunturQuid ergo? animum tot locis fractum et extortum credis locorum mutatione posse sanari? Maius est istud malum quam ut gestatione curetur ...Nullum est, mihi crede, iter quod te extra cupiditates, extra iras, extra metus sistat " (Ep. a Lucilio , 104, 17-19), questo correre qua e là non ti porterà nessun vantaggio; infatti vai in giro con le tue passioni e i tuoi vizi ti seguono… che dunque? credi che l'animo in tanti luoghi ferito e slogato possa sanarsi col cambiar luogo? Il male è troppo grande per essere guarito con una passeggiata...Non c'è viaggio, credimi, che ti metta al riparo dalle passioni, dall'ira, dal timore. Tra i contemporanei il già citato Galimberti dubita che il viaggiare da turisti possa davvero scuoterci l'anima:"La gente viaggia (diceva Orazio:"Non è cambiando il cielo che si cambia animo") probabilmente per un bisogno di evasione, per dare una scossa alla propria condizione psicologica. Evasione vuol dire "uscir fuori", ma non mi pare che nei viaggi si esca davvero fuori". Infatti è tutto prenotato, codificato, previsto. "Del viaggio perdiamo dunque l'ultimo scrigno segreto che potrebbe offrirci: lo spaesamento" [120] .  
Ovidio al contrario pensa che cento distrazioni (centum solacia ) avranno la forza di allontanare l'affanno. Ma non devi avere fretta di tornare, ammonisce, altrimenti "inferet arma tibi saeva rebellis Amor/quidquid et afueris, avidus sitiensque redibis,/et spatium damno cesserit omne tuo " (vv. 246-248), Amore pronto a ricominciare la guerra ti porterà contro le armi crudeli, e nonostante tutto il tempo nel quale sarai stato lontano, tornerai bramoso e assetato e lo spazio attraversato andrà perduto con tuo danno. 
Gli incantesimi della magia non servono, altrimenti Medea e Circe avrebbero avuto successo. La via del veneficio è vecchia:"Ista veneficii vetus est via " (v. 251, con l'allitterazione che sembra soffiare e spazzar via gli incantesimi sulfurei). La terapia giusta sono i versi sacri  (sacrum carmen ) del poeta Ovidio ispirato da Apollo (v. 252).
 La figlia del Sole non chiese molto a Ulisse: solo un differimento della partenza:"Ne properes, oro; spatium pro munere posco "(v. 277), ti prego di non avere fretta, domando un poco di tempo per dono, e gli propose un amore con la pace nella quale solo lei aveva ricevuto ferita:"hic amor et pax est, in qua male vulneror una "(v. 283), e gli promise il dominio sulla sua isola:"totaque sub regno terra futura tuo est " (v; 284). Intanto l'amante preparava la partenza.
"Ardet et adsuetas Circe decurrit ad artes;/nec tamen est illis adtenuatus amor./ Ergo, quisquis opem nostra tibi poscis ab arte,/deme veneficiis carminibusque fidem " (vv. 287-290), brucia Circe e ricorre ai consueti incantesimi, né tuttavia da quelli è attenuato l'amore. Quindi, chiunque tu sia che chiedi aiuto all'arte nostra, togli fiducia ai veneficii e alle formule magiche.
E' questo il motivo dei favrmaka usati soprattutto dalle donne ma non sempre efficaci.
Nel IV canto dell'Odissea   Elena getta nel vino un farmaco  quale antidoto al dolore, all'ira, e oblio di tutti i mali (vv. 220-221). L'aveva avuto in Egitto la cui terra produce farmaci, molti buoni e molti tristi mescolati ("favrmaka, polla; me;n ejsqla; memigmevna, polla; de; lugrav", v. 230).
La donna è non di rado maga ed esperta di droghe. Questo favrmakon di Elena non sembra  creare effetti permanenti poiché chi la prende si anestetizza per un giorno ("ejfhmevrio"", v. 223). Buoni sono i favrmaka (v. 718) contro la sterilità promessi a Egeo da Medea  la  nipote di Circe, terribile maga esperta di "kaka; favrmak& e favrmaka luvgr&" [121]   farmachi cattivi e tristi, forieri di oblio.
La donna antica viene spesso accusata di essere una maga o una sporcacciona come le Cretesi Pasife e sua figlia Fedra.
 Christa Wolf presenta una Circe calunniata dal potere, bella e sofferente quanto Medea:"Incontrammo la donna sulla riva, si lavava in mare i capelli rossi fiammanti e la veste bianca, le leggemmo sul viso solcato, tremendo, che sembrava sapere chi stava arrivando…anche lei era stata scacciata, quando col suo gruppo di donne era seriamente insorta contro il re e la sua corte, che aizzarono la gente contro Circe, le addossarono crimini da loro stessi commessi e riuscirono ad affibbiarle la fama di maga malvagia, a toglierle qualsiasi fiducia, al punto che lei non riuscì a fare nulla, assolutamente più nulla" [122]
Simeta ne Le incantatrici  di Teocrito  vuole avvincere l'uomo che le sfugge (II, v. 3)  con filtri (favrmaka) degni di Circe, di  Medea, e dell'assai meno conosciuta maga Perimede (vv. 15-16). Nel prepararli chiede l'assistenza di Ecate. Interessante l'interpretazione che dà Menalca, un pastore poeta dell'idillio IX di Teocrito, degli uomini stregati dai filtri di Circe: sono quelli indifferenti alle Muse (vv. 35-36) che vengono trasformati in bestie dal beveraggio (potw'\'\\\'/   , v. 36) della maliarda. 
Queste sono streghe o maghe, denominazioni non necessariamente vituperose:"Persarum lingua magus est qui nostra sacerdos " si difende dall'accusa di esserlo Apuleio nel De Magia  (25), nella lingua dei Persiani è mago quello che nella nostra il sacerdote. Nel romanzo dello stesso autore del resto ci sono maghe terribili come quella ostessa anziana ma alquanto graziosa che mutò un suo amante fedifrago in un castoro "quod ea bestia captivitati metuens ab insequentibus se praecisione genitalium liberat " [123] , poiché questo animale, temendo di essere preso, si libera dagli inseguitori con il recidersi i testicoli. Comunque queste donne, maghe o streghe o sacerdotesse, o addirittura mezze dèe, propinano quasi sempre droghe le quali portano dimenticanza all'uomo che per un motivo o per l'altro non deve ricordare. Si sottrae a tali incantesimi Odisseo il quale sa bene che, se ricordare è dolore, pure dimenticare è dolore, ed evita le droghe e costruisce la sua identità sulla pienezza della coscienza. Donna di droghe è anche lady Macbeth, " fra le figure tratteggiate da Shakespeare la più imponente e quella che meglio ispira un ammirato terrore" [124] . Questa donna resa assassina dall'ambizione le usa per coprire il delitto addormentando i servi posti a guardia del re da assassinare:" I have drugged their possed " (II, 1), io ho drogato le loro bevande. 
Quindi Ovidio consiglia di fissare la mente sui difetti e i misfatti della donna scellerata (sceleratae facta puellae  , v. 299) e su tutti gli svantaggi (omnia damna , v. 300) conseguenti: è avida (avara , 302), ha avuto tanti regali e non si accontenta mai del bottino, tradisce i giuramenti, mi ha fatto giacere tante volte davanti alla porta, ama altri e sdegna di essere amata da me , le notti che non dà a me le gode un venditore ambulante (institor , v. 306).
 Fa qui capolino il locus  della donna che preferisce l'uomo rude, il gladiatore o lo zingaro, alla persona civile. Lo ritroveremo in Giovenale che nella VI satira nota come per la matrona romana adultera il nome e la funzione di gladiator  sia un segno di bellezza e supremazia, anche se quel bruto ha la faccia sfregiata, una protuberanza nel naso e gli occhi lacrimosi per un acre malum :"Sed gladiator erat; facit hoc illos Hyacinthos,/hoc pueris patriaeque, hoc praetulit illa sorori/atque viro: ferrum est quod amant " (vv. 110-112), ma era un gladiatore, e questo li rende dei Giacinti, questo coso  ha preferito colei ai figli e alla patria, questo alla sorella e al marito: è il ferro che amano. Evidentemente gli uomini della classe dirigente erano diventati troppo molli.
 Ovidio prosegue consigliando di mettere in rilievo i difetti fisici dell'amata, trovandoli anche quando non ci sono.  Una parte (vv. 315-340) l' abbiamo già vista confrontandola con i versi di Lucrezio. Procediamo con i più significativi tra i distici che seguono.  Gioverà anche vedere la donna al naturale arrivando all'improvviso di mattina:"Auferimur cultu: gemmis auroque teguntur/omnia; pars minima est ipsa puella sui " (vv. 343-344), siamo sedotti dall'acconciatura: tutti i difetti sono coperti dalle gemme e dall'oro; la donna in sé, è una una parte minima di sé.-ipsa puella : con questo stilema platonico (aujto;  oJ;, auto; tov)  applicato all'amore Ovidio intende distinguere non tanto l'anima della donna dal suo corpo quanto il suo vero aspetto da tutto l'apparato esteriore. Comunque anche qui come in Gorgia 465b la cosmesi è una forma di adulazione e di inganno.
 Infatti, prosegue Ovidio, "Saepe, ubi sit quod ames, inter tam multa, requiras:/decipit hac oculos aegide dives Amor " (vv. 345-346), spesso tra tante contraffazioni uno può chiedersi dove sia ciò che ama: Amore arricchito con questo scudo inganna gli occhi.-tam multa : sono gli orpelli dell'apparato esterno e della cosmesi che inganna (decipit ). Platone nel luogo citato sopra la definisce ajpathlhv , ingannevole appunto. Si ricorderà che altrove Ovidio non accusa né denuncia il cultus, ma in questo contesto ogni mezzo è valido per demistificare e svilire la donna.
Un mezzo demistificatorio è quello di arrivare all'improvviso:"improvisus ades: deprendes tutus inermem; infelix vitiis excidet illa suis " (vv. 347-348), presentati inaspettato: tu, al sicuro, la sorprenderai disarmata; quella, disgraziata, cadrà per i suoi difetti.-tutus : l'uomo che invece si è preparato.-inermem : il termine ( formato da in  e arma ) allude alla guerra: questi versi potrebbero entrare anche nel tovpo" Eros/Eris.
Esiste però una forma sine arte decens  (v. 350), una bellezza elegante senza trucco ed essa  fallit multos , inganna molti. Volendo spiegarla, questa potrebbe essere la bellezza naturale potenziata, o conservata, dalla ginnastica e dalla consapevolezza di sé. L'attrazione esercitata da tale forma  potrebbe non essere fallace. Comunque Ovidio, come Lucrezio, consiglia di avvicinarsi al volto della domina  "compositis cum linit ora venenis " (v. 351), quando si spalma il volto con intrugli pestiferi, che hanno l'odore stercorario delle mense di Fineo insozzate dalle Arpie:"Illa tuas redolent, Phineu, medicamina mensas " (v. 355), quegli intrugli hanno il cattivo odore delle tue mense, Fineo. Le donne dunque sono come Arpie che insozzano; come le Erinni appartengono alla categoria dei mostri femminili vendicatori e vengono chiamate anche "cani del grande Zeus" [125] . E' tipico dell'immaginario mitico dei Greci attribuire a figure femminili i tratti dell'alterità più mostruosa. Diamo un'occhiata a questi mostri che possono accostarsi all'immagine della donna tubo di scarico e simboleggiano tanto la  paura quanto il risentimento del maschio verso la femmina umana degradata a semibestiale:"Virginei volucrum voltus, foedissima ventris/proluvies uncaeque manus et pallida semper/ora fame " (Eneide , III, 216-218), i volti degli uccelli sono da ragazza, schifosissimo è il flusso del ventre, adunche le mani e pallidi sempre i volti per fame. Sentiamo anche Dante:"Quivi le brutte Arpie lor nido fanno,/che cacciar delle Strofade i Troiani/con tristo annunzio di futuro danno./ Ali hanno late, e colli e visi umani,/piè con artigli, e pennuto il gran ventre;/fanno lamenti in su li alberi strani" (Inferno, XIII, 10-15). E' notevole che l'uccello con volto di donna è un mostro, mentre la donna o l'uomo con qualche cosa di ornitologico nel volto è nobile e bello, come abbiamo visto in Proust [126]
 Non potrà che derivarne nausea allo stomaco. Anche perché la donna che usa tale "orribile manteca"  ed è "tutta goffamente imbellettata e parata d'abiti giovanili " il più delle volte ha grossi difetti da nascondere: è brutta e vecchia come quella di Pirandello.
Quindi l'autore si difende dai detrattori secondo la censura dei quali la sua Musa è sfacciata ("quorum censura Musa proterva mea est ", v. 362). L'apologia della Musa licenziosa si trova già in Catullo che si difende contrapponendo la pietas   e la castitas  della sua vita ai versiculi molliculi  :" me ex versiculis meis putastis,/quod sunt molliculi, parum pudìcum./ Nam castum esse decet pium poetam/ipsum, versiculos nihil necessest " (16, 3-6), mi consideraste, dai miei versi leggeri, poiché sono lascivi, poco casto. In effetti si addice al pio poeta come persona essere puro, che lo siano i suoi teneri versi non è necessario. 
 Su questa linea Marziale scriverà:"lasciva est nobis pagina, vita proba "(I, 4, 8), la mia pagina è licenziosa, la vita onesta.
Ovidio piuttosto attacca il livor  dei detrattori del genio. L'invidia attacca i poeti sommi:"Ingenium magni livor detractat Homeri "(v. 365), l'invidia deprezza il talento del grande Omero, come ha cercato di infamare il capolavoro di Virgilio:"Et tua sacrilegae laniarunt carmina linguae "(v. 367), e lingue sacrileghe dilaniarono i tuoi carmi.
Insomma il livor  cerca di colpire le cime:"Summa petit livor; perflant altissima venti,/summa petunt dextra fulmina missa Iovis "(vv. 369-370), l'invidia mira verso l'alto; i venti soffiano sulle vette più alte, i fulmini scagliati dalla destra di Giove mirano alle sommità.

 L'invidia degli uomini nei confronti del genio.
Il tovpo" dell'invidia è molto diffuso in letteratura:  Erodoto attribuisce questo sentimento certo non alto perfino agli dèi [127] .
Lo stesso ostracismo secondo Plutarco è un'istituzione con la quale gli Ateniesi cacciavano in esilio quelli tra i cittadini che superavano gli altri per fama e potenza, e con questo placavano l'invidia più che la paura:"paramuqouvmenoi to;n fqovnon ma'llon hj; to;n fovbon" [128] .
Molti uomini politici vennero colpiti dall'invidia, ma anche non pochi poeti se ne lamentano. 
All'invidia dei detrattori Telchìni  deve replicare Callimaco nel prologo degli Aitia , e, ancora più esplicitamente il poeta di Cirene ribatte ai colpi degli invidiosi con alcuni esametri  dell'Inno II  ad Apollo : l' Invidia disse di nascosto agli orecchi di Apollo ("oJ Fqovno" jApovllwno" ejp& ou [ata lavqrio" ei'jpen", v. 100):" non ammiro il cantore che non canta temi grandi quanto il mare".
Apollo respinse l'Invidia con il piede "to;n Fqovnon wJpovllwn podiv t& h [lasen", v. 103) e parlò così:"grande è la corrente del fiume di Assiria, ma molta/lordura della terra e molta spazzatura trascina sull'acqua./ Le api portano l'acqua a Demetra non da ogni parte
ma quella che pura e incontaminata zampilla/da sacra sorgente piccola vena, fiore sublime".
 Il grande fiume pieno di scorie simboleggia il grande poema e può alludere a Le Argonautiche  di Apollonio Rodio.
Tornando alla invidia tra i potenti della terra, in Tacito  l'invidia di Tigellino architetta la rovina di Petronio, "elegantiae arbiter ", principe del buon gusto della corte di Nerone. Il despota "nihil amoenum et molle adfluentia putat, nisi quod ei Petronius adprobavisset ", niente considerava piacevole e raffinato in quell'abbondanza, se non ciò che Petronio gli avesse approvato, "unde invidia Tigellini quasi adversus aemulum et scientia voluptatum potiorem " [129] , di qui l'invidia di Tigellino come contro un rivale più capace nella conoscenza dei piaceri. Tigellino è il famigerato prefetto del pretorio succeduto a Burro fatto ammazzare da Nerone nel 62 d. C. A lui che cercava accuse di adulterio contro Ottavia presso le ancelle di lei una, incalzata, rispose "castiora esse muliebria Octaviae quam os eius" (Annales , XIV, 60), che era più casto il sesso di Ottavia che la sua bocca.
 Nell' incipit dell'Agricola  lo storiografo afferma che aveva riflettuto sull'invidia in generale, chiamandola, con l'ignoranza del bene, vizio comune ai piccoli e ai grandi stati: "vitium parvis magnisque civitatibus commune  ".
 Dante individua questo vizio  soprattutto nelle corti:" La meretrice che mai dall'ospizio/di Cesare non torse li occhi putti,/ morte comune, delle corti vizio",  [130]
A. Schopenhauer in Parerga e paralipomena dà una definizione efficace di questo sentimento meschino :" alla gloria dei meriti di alta specie si oppone l'invidia ;  l'invidia che vi si oppone fin dai primi passi, perfino quando si tratta di meriti di infimo grado e non si ritira fino all'ultimo; perciò appunto l'invidia contribuisce parecchio a peggiorare il corso del mondo, e Ariosto con ragione definisce la vita come
"questa assai più oscura che serena/ vita mortal, tutta d'invidia piena" [131] .
L'invidia è appunto l'anima dell'alleanza dovunque fiorente e tacitamente stipulata, senza previa intesa, di tutti i mediocri contro il singolo individuo eccellente di qualsiasi specie" [132] . L'invidia di Salieri per il genio di Mozart è stata resa celebre dal film Amadeus  di Forman. Alle spalle c'è un microdramma di Puskin  (1799-1837) del quale cito alcune parole: "Sono invidioso. Invidio; con tormento,/Profondamente, invidio. O cielo! dunque/Dov'è giustizia, quando il sacro dono,/Quando il genio immortale non compenso/D'amore ardente, non di dedizione,/
Di sudori, di zelo, è, di preghiere./Ma illumina la testa d'un ozioso/
Vagabondo, d'un folle?...O Mozart, Mozart" [133] .
La Zambrano definisce l'invidia "il male sacro tra tutti", quello "che di fronte al Dio assoluto grida non serviam, e che nell'uomo sarà l'invidia fraterna, "la prima forma di parentela" [134] .
 
Ovidio continua la sua apologia. Ogni genere ha il suo metro e i suoi argomenti: una cosa è l'epica con le sue guerre eroiche cantate in esametri; un registro magniloquente ha la tragedia, ai coturni della quale si addice lo sdegno (Grande sonant tragici: tragicos decet ira cothurnos, v. 375); la commedia tratta il quotidiano; il giambo, sia quello veloce, sia lo scazonte che allunga l'ultimo piede [135] , può essere brandito quale arma contro i nemici. L'elegia è un'altra cosa ancora :"blanda pharetratos elegeia cantet Amores/et levis arbitrio ludat amica suo "(vv. 379-380), l'elegia carezzevole canti gli Amori faretrati e l'amica leggera vi giochi a suo capriccio. La contraddizione e il dolore scoppiano quando ci si innamora della levis amica , dell'adultera, dell'etera, in genere della donna all'inizio comoda siccome non dà responsabilità: allora le responsabilità vorremmo prendercele ma quel tipo di donna non si presta e non è prendibile. Allora l'elegia diventa flebile.
A Omero non si confà Cidippe, all'elegia non si addice Andromaca ma Taide, e l'arte di Ovidio è quella di Taide:"Thais in arte mea est: lascivia libera nostra est;/nil mihi cum vitta; Thais in arte mea est " (vv. 385): Taide è nella mia arte: la mia dissolutezza è sfrenata, io non ho niente in comune con le bende sacre: Taide è nella mia arte. Viene ribadito il nome e la presenza dell'etera per antonomasia, dopo l'Eunuchus di Terenzio.
 Ovidio qui si proclama quasi cantore di prostitute. Se la sua poesia è conseguente al proposito e coerente con il genere, l'invidia dovrà crepare:"Rumpere, Livor, edax: magnum iam nomen habemus;/maius erit, tantum, quo pede coepit, eat " (vv. 389-390), crepa invidia vorace, abbiamo già un nome grande; sarà più grande se solo va avanti col ritmo con cui ha iniziato.-rumpere : imperativo del passivo mediale rumpor .-edax :  la radice deriva dall'indoeuropeo *ed-  da cui discendono  pure il greco    [esqivw< *ed-qivw  l' italiano inedia, l'inglese to eat ,  il tedesco essen .
Il Sulmonese si vanta di essere il Virgilio dell'elegia, quindi, affermata questa sua preminenza nel genere, riprende la strada dei consigli per salvarsi dalla tirannide dell'amore (vv. 395-398). Il primo precetto del ciclo scabroso è stravagante, bizzarro e poco condivisibile: prima di incontrare la tua signora vai con un'altra:"gaudia ne dominae, pleno si corpore sumes,/ te capiant, ineas quamlibet ante velim;/quamlibet invenias, in qua tua prima voluptas /desinat; a prima proxima segnis erit " (vv. 401-404), per evitare che il piacere della tua donna ti afferri se lo prenderai con tutte le forze, vorrei che prima tu  entrassi in un'altra qualsiasi; trovane una qualunque in cui il tuo primo piacere si sfoghi; dopo il primo, il successivo sarà fiacco.- a prima :  sottintende voluptate .
E' un consiglio non solo immorale ma anche grossolanamente sbagliato: la donna è  attirata dal desiderio dell'uomo, se non prova una ripugnanza iniziale per lui.
La scarsa potenza certamente non la lusinga, e l'impotenza la disgusta, la fa andare via. Quindi il consiglio può essere valido per allontanare una donna, non certo per evitare di amarla, se è vero che in questa partita a scacchi amiamo chi fugge.

Il tema dell'impotenza e quello del piacere. Un assaggio di Satyricon  con una briciola di Epicuro.
Restando nel campo della letteratura si può pensare alla Circe del Satyricon  la quale, il giorno dopo avere sofferto l'offesa dell'impotenza sessuale di Encolpio, " hesternae scilicet iniuriae memor ", evidentemente ricordandosi l'affronto del giorno prima, cerca di umiliarlo a sua volta dicendogli:"quid est-inquit-paralytice? ecquid hodie totus venisti? " (131),  come va paralitico? forse che oggi sei venuto tutto intero?
Rinnovatosi l'affronto, la donna fece fustigare Encolpio-Polieno il quale poi a sua volta rivolge un'invettiva al pene disertore:" erectus igitur in cubitum hac fere oratione contumacem vexavi" quid dicis- inquam-omnium hominum deorumque pudor? nam nec nominare quidem te inter res serias fas est"  (132), drizzatomi quindi sul gomito, maltrattai il renitente più o meno con questo discorso: "cosa dici-faccio- vergogna degli uomini e degli dèi? infatti non è possibile nemmeno nominarti tra le cose serie".
 Segue un attimo di pentimento per avere litigato con quella parte del corpo che nemmeno si dovrebbe menzionare, quindi Encolpio, soprannominato Polieno, come Odisseo dalle Sirene, si giustifica ricordando Ulisse appunto, nonché Edipo:"quid? non et Ulixes cum corde litigat suo, et quidam tragici oculos suos tamquam audientes castigant? ", e che? Ulisse non litiga con il suo cuore [136]  e certi personaggi della tragedia non sgridano i propri occhi come se li ascoltassero?  Di conseguenza "podagrici pedibus suis male dicunt, chiragrici manibus, lippi oculis, et qui offenderunt saepe digitos, quicquid doloris habent, in pedes deferunt ", i podagrosi insultano i loro piedi, i malati di chiragra le mani, i cisposi gli occhi, e quelli che hanno urtato spesso le dita, attribuiscono ai piedi tutti i dolori che hanno.
Seguono quattro distici elegiaci con l'apologia dell'argomento scabroso che abbiamo già visto in Catullo, Ovidio e Marziale:"quid me constricta spectatis fronte Catones,/damnatisque novae simplicitatis opus?/sermonis puri non tristis gratia ridet,/qodque facit populus, candida lingua refert./nam quis concubitus, Veneris quis gaudia nescit?/quis vetat in tepido membra calere toro?/ipse pater veri doctus Epicurus in arte/iussit  et hoc vitam dixit habere  tevlo" " (Satyricon , 132), perché mi guardate con la fronte corrugata, Catoni, e condannate un'opera di schiettezza inaudita? Qui ride il fascino non accigliato di uno stile pulito, e una lingua semplice riporta i fatti del popolo. Infatti chi ignora gli accoppiamenti, chi le gioie di Venere? chi vieta che le membra ardano in un letto tiepido? Lo stesso dotto Epicuro padre della verità nella sua filosofia lo ha insegnato e ha detto che la vita ha questo scopo.-constricta...fronte Catones : è il motivo già catulliano del rumoresque senum severiorum/omnes unius aestimemus assis " (5, 2-3), le maldicenze dei vecchi troppo seri valutiamole tutte un soldo soltanto Che poi, in rebus gestis, significa:"Vivamus mea Lesbia atque amemus " (5, 1),  prendiamoci la vita, mia Lesbia e facciamo l'amore.
Il tovpo" si trova anche in  Seneca, ma attribuito alle cattive voci delle sirene che lodano i vizi, quindi sono da respingere : istos tristes et supercilios alienae vitae censores, suae hostes, publicos paedagogos , assis ne feceris (Ep. 123, 11), questi austeri e accigliati censori della vita altrui, nemici della propria, questi pubblici pedagoghi non stimarli un soldo.- novae simplicitatis : abbiamo detto che la simplicitas  è il segno della nobiltà.-gratia : il fascino dello stile, sia nello scrivere sia nell'agire sta nella schiettezza e nella mancanza di affettazione.-quodque facit..refert : c'è una bella espressione di Tucidide che mette in rilievo questa equivalenza delle parole e delle azioni riferite dalle parole ed è ta; e [rga tw'n pracqevntwn (I, 22, 2), tra gli eventi bellici [137]  le azioni : "La mentalità greca arcaica-scrive Canfora- pone sullo stesso piano la parola e l'azione. Tale modo di concepire la parola come "fatto" è vivo anche nella tradizione storiografica, che rivela, anche in questo, la propria matrice epica. Vi è un assai noto passo di Tucidide, dove lo storico, nel descrivere il proprio lavoro e la materia trattata, adopera un'espressione quasi intraducibile: ta; e [rga tw'n pracqevntwn (I 22 2). Si dovrebbe tradurre "i fatti dei fatti", che in italiano non dà senso...Lì vi è invece una distinzione: la categoria generale degli "eventi" (ta; pracqevnta) comprende sia le "azioni" (e [rga) che le "parole" (lovgoi), delle quali si è appena detto nel periodo precedente...La  parola infatti-scriverà secoli dopo Diodoro- la parola retoricamente organizzata, è l'elemento che distingue gli inciviliti dai selvatici, i Greci dai barbari." [138] .-tevlo": Epicuro stesso spiega il significato di questo scopo che è il piacere: non quello dei dissoluti che sempre giacciono nel godimento, come ritengono alcuni che fraintendono la dottrina, ma "to; mhvte ajlgei'n kata; sw'ma mhvte taravttesqai kata; yuchvn" (Epistola a Meneceo , 131), non soffrire nel corpo e non essere turbati nell'anima. Questa vita piacevole in effetti non è generata da banchetti né da godimenti di fanciulli, di donne, di pesci ma da un nhvfwn logismov" (132), un calcolo lucido che indaghi le cause ed elimini le false opinioni ed  ogni motivo di turbamento.    
  La conclusione del capitolo (132) del Satyricon  è "nihil est hominum inepta persuasione falsius nec ficta severitate ineptius ", niente è più falso di una convinzione che gli uomini hanno a sproposito, né più inopportuno di una severità falsa.             

Ovidio poi supera del tutto la barriera del pudore ("et pudet et dicam ", v. 407, mi vergogno eppure lo dirò) e suggerisce al lettore-discepolo un'altra stravaganza sessuale: aggancia la donna nella posizione che pensi meno si addica alla donna. Non è difficile ottenerlo poiché le femmine sono disposte a qualsiasi indecenza. E prosegue:"Tunc etiam iubeo totas aperire fenestras/turpiaque admisso membra notare die " (vv. 411-412), ti consiglio anche di spalancare le finestre e di osservare in piena luce le parti sconce.
Il protagonista de Il fuoco, l'imaginifico Stelio Effrena anticipa con il pensiero la visione cruda, quasi ripugnante, dell'attempata attrice Foscarina messa a confronto con la giovane cantante Donatella Arvale :" Ed egli, con una strana angoscia su cui passava quasi un'ombra di orrore, evocò l'immagine dell'altra:-avvelenata dall'arte, carica di sapere voluttuoso, col gusto della maturità e della corruzione nella bocca eloquente, con l'aridezza della vana febbre nelle mani che avevano spremuto il succo dei frutti ingannevoli, con i vestigi di cento maschere sul viso che aveva simulato il furore delle passioni mortali. In quella notte alfine, dopo il lungo desiderio intermesso, egli doveva ricevere il dono di quel corpo non più giovane, ammollito da tutte le carezze e rimasto ancora sconosciuto per lui" [139] .
 La somma di questi consigli maligni porterà alla demolizione della "nemica". Serve comunque a disamorarsi, vedere le brutture della donna, fino alle estreme, quasi irriferibili, a detta del maestro Ovidio il quale prosegue con tale precettistica: quando poi il piacere è giunto alla meta, quando l'amante ti pesa al punto che vorresti non avere mai toccato una donna e ti sembra che non ne toccherai più:"tunc animo signa, quodcumque in corpore mendum est,/luminaque in vitiis illius usque tene " (vv. 417-418), allora imprimiti nell'animo ogni difetto che c'è nel corpo, tieni continuamente lo sguardo fisso nelle sue imperfezioni
Segue il consiglio, già presente in Meleagro, di non limitarsi a una sola amante.
 In un epigramma  il poeta consiglia a Filocle di averne otto  nello stesso momento così da poter fare un'insalata di ragazzi (Antologia Palatina, XII, 95).
Ma il tema della pluralità delle amanti è sviluppato meglio da Properzio [140]  che, in II, 22, già menzionata, si giustifica per essere un uomo mollis in omnes ( v. 13), tenero con tutte le donne.
La natura ha assegnato a ciascuno un suo difetto, afferma:"mi fortuna aliquid semper amare dedit" (18), a me la sorte ha dato quello di amare sempre e non sarò mai cieco davanti alle belle, o invidioso:"numquam ad formosas, invide, caecus ero" (v. 20). Dalla giustificazione dunque il poeta è passato alla rivendicazione: chi lo biasima  lo fa per invidia. E chi sostiene che fare molto l'amore indebolisce, non se ne intende:"nullus amor vires eripit ipse suas" (28), nessun amore di per sé toglie le forze. Parole sante e autorizzate da exempla: Giove giacque con Alcmena per due notti, "nec tamen idcirco languens ad fulmina venit" (27), né tuttavia per questo tornò languido ai suoi fulmini. E' un bell'ossimoro concettuale languens ad fulmina che accosta, negandola, la fiacchezza moscia dell'uomo scarico alla potenza infuocata e diritta del fulmen come simbolo fallico. Ugualmente Achille ed Ettore non si afflosciavano dopo i convegni amorosi con Briseide e Andromaca, anzi, avrebbero potuto distruggere questo la flotta, quello le mura. Properzio è come il Pelide e il fiero Ettore. Anzi è come il cielo che ha bisogno della luce solare e di quella lunare:"sic etiam nobis una puella parum est" (36), così anche per me una ragazza non è abbastanza. E' più piacevole e più sicuro:"nam melius duo defendunt retinacula navim,/tutius et geminos anxia mater alit" (41-42), infatti due ormeggi assicurano meglio la nave e una madre ansiosa alleva con maggior sicurezza due figli.
Che l'amore per le donne, per tutte le donne, sia in ogni caso sano e vitale lo leggiamo in una delle ultime pagine de La coscienza di Zeno, una pagina chiave, tra le più dense di significato:"In mezzo a quel verde rilevato tanto deliziosamente da quegli sprazzi di sole, seppi sorridere alla mia vita ed anche alla mia malattia. La donna vi ebbe un'importanza enorme. Magari a pezzi, i suoi piedini, la sua cintura, la sua bocca, riempirono i miei giorni. E rivedendo la mia vita e anche la mia malattia le amai, le intesi! Com'era stata più bella la mia vita che non quella dei cosiddetti sani, coloro che picchiavano e avrebbero voluto picchiare la loro donna ogni giorno salvo in certi momenti. Io, invece, ero stato accompagnato sempre dall'amore. Quando non avevo pensato alla mia donna, vi avevo pensato ancora per farmi perdonare che pensavo anche alle altre. Gli altri abbandonavano la donna delusi e disperando della vita. Da me la vita non fu mai privata del desiderio e l'illusione rinacque subito intera dopo ogni naufragio, nel sogno di membra, di voci, di atteggiamenti più perfetti" [141]
Ora torniamo a Ovidio:"Hortor et ut pariter binas habeatis amicas/fortior est, plures si quis habere potest " (Remedia amoris, vv. 441-442), vi consiglio di avere contemporaneamente due amanti per volta, è più forte uno se può averne diverse. Può succedere addirittura, anzi succede spesso, aggiungo, che l'amante serva a riconquistare l'amore del coniuge, moglie o marito, assaliti dal timore di perdere il compagno fino a quel momento trascurata. Gli adulteri, anzi gli amanti degli adulteri, non poche volte hanno il merito di salvare le coppie stanche.
Svevo dà il suggerimento opposto:"Un'amante in due è l'amante meno compromettente" [142] .
Ovidio fa esempi mitici di amori nuovi che scacciano amori vecchi: a Tereo sarebbe piaciuta la bella moglie "sed melior clausae forma sororis erat " (v. 460), ma era più bello l'aspetto della sorella rinchiusa.  Un paradigma non troppo felice a dire il vero, poi altri assai meno noti. "Il nuovo catalogo di exempla  mitici è redatto all'insegna del preziosismo, sia nella scelta dei miti-alcuni dei quali poco diffusi-sia nelle soluzioni lessicali" [143] .
Quindi l'autore, con buon gusto, sente il peso dell'erudizione neanche tanto calzante e si affretta a sintetizzare:"Quid moror exemplis quorum me turba fatigat?/Successore novo vincitur omnis amor " (vv. 461-462), perché perdo tempo con esempi di cui la calca  mi stanca? ogni amore viene vinto da uno nuovo che gli succede. Poi però gli viene in mente un exemplum  più noto, efficace, e tale che gli consente un motto arguto: quello di Agamennone il quale, costretto da Calcante a lasciare Criseide, nel prendersi la somigliante e quasi omonima Briseide, avrebbe detto:"Est-ait Atrides-illius proxima forma,/et, si prima sinat syllaba, nomen idem " (vv. 475-476), ce n'è una-disse l'Atride-vicinissima a lei per bellezza, e, se la prima sillaba lascia fare, il nome è il medesimo.
La seconda moglie in effetti di solito assomiglia alla prima anche se è più giovane. E' quasi una legge.
Achille me lo deve consentire, continua Agamennone, poiché sono re: se restassi senza donna, Tersite potrebbe prendere il mio posto.  La storia  dell'Atride capo della spedizione troiana in sé è assai tragica e  notissima non solo per  l'Iliade  ma  anche per la sua frequente presenza nella tragedia.
Ebbene Ovidio utilizza una vicenda del genere per consigliare di ridere sopra le perdite e i fallimenti, se non si vuole accrescere il dolore con il dolore e il danno con il danno.
"Ergo adsume novas auctore Agamennone flammas,/ut tuus in bivio distineatur amor./Quaeris ubi invenias? Artes tu perlege nostras:/plena puellarum iam tibi navis erit " (vv. 485-488), quindi, sotto l'esempio autorevole di Agamennone, accogli nuove fiamme, perché il tuo amore si divida ad un bivio. Chiedi dove si trovano? Leggi attentamente la mia Ars : subito la tua nave sarà piena di ragazze.-auctore , come  il Discorso Ingiusto delle Nuvole  di Aristofane utilizza Zeus per  autorizzare l'adulterio, così Ovidio si avvale di Agamennone, senza dare peso alla sua brutta fine.-in bivio : in questo bivio, diversamente da quello di Eracle, non è necessario scegliere, anzi si devono seguire, a turno, entrambe le strade.-navis : di solito è allegoria dello stato, qui sembra rappresentare la domus  dei sogni del libertino.
 La barca quale simbolo di uno stato d'animo ondeggiante sui flutti delle contraddizioni conseguenti all'amore si trova nel sonetto CI del Canzoniere  di Petrarca:" O viva morte, o dilectoso male,/come puoi tanto in me, s'io nol consento?/ Et s'io 'l consento, a gran torto mi doglio./Fra sì contrari vènti in frale barca/mi trovo in alto mar senza governo,/sì lieve di saver, d'error sì carca/ch'i' medesmo non so quel ch'io mi voglio,/e tremo a mezza state, ardendo il verno" (CXXXII, 7-14).
  Ovidio quindi suggerisce varie simulazioni: fingiti freddo quando ardi come se fossi dentro l'Etna, fingiti sano (et sanum simula , 493) perché non si accorga se hai qualche dolore, e ridi quando dovresti piangere. Insomma:"Quod non est, simula positosque imitare furores;/sic facies vere quod meditatus eris " (vv. 497-498), fingi quello che non è, e simula che i furori siano deposti, così farai davvero quello che avrai meditato.-simula : l'amante deve essere dunque grande simulatore e dissimulatore di qualsiasi cosa, come il Catilina di Sallustio e il principe di Machiavelli per il quale " non può… uno signore prudente né debbe osservare la fede, quando tale osservanzia gli torni contro" . Forse pure Ovidio potrebbe aggiungere "se li uomini fussino tutti buoni, questo precetto non sarebbe buono , ma poiché sono tristi e non la osserverebbero a te, tu ancora non l'hai ad osservare a loro" [144] .
"Intrat amor mentes usu, dediscitur usu;/qui poterit sanum fingere, sanus erit " (vv. 503-504), l'amore entra nel pensiero con l'abitudine, con l'abitudine si disimpara; chi potrà fingersi guarito, sarà guarito.-usu...usu : l'amore e i pensieri d'amore, come tutte le altre attività umane, dipendono dalla pratica.-sanum fingere : la maschera con il tempo diventa volto. A volte non è nemmeno necessario tenerla a lungo:" Non bisogna mai dire per gioco che si è scoraggiati, perché può accadere che ci pigliamo in parola" [145] .
Seguono consigli sul comportamento da tenere davanti alla "ianua clausa "( Remedia amoris, v. 506), la porta chiusa. Ovidio si pone fuori dal paraklausivquron topico: esorta l'amante respinto a sopportare:"feres./Nec dic blanditias nec fac convicia posti/nec latus in duro limine pone tuum./Postera lux aderit; careant tua verba querelis,/et nulla in vultu signa dolentis habe ./ Iam ponet fastus, cum te languere videbit;/hoc etiam nostra munus ab arte feres " (vv. 506-512), sopporta, non dire parole carezzevoli e non fare cagnara con l'uscio, e non stendere il fianco sulla dura soglia. Verrà il giorno seguente; le tue parole siano senza lagnanza, e non avere in volto nessun segno di uomo dolente. Subito deporrà la superbia quando ti vedrà poco teso; anche questo dono ricaverai dalla mia arte.-nec...nec : Ovidio utilizza il tovpo"  del lamento davanti alla porta chiusa in maniera anomala. Questi loci  possono essere impiegati, al pari di strumenti sintattici o lessicali, in contesti vari e con significati diversi.-languere : sembra che Ovidio stimi graditi e interessanti per le donne il languore e l'indifferenza, mentre secondo altri punti di vista la donna è molto attirata dal desiderio priapesco. Lo vedremo nel Satyricon.
Del resto l'autore sa che le persone sono varie e dunque:"Nam quoniam variant animi, variabimus artes;/mille mali species, mille salutis erunt " (525-526), infatti siccome sono vari i caratteri, varieremo i consigli; mille sono le forme del male, mille saranno quelle della guarigione. Il poeta consiglia quella "flessibilità", che ora è tanto di moda nel campo lavorativo. Corrisponde nella sfera erotica a quella che Guicciardini chiama "discrezione". In certi casi può essere risolutiva la sazietà, fino alla noia:" Taedia quaere mali: faciunt et taedia finem " (v. 539), cerca la noia del male, anche la noia pone la fine.
 Altre volte può essere utile far cessare la diffidenza:"Fit quoque longus amor, quem diffifentia nutrit;/hunc tu si quaeres ponere, pone metum " (vv. 543-544), diventa lungo anche un amore che la diffidenza nutre; se vorrai deporlo, metti via il timore. In questo caso chiaramente si amava non la persona ma la diffidenza e il sospetto suscitati da lei. La paura di perdere una donna è un grande incentivo a volerla:"Plus amat e natis mater plerumque duobus,/pro cuius reditu, quod gerit arma, timet " (vv. 547-548), tra due figli la madre di solito ama più quello sul cui ritorno, siccome è in guerra, ha timore.

Quod sequitur, fugio; quod fugit, ipse sequor .
 E' questo il tovpo" dell'amore che insegue chi fugge e scappa da chi lo insegue. Tale locus  ha un' ampia presenza nella poesia amorosa e, probabilmente, pure nell'esperienza personale di ciasuno di noi: Teocrito nel VI  idillio paragona Galatea che stuzzica Polifemo alla chioma secca che si stacca dal cardo quando la bella estate arde:"kai; feuvgei filevonta kai; ouj filevonta diwvkei" (v. 17), e fugge chi ama e chi non ama lo insegue. Nell'XI idillio lo stesso Ciclope si dà il consiglio di non inseguire chi fugge ma di mungere quella presente (75), femmina ovina o umana che sia.
 Abbiamo anche qui l'ironia teocritea che deriva dalla consapevole dissonanza tra l'elemento popolare e quello raffinato letterario. Teocrito è, come Callimaco, un rappresentante di una poesia cosiddetta postfilosofica:"Post-filosofici sono questi poeti, nel senso che non credono più nella possibilità di dominare teoreticamente il mondo, e nell'esercizio della poesia, a cui Aristotele aveva ancora riconosciuto un carattere filosofico, si allontanano scetticamente dall'universale e si rivolgono con amore al particolare" [146] . Lo stesso Snell qualche capitolo prima aveva ricordato che  nel V secolo era comunque già avvenuto "quel distacco fra il mondo della storia e quello della poesia" codificato da Aristotele quando afferma "che la poesia è più filosofica della storia poiché la poesia tende all'universale, la storia al particolare" [147]  (p. 141). La poesia postfilosofica dunque non racconta più l'universale. Post-filosofica o almeno postilluministica sarebbe anche quella di Goethe:" Callimaco e Goethe si trovano entrambi ad una svolta storica; al tramonto di una più che secolare cultura illuministica che ha dissolto le antiche concezioni religiose, quando è venuto a noia anche il razionalismo e incomincia a sorgere una nuova poesia significativa. Ma l'evoluzione del mondo antico segue una via così diversa da quella del mondo moderno, che Callimaco, e con lui tutto il suo tempo, si dichiara per la poesia minore, delicata, mentre Goethe, interprete anch'egli dei suoi contemporanei, dà la preferenza alla poesia patetica, interiormente commossa" [148]
  "Un epigramma di Callimaco (Anth. Pal. 12, 102) liberamente tradotto per l'occasione in versi latini, è in Orazio il ritornello caro a questi incontentabili stolti:" Come il cacciatore insegue la lepre nella neve e non la prende quando è a portata di mano, così fa anche l'amante che dice: "Meus est amor huic similis: nam/transvolat in medio posita et fugientia captat " (Sermones , 1, 2, 107s.). Ed è proprio questo epigramma di Callimaco che fornisce ad Ovidio (in un componimento degli Amores  tutto impegnato a redigere il codice della perfetta relazione galante) il motto che può rappresentare emblematicamente la tormentata forma dell'amore elegiaco: quod sequitur, fugio; quod fugit, ipse sequor  (2, 20, 36)" [149] , evito ciò che mi segue, seguo ciò che mi evita.
 E' questo un luogo comune dell'amore, o, forse, della non praticabilità dell'amore.
Sentiamo qualche altra testimonianza. Nella commedia La locandiera (del 1753) Goldoni fa dire alla protagonista,  Mirandolina, in un monologo."Quei che mi corrono dietro, presto mi annoiano" (I, 9).
Una situazione analoga troviamo ne Il giocatore di Dostoevskij dove il protagonista dichiara il suo amore a Polina in questi termini:"Lei sa bene che cosa mi ha assorbito tutto intero. Siccome non ho nessuna speranza e ai suoi occhi sono uno zero, glielo dico francamente: io vedo soltanto lei dappertutto, e tutto il resto mi è indifferente. Come e perché io l'amo non lo so. Sa che forse lei non è affatto bella. Può credere o no che io non so neppure se lei sia bella o no, neanche di viso? Probabilmente il suo cuore non è buono e l'intelletto non è nobile; questo è molto probabile" [150] .
Proust nel V e terzultimo volume della Ricerca, conclusa negli ultimi mesi di vita (tra il 1921 e il 1922) esprime lo stesso concetto:"Qualsiasi essere amato-anzi, in una certa misura, qualsiasi essere-è per noi simile a Giano: se ci abbandona, ci presenta la faccia che ci attira; se lo sappiamo a nostra perpetua disposizione, la faccia che ci annoia" [151] .
L'analogia con il cacciatore può essere estesa a quella con il raccoglitore di fiori. Il fiore raccolto non è più amabile. Molto note sono le ottave dell'Orlando furioso:"La verginella è simile alla rosa,/ch'in bel giardin su la nativa spina/mentre sola e sicura si riposa,/né gregge né pastor se le avicina;/l'aura soave e l'alba rugiadosa,/l'acqua, la terra al suo favor s'inchina:/gioveni vaghi e donne innamorate/amano averne e seni e tempie ornate.//Ma non sì tosto dal materno stelo/rimossa viene, e dal suo ceppo verde,/che quanto avea dagli uomini e dal cielo/favor, grazia e bellezza, tutto perde./La vergine che 'l fior, di che più zelo/che de' begli occhi e de la vita aver de',/lascia altrui còrre, il pregio ch'avea inanti/perde nel cor di tutti gli altri amanti" (I, 42-43).
Meno noti sono  forse il sentimento e la riflessione di Vrònskij dopo che ha realizzato il suo sogno d'amore con Anna Karenina:"Lui la guardava come un uomo guarda un fiore che ha strappato, già tutto appassito, in cui riconosce con difficoltà la bellezza per la quale l'ha strappato e distrutto" [152]
 Gozzano, su questa linea, sospira con ironia:" Il mio sogno è nutrito d'abbandono,/di rimpianto. Non amo che le rose/ che non colsi" [153] .
 Sentiamo infine C. Pavese:"Ma questa è la più atroce: l'arte della vita consiste nel nascondere alle persone più care la propria gioia di esser con loro, altrimenti si perdono" [154] .
 
Altro rimedio atto a deporre l'amore è quello, suggerito al poeta da Cupido in sogno, di porre mente ad altri tormenti:"ad mala quisque animum referat sua: ponet amorem/omnibus illa deus plusve minusve dedit " (vv. 559-560), ciascuno volga l'attenzione ai propri guai: deporrà l'amore, a tutti più o meno il dio ne ha dati. Ne vengono elencati alcuni, dal denaro prestato, al padre severo (durus pater, 563) al figlio sotto le armi (filius miles) alla figlia da sposare (filia nubilis, v. 571). "Et quis non causas mille doloris habet?/Ut posses odisse tuam, Pari, funera fratrum/debueras oculis substituisse tuis " (vv. 572-574), e chi non ha mille cause di sofferenza? Per potere odiare la tua amante, Paride, avresti dovuto metterti davanti agli occhi le morti dei fratelli. E' questo il sistema di scacciare un dolore con un altro dolore cui si può rispondere con un sarcasmo usato da Pavese due giorni prima di uccidersi:"chiodo schiaccia chiodo, ma quattro chiodi fanno una croce" [155] . Del resto i dolori e i desideri per essere superati vanno attraversati moralmente, e non repressi, altrimenti esplodono più tardi nella follia, come succede al protagonista della Morte a Venezia  di T. Mann, la cui "rigida, disciplinata integrità" non lo tutela dall'esplosione degli "istinti oscuri" che anzi lo travolgono e lo stendono:"Si abbandonò su una panchina; stravolto aspirò il profumo notturno degli alberi. "Ti amo!" sussurrò lasciando cadere le braccia, riverso, sopraffatto, assalito da ricorrenti brividi. Era la formula stereotipa del desiderio: assurda in quel caso, grottesca, turpe, ridicola, e tuttavia sacra e venerabile" [156] .  
Il  consiglio successivo è "loca sola caveto " (v. 579), guardati dai luoghi solitari. Gli amici, perfino la folla aiutano a dimenticare.
Fillide, Arianna e la catena letteraria.
 Segue l'esempio di Fillide  ( 591-608) , un altro caso di donna abbandonata trattato anche altrove da Ovidio. Possiamo soffermarci un poco su questa "vaga donzella", come la chiamerà il Parini, e ampliare con lei la tipologia della ragazza abbandonata.
 La seconda delle Heroides  è una lettera di Fillide, principessa tracia, a Demofoonte il figlio di Teseo che trovò ospitalità presso di lei, poi l'abbandonò, come aveva fatto il padre con Arianna la quale se ne duole nella X delle Heroides .
 Il lamento di Fillide rinfaccia a Demofoonte gli spergiuri e la rottura della fides :" Iura, fides ubi nunc commissaque dextera dextrae,/quique erat in falso plurimus ore deus? " (Heroides , II, 31-32), dove sono ora i giuramenti, la fede promessa, la destra stretta alla destra, e tutti gli dèi che si trovavano nella tua bocca bugiarda?
 La fanciulla spera che Demofoonte, al cospetto di Teseo che fu non solo il seduttore di Arianna ma anche un vincitore di mostri, venga ricordato soltanto per questa impresa non nobile: avere ingannato una fanciulla:"Fallere credentem non est operosa puellam/gloria; simplicitas digna favore fuit./Sum decepta tuis et amans et femina verbis;/di faciant laudis summa sit ista tuae " (Heroides , II, vv. 63-66), non è gloria produttiva ingannare una fanciulla credula; la semplicità doveva essere degna di protezione. Sono stata ingannata dalle tue parole in quanto innamorata e in quanto donna: gli dèi facciano che questo sia il colmo della tua gloria.
 Infine la ragazza minaccia il suicidio la cui responsabilità dovrà ricadere sul seduttore, tanto che sul sepolcro dovrà essere scritto:"Phyllida Demophoon leto dedit hospes amantem/ille necis causam praebuit ipsa manum " (Heroides , II, vv. 147-148), Demofoonte da ospite ha fatto morire  Fillide che lo amava; egli fornì il motivo della morte, lei stessa la mano.
Ebbene nei Remedia Amoris  Ovidio, tornando sull'argomento, sostiene che Fillide fu uccisa dalla solitudine:"Certa necis causa est; incomitata fuit "(v. 592), la causa della morte è certa: rimase senza compagne. Vagava come la schiera barbara delle menadi che ogni tre anni festeggia Bacco, ma da sola.
 La solitudine in generale è vista più negativamente dagli antichi che dai moderni.
Fondamentale su questo argomento mi sembra una riflessione di  Kierkegaard
 che prende spunto dal Filottete di Sofocle il quale, abbandonato su un'isola deserta, si lamenta di essere movno" (v. 227), e [rhmo"ka [filo" (v. 228) solo, abbandonato e senza amici. Ebbene ill filosofo danese, in Enten Eller,  nota che" il mondo antico non aveva la soggettività riflessa in sé. Benché si muovesse liberamente, l'individuo restava nell'ambito delle determinazioni sostanziali, nello stato, nella famiglia, nel fato… La riflessione di Filottete non si sprofonda in se stessa, ed è tipicamente greco che egli si dolga che nessuno sia a conoscenza del suo dolore. Si ha qui una grande verità, e proprio qui si vede anche la differenza con il vero e proprio dolore riflessivo, che sempre desidera d'esser solo con il suo dolore, e che nella solitudine di questo dolore cerca sempre un nuovo dolore" [157] . La fuga nell'interiorità veramente è già una necessità in Seneca il quale, costretto a ritirarsi negli "studia...in umbra educata " [158] , consiglia :"fuge multitudinem, fuge paucitatem, fuge etiam unum " (epist., 10, 1 ), evita la folla, evita la compagnia di poche persone e anche quella di una sola.
 Altrettanto decisamente Nietzsche esprime il punto di vista dell'uomo strutturalmente solo e desocializzato :"C'è da dir male anche di chi soffre per la solitudine-io ho sempre e solamente sofferto per la "moltitudine" [159] .
La Zambrano chiama questa attitudine "individualismo moderno" che "ci ha abituati a credere di vivere da soli". Eppure "nella vita umana non si rimane soli eccetto negli istanti in cui la solitudine si fa, si crea. La solitudine è una conquista metafisica, perché nessuno sta solo, ma deve riuscire a creare la solitudine dentro di sé, nei momenti in cui è necessaria per la crescita. I mistici parlano di solitudine come di qualcosa per la quale bisogna passare, punto di partenza della "ascesi", cioè, della morte, di quella morte che, secondo loro, bisogna morire prima dell'altra, per vedersi, alla fine, in un altro specchio. La visione del prossimo è specchio della propria vita; ci vediamo vedendolo. E la visione del simile è necessaria proprio perché l'uomo ha bisogno di vedersi. Non sembra che esista nessun animale che necessiti di contemplare la sua figura nello specchio. L'uomo cerca di vedersi. E vive appieno quando si guarda, non nello specchio morto che gli restituisce la propria immagine, ma quando si vede vivere nello specchio vivo del simile. Soltanto vedendomi nell'altro mi vedo realmente, soltanto nello specchio di un'altra vita simile alla mia acquisisco la certezza della mia realtà" [160] .

La ragazza di Tracia è modellata su quella cretese, e, più in generale, sul tipo della donna abbandonata che abbiamo visto:"Perfide Demophoon!" surdas clamabat ad undas,/ruptaque singultu verba loquentis erant" (Remedia Amoris ,vv. 597-598), perfido Demofoonte! gridava alle insensibili onde, e le parole di lei erano rotte dai singhiozzi. Il vocativo perfide lo abbiamo già trovato nel lamento dell'Arianna di Catullo (64, 132), in quello della Didone virgiliana (Eneide , IV, 305) che è pure assimilata a una menade (Eneide, IV, 300). Abbiamo indicato la presenza dell' epiteto ingiurioso in bocca alla figlia di Minosse pure nei Fasti  (III, 473). Ovidio presenta Arianna, l'archetipo della ragazza abbandonata, anche nella X delle Heroides dove la figlia di Minosse, trovatasi sola sulla riva del mare, grida al traditore:"Quo fugis?…Scelerate revertere Theseu!/Flecte ratem! Numerum non habet illa suum! " (vv. 37-38), dove fuggi? torna indietro scellerato Teseo, volgi la nave che non ha il numero completo! In questa lettera il canonico perfide è indirizzato al lectulus , il giaciglio traditore (v. 60). Pure  nell'Ars Amatoria c'è un'Arianna  che piange davanti alle onde e grida parole simili a quelle di Fillide:"Thesea crudelem surdas clamabat ad undas "(I, 529), proclamava la crudeltà di Teseo alle onde che non ascoltavano, e piangeva, senza tuttavia diventare più brutta per le sue lacrime:"non facta est lacrimis turpior illa suis " (v. 532). La variante delle lacrime belle che attireranno Dioniso non impedisce a Ovidio l'uso dell'aggettivo topico:"Perfidus ille abiit:quid mihi fiet?" ait;/"Quid mihi fiet?" ait; sonuerunt cymbala toto/litore et attonita tympana pulsa manu" (Ars Amatoria, I, 534-536), quel traditore se n'è andato. Cosa sarà di me? dice, cosa sarà di me?, dice; risuonarono i cembali su tutta la spiaggia e tamburelli battuti da mani frenetiche.
Ho ripreso il tovpo"  già trattato per mostrare ancora una volta il funzionamento della catena letteraria; anzi aggiungo una nota della Lazzarini la quale sostiene che "l'archetipo della iunctura perfide Demophoon è probabilmente Callimaco, Aetia 556 Pf. nymphie Demophoon, adike xene  ("perfido Demofoonte, ospite traditore)" [161]  . Ricordo pure un'eco dal bel suono presente ne Il Giorno del Parini il quale utilizza una versione del mito data da Servio (In Verg. Buc. 5, 10) secondo cui  la ragazza si impiccò e fu trasformata in un mandorlo privo di foglie che nacquero quando Demofoonte tornò  :"e qual ti porge/il macinato di quell'arbor frutto/che a Ròdope fu già vaga donzella,/e chiama in van sotto mutate spoglie/Demofoonte ancor Demofoonte" [162] .
 Adesso però è già tempo di tornare ai Remedia Amoris .   
   E' bene dunque evitare i luoghi isolati poiché questi incrementano la furia amorosa:"augent secreta furores" (v. 581); dopo l'esempio di Fillide, devono temere le solitudini tanto gli uomini feriti dalle padrone dei loro cuori, quanto le ragazze ferite dagli uomini:"Phyllidis exemplo nimium secreta timete,/laese vir a domina, laesa puella a viro" (vv. 607-608). Un'altra cosa da evitare è il contagio amoroso:"facito contagia vites" (v. 613). L'imperativo futuro conferisce una sanzione legale alla prescrizione. Ho già ricordato che Proust userà la metafora del  "bacillo virgola" [163] ; ebbene secondo Ovidio il germe patogeno può essere preso anche dal contatto con altri innamorati. Per argomentare questa tesi il poeta fa seguire un verso che rivela come l'amore di cui egli tratta sia solo corporale e quindi i suoi precetti servano probabilmente a evitare quella "ossessione carnale" che Benedetto Croce trovava in D'Annunzio:"haec etiam pecori saepe nocere solent"(v. 614), questo (cioè il contagio, contagia ) suole nuocere anche al bestiame. Ma soprattutto bisogna evitare la vicinanza della domina, altrimenti succederà come a un tale che sembrava guarito:"vulnus in antiquum rediit mala firma cicatrix/successumque artes non habuere meae " (v. 623-624), la cicatrice poco solida tornò all'antica ferita e le mie arti non ebbero successo. Il maestro d'amore si comporta come un medico che rimprovera il paziente poiché questo non ha seguito le sue prescrizioni. Poi torna l'assimilazione dell'uomo innamorato all'animale in foia:"non facile est taurum visa retinere iuvenca;/fortis equus visae semper adhinnit equae" (vv. 633-634), non è facile trattenere il toro quando ha visto una giovenca; il cavallo vigoroso nitrisce sempre verso la cavalla vista. E' il tema che abbiamo già trattato dell'amor omnibus idem, e, forse, nel nitrito quasi automatico del cavallo eccitato, cè il ricordo dell'episodio erodoteo (III, 86) della conquista del regno persiano da parte di Dario. Insomma se vuoi emanciparti dalla domina , evita tutto quello che te la fa venire in mente. Non nominarla nemmeno per dire che non l'ami più:"et malim taceas quam te desisse loquaris;/qui nimium multis "non amo" dicit, amat" (vv. 647-648), preferirei che tu tacessi piuttosto che dire di avere smesso; chi a troppa gente dice "non amo", ama.  Questo è uno dei loci della poesia amorosa  risalente a Catullo:"verbosa gaudet Venus loquella"(55, 20), Venere gode di un parlare prolisso. Parlare spesso di una persona, perfino farlo in maniera ingiuriosa è, infatti, segno d'amore:"irata est;hoc est, uritur et loquitur" (Catullo, 83, 6), ce l'ha con me; ossia brucia e parla.
L'amore insomma deve finire per esaurimento, a poco a poco (paulatim, Remedia Amoris, 649) :"lente desine, tutus eris" (650), smetti lentamente, sarai salvo. Seguono versi (655-658)  che abbiamo già citato a proposito della non opportunità di odiare chi pure amiamo o abbiamo amato: questa è cosa scellerata (scelus, v. 655), brutta e vergognosa:" turpe vir et mulier, iuncti modo, protinus hostes" (v. 659), è indecente che un uomo e una donna, fino a poco prima uniti, subito dopo divengano nemici. Così il misei'n-filei'n viene rifiutato non solo sincronicamente ma anche in una successione di momenti diversi. Oltre essere turpe questo odi et amo non è produttivo, e non è indicativo di emancipazione dall'amore:"Saepe reas faciunt et amant" (v. 661), spesso le accusano e amano. Senza contare le relazioni e i matrimoni che finiscono in tribunale con danni di tutti i generi:"Tutius est aptumque magis discedere pace/nec petere a thalamis litigiosa fora./Munera, quae dederas, habeat sine lite iubeto;/esse solent magno damna minora bono" (vv. 669-672), è più sicuro e più conveniente separarsi in pace, e non passare dal talamo ai processi del foro. I doni che le avevi fatto, lascia che se li tenga senza contesa; di solito le perdite sono inferiori a un bene grande. Che è poi quello di evitare giudici e avvocati il cui motto è da sempre:"dum pendet, rendet ". Bisogna imparare a diventare indifferenti agli artifici, alle lusinghe, alle speranze cui siamo sensibili poiché piacciamo a noi stessi:"Desinimus tarde, quia nos speramus amari; dum sibi quisque placet, credula turba sumus " (vv. 685-686), smettiamo tardi poiché speriamo di essere amati; finché ciascuno di noi piace a se stesso, siamo una massa di creduloni.
Su questo punto voglio confutare Ovidio. Con parole mie posso dire che se uno non piace a se stesso non solo non può piacere agli altri, ma nemmeno gli altri possono piacergli. Aggiungo, guidato da W. Jaeger, che Aristotele, nell'Etica Nicomachea , (IX 8) esprime un alto apprezzamento della filautiva, cioè dell'amore di sé che non è triviale egoismo, al contrario. "Le parole stesse d'Aristotele c'insegnano senza equivoco possibile ch'egli ha invece l'occhio rivolto anzitutto, per l'appunto, ad atti del più eccelso eroismo morale: chi ama se stesso deve essere instancabile nell'adoprarsi in pro degli amici, sacrificarsi per la patria, cedere volonteroso denaro, beni ed onore "facendo suo il Bello in se stesso…Invero vivere breve tempo in somma gioia sarà preferito, da chi sia animato da tale amor di sé, ad una lunga esistenza in pigra quiete. Egli vivrà piuttosto un anno solo per uno scopo elevato, che non condurre una lunga vita per nulla. Compirà piuttosto un'unica magnifica e grande azione, che non molte insignificanti" [164] . In queste parole è espressa la fondamentale concezione della vita dei Greci, nella quale ci sentiamo loro affini d'indole e di razza: l'eroismo" [165] .
Un'altra insidia da cui dobbiamo guardarci secondo Ovidio è quella delle lacrime femminili:"Neve puellarum lacrimis moveare caveto;/ut flerent, oculos erudiere suos" (vv. 689-690), e bada di non farti commuovere dalle lacrime delle ragazze; hanno ammaestrato i loro occhi a piangere (moveare=movearis, erudiere=erudierunt).
E' questo un altro luogo comune della diffidenza verso le donne. Lo troviamo nel Coriolano di Shakespeare quando Tullo Aufidio, comandante dei Volsci, dice:" Per qualche goccia di lacrime di donna che sono a buon mercato come le bugie, egli ha venduto il sangue e la fatica della nostra grande impresa. Perciò deve morire" (V, 6).
Eppure le lacrime vanno rivalutate poiché testimoniano, al pari dei sorrisi, dell'unità del genere umano:"l'unità cerebrale dell'Homo sapiens si manifesta nell'organizzazione del suo cervello, unico in rapporto agli altri primati; c'è infine un'unità psicologica e affettiva: certo, le risa, le lacrime, i sorrisi sono modulati diversamente, inibiti o esibiti a seconda delle culture, ma, malgrado l'estrema diversità di queste culture e dei modelli di personalità imposti, risa, lacrime, sorrisi sono universali e il loro carattere innato si manifesta nei sordo-muti-ciechi dalla nascita, che sorridono e piangono senza aver potuto imitare nessuno" [166] .
 Le lacrime manifestano commozione e la creano. Alcuni autori hanno simpatia per le lacrime: Euripide è stimolato a comporre dal carattere patetico del soggetto: al drammaturgo ateniese, come a Virgilio [167] , interessano le situazioni che grondano pianto. Il piangere, come scarso controllo delle situazioni, come uscita dalla realtà, può essere consolatorio :"come sono dolci le lacrime  per quelli che vivono male (wJ" hJdu; davkrua toi'" kakw'" pepragovsi )/e i lamenti dei pianti e una musa che narri il dolore " afferma il coro delle Troiane (vv. 608-609).
La razionalità viene sopraffatta dal patetico e dal pianto che può essere pure piacevole:"avanti, ridesta lo stesso lamento/solleva il piacere che viene dalle molte lacrime (a [nage poluvdakrun aJdonavn)", si esorta Elettra  nella tragedia euripidea di cui è eponima (vv. 125-126).
 Nell'Elena  Menelao che ha ritrovato Elena dichiara il suo amore e la sua felicità con il pianto: "le mie lacrime  sono motivo di gioia: hanno più/dolcezza che dolore"(654-655).
La confusione e la mescolanza dei sentimenti, la voluttà delle lacrime  è reperibile pure in D'Annunzio: Tullio Hermil, ebbro di sentimenti buoni e amorosi per Giuliana prima di scoprirla impura, ne beve le lacrime con felice voluttà:"-Oh, lasciami bere- io pregai. E, rilevandomi, accostai le mie labbra ai suoi cigli, le bagnai nel suo pianto" [168] .

Il pentametro del distico successivo dei Remedia Amoris  ricorda un'immagine dell'Edipo a Colono:"Artibus innumeris mens oppugnatur amantum,/ut lapis aequoreis undique pulsus aquis" (vv. 691-692), l'animo di chi ama è assalito da innumerevoli artifici, come uno scoglio battuto da tutte le parti dalle onde marine. Nel III Stasimo dell'ultima tragedia di Sofocle, il coro, dopo un'affermazione di sapienza silenica con relativo rifiuto di tutta la  vita e della vecchiaia in particolare, paragona l'anziano profugo cieco colpito da sciagure terribili a una scogliera boreale che battuta dalle onde da tutte le parti viene percossa d'inverno ( "pavntoqen bovreio" w{" , ti" ajkta;-kumatoplh;x ceimeriva klonei''''taiEdipo a Colono, 1240-1241).
 Segue il consiglio del silenzio:"Qui silet, est firmus; qui dicit multa puellae/probra, satisfieri postulat ille sibi" (697-698), chi tace è saldo; chi muove molti rimproveri alla sua fanciulla, pretende giustificazioni. Nell'amore l'unica giustificazione è l'amore stesso e la medesima cosa si può dire per il non amore.
 Bisogna evitare tutte le occasioni di ricaduta: non rileggere le lettere:"scripta cave relegas blandae servata puellae;/constantis animos scripta relecta movent" (717-718), guardati dal rileggere gli scritti messi da parte della ragazza quando era carezzevole; gli scritti riletti commuovono anche animi forti. Infatti gli scritti del passato esprimono stati d'animo passati. Ovviamente constantis=constantes. Segue un'immagine che potremmo definire "protobarocca" poiché Ovidio consiglia di fare bruciare l'ardore amoroso interno da un fuoco divoratore esterno:"Omnia pone feros-pones invitus-in ignes/et dic "Ardoris sit rogus iste mei" (vv. 719-720), getta tutto nel fuoco divampante, lo getterai contro voglia, e di' :"questo sia il rogo del mio ardore.
Per rendere più concreta l'immagine e spiegare che non è impossibile buttare nelle fiamme una parte di se stessi, Ovidio ricorre a un esempio mitico: quello di Altea la quale gettò nel fuoco la vita del proprio figliolo Meleagro, ossia un tizzone spento dalla cui conservazione dipendeva il proseguimento della vita del giovane che aveva fatto infuriare la madre uccidendone il fratello. Una specie di contaminatio tra Medea e Antigone.  Altro rischio di ricaduta sta nella vicinanza delle immagini che vanno allontanate:"Si potes et ceras remove; quid imagine muta/carperis? hoc periit Laudamia modo" (vv. 723-724), se puoi allontana anche le immagini; perché ti lasci afferrare da un muto ritratto? in questo modo morì Laodamia. Questa donna, rimasta vedova del marito Protesilao , primo caduto tra i Greci sbarcati a Troia, cercò di consolarsi della perdita  con un manichino di  cera che abbracciava di nascosto. Quando il padre se ne accorse e gettò quel funereo surrogato nel fuoco, la donna lo seguì. Un altro mito di amore e morte. Se ne trova un'eco nell'Alcesti di Euripide quando   Admeto promette alla sposa morente che non prenderà in casa un'altra femmina umana in carne ed ossa ma si farà costruire una bambola simile a lei e la abbraccerà nel loro letto invocando il suo nome:"yucra;n mevn, oi'Jmai, tevryin" (v. 353), gelida gioia, credo.

 Anche i luoghi dell'amore perduto bisogna evitare:"Et loca saepe nocent; fugito loca conscia vestri/concubitus; causas illa doloris habent./"Hic fuit; hic cubuit; talamo dormiimus  illo;/ hic mihi lasciva gaudia nocte dedit"./ Admonitu refricatur amor vulnusque novatum/scinditur; infirmis culpa pusilla nocet" (vv. 725-730), anche i luoghi spesso -fanno male; evita i luoghi consci della vostra unione; quelli conservano motivi di dolore. " Qui è stata; qui si è stesa; in quel letto abbiamo dormito; qui mi ha dato gioie in una notte sfrenata". Dal ricordo viene ravvivato l'amore e la ferita rinnovata si riapre; ai malati fa male un errore pur piccolo.    
-nocent...nocet: pure questo termine, etimologicamente imparentato con nex, necis , "uccisione", con pernicies, rovina, e con il greco nevku" , morto, nevkuia , evocazione dei morti, richiama l'idea insistente della negazione della vita sempre presente in questo rimpianto," vano pascolo d'uno spirito disoccupato" [169] .-loca conscia: i luoghi al corrente delle nostre azioni o dei nostri pensieri echeggiano i fatti di cui sono stati testimoni. Leopardi attribuisce la coscienza delle sue notti travagliose al letto dove le passava:"sul conscio letto, dolorosamente/alla fioca lucerna poetando…" (Le Ricordanze, vv. 115-116), con un nesso però che risale piuttosto ad Apuleio il quale fa dire a un personaggio del suo romanzo:"gratabule, inquam, animo meo carissime, qui mecum tot aerumnas exanclasti, conscius et arbiter quae nocte gesta sunt…" ( Metamorfosi, I, 16), lettuccio, dico, carissimo all'animo mio, che con me tante tribolazioni hai sopportato, conscio e giudice di quanto è stato fatto questa notte.-gaudia…vulnusque novatum scinditur : è un'operazione contraria a quella del tw''''''''// pavqei mavqo" ossia della ferita che deve  fiorire" in tanta luce" [170] : la gioia, non autentica, non profonda, solo epidermica, si capovolge in ferita.
Segue il rapporto cenere-fuoco-amore. Questa volta però leggiamolo prima in un moderno: il protagonista de Il piacere (del 1889)  si sente ravvivato dalla visione di "Donna Maria…per Andrea quella signora alta e ondulante sotto il mantello di viaggio e velata, di cui egli non vedeva che la bocca e il mento, ebbe una profonda seduzione. Tutto il suo essere, illuso in quei giorni da una parvenza di liberazione, era disposto ad accogliere il fascino dell' "eterno feminino". Appena smosse da un soffio di donna, le ceneri davano faville" [171] .
Ora vediamo quello che potrebbe essere il modello dell'immagine dannunziana:"Ut, paene extinctum cinerem si sulphure tangas, /vivet et e minimo maximus ignis erit,/ sic, nisi vitaris quidquid renovabit amorem,/ flamma redardescet, quae modo nulla fuit" (vv. 731-734), come se attizzi con lo zolfo la cenere quasi spenta essa si ravviverà e da un piccolissima scintilla verrà una grandissima vampa, così, se non avrai schivato tutto ciò che rinnovellerà l'amore, la fiamma che poco prima era sparita di nuovo divamperà.-vitaris=vitaveris.
Nemmeno il poeta di Sulmona che dall'esilio definirà se stesso " tenerorum lusor amorum" [172] , lieto cantore dei teneri amori, riesce a trovare sempre qualche cosa di festoso nella fiamma erotica. Segue un'affermazione di stampo platonico: la ricchezza è un'occasione per l'amore sregolato il quale ne viene nutrito:"divitiis alitur luxuriosus amor " (v. 746). Vengono fatti gli esempi delle famose cretesi lussuriose, Pasife e Fedra, che se fossero state povere come Ecale e Iro non sarebbero arrivati ai noti eccessi:"Nempe quod alter egens, altera pauper erat " (v. 748), evidentemente poiché uno era povero, e l'altra possedeva poco. Ecale é la vecchietta che, nell' omonimo epillio di Callimaco, diede ospitalità a Teseo, e Iro il pitocco di Itaca steso da Odisseo.
Un platonismo applicato all'eros, si diceva: infatti il filosofo, nel Gorgia, denuncia il potere, e quindi anche la ricchezza ad esso congiunta, come occasione per fare il male e pone i tiranni tra i grandi criminali incurabili (ajjjjnivatoi, 525c) poiché hanno commesso i delitti più atroci e non espiabili. Costoro, non potendo più redimersi, servono come paradeivgmata, esempi negativi per gli altri, stando sospesi nel carcere dell'Ade. Tra questi contromodelli ci sarà il despota Archelao [173]  e quanti altri, tiranni, re, dinasti e politici, sono portati dal loro stesso potere a delinquere gravemente. Per avallare questa affermazione è chiamato in causa Omero che ha rappresentato Tantalo, Sisifo e Tizio "ejn   {{Aidou to;n ajei; crovnon timwroumevnou""(525e), puniti nell'Ade per sempre: questi erano appunto re e dinasti; mentre Tersite, e chiunque altro sia stato malvagio da privato cittadino ("ijdiwvth"") non ha avuto occasione di fare tanto male, e per questo si può considerare più fortunato dei potenti dai quali provengono "oiJ sfovdra ponhroiv" (526a) quelli malvagi assai.
Non per questo Ovidio consiglia la povertà:"Non habet unde suum paupertas pascat amorem;/non tamen hoc tanti est, pauper ut esse velis" (vv. 749- 750), la povertà non ha nulla con cui possa nutrire l'amore; tuttavia questo fatto non è tanto importante da voler essere povero. Sembra che il poeta propenda per quella teoria della classe media che abbiamo indicato in Euripide.
 Ovidio procede esortando a non frequentare i teatri finché ci si vuole liberare dall'amore :" Enervant animos citharae lotosque lyraeque/et vox et numeris bracchia mota suis" (753-754), stremano la volontà le cetre il flauto e le lire e il canto e le braccia mosse secondo i ritmi impressi. Si ricorderà che nell'Ars (I, 89 ) il poeta aveva consigliato il predatore erotico di andare a caccia soprattutto nei teatri, ma in quel contesto la condizione spirituale dell'allievo era diversa, e il maestro deve dare prova di flessibilità nell'interesse del discepolo. Questo è così preminente che Ovidio arriva, pur controvoglia, a sconsigliare i poeti d'amore:"Eloquar invitus; teneros ne tange poetas" (v. 757). Segue una rassegna di questi poeti teneri che inteneriscono l'animo quando questo al contrario si deve indurire. Li conosciamo quasi tutti; possiamo ripassarli nella prospettiva ovidiana.
"Callimachum fugito; non est inimicus Amori;/et cum Callimacho tu quoque, Coe, noces./Me certe Sappho meliorem fecit amicae,/nec rigidos mores Teia musa dedit./Carmina quis potuit tuto legisse Tibulli,/vel tua, cuius opus Cynthia sola fuit?/Quis poterit lecto durus discedere Gallo?/Et mea nescio quid carmina tale sonant" (vv. 759-766), evita Callimaco; non è ostile all'amore; e con Callimaco anche tu fai danni, poeta di Cos. Certamente Saffo mi ha reso più generoso con l'amica, né la musa di Teo ha prescritto costumi severi. Chi ha potuto leggere le elegie di Tibullo restando al sicuro, o le tue la cui occupazione fu la sola Cinzia? Chi potrà allontanarsi insensibile dopo avere letto Gallo? Anche le mie poesie echeggiano un non so che di simile.-fugito: il solito imperativo futuro delle prescrizioni e delle massime.-inimicus amori : Callimaco non è contrario all'amore ma certamente la sua poesia non è incline al pathos erotico, come nota Snell. L'autore de La cultura greca e le origini del pensiero europeo prende in considerazione alcuni epigrammi del poeta di Cirene, tra cui quello già citato (Anth. Pal. XII, 102) del suo amore che, come il cacciatore, insegue chi fugge mentre passa oltre chi gli giace disteso davanti. Un altro epigramma emblematico (A. P. XII, 134) è quello in cui il poeta nota i segni dell'amore doloroso di un commensale per vederci il proprio:"fwro;" dj j i [cnia fw;r e [maqon", io ladro, riconosco le tracce del ladro.
"Egli descrive dunque l'amore altrui solo per poter confessare il proprio…Per mezzo di questa forma indiretta Callimaco ha evitato l'espressione patetica "io amo"; la confessione ne risulta ironicamente spezzata, e sembra che la dichiarazione d'amore gli sia sfuggita per caso" [174] .-Coe: il poeta di Cos è Filita (IV-III sec. a. C.) ritenuto con Callimaco maestro della nuova poesia alessandrina. Properzio  invoca insieme i mani dei due poeti perché lo lascino entrare nella loro selva sacra (III, 1, 1-2).-Teia musa: è quella di Anacreonte, nato a Teo, nella Ionia, e vissuto all'incirca tra il 570 e il 485 a. C. Frequentò i tiranni Policrate di Samo e Ipparco di Atene.-rigidos mores: infatti nell'opera di Anacreonte prevale la cavri" , la grazia:"cariventa mevn g  jjjj ajeivdw, cariventa d  j  oi\\\\\\\'jda\\\\\\\ ( manca accento circonflesso)  levxai (fr. 32 D., v. 2), canto cose piacevoli, parole piacevoli so dire.
Contro l'irrigidimento mentale, o morale o presunto tale, usa una bella immagine Emone nell'Antigone quando cerca di indurre il padre a una maggiore flessibilità, intesa come mitezza [175] :"Tu vedi presso le correnti gonfie come,/quanti tra gli alberi si piegano, salvano i rami, /mentre i renitenti sono annientati  con le stesse radici" (vv. 712-714) . Gli fa eco H. Hesse:" L'universale torrente delle forme, quello che Dio aspirava insieme con l'altro, ovvero che Dio espirava, continuava a scaturire. Klein vedeva esseri che si opponevano alla corrente e tra paurose convulsioni si inalberavano procurandosi orrendi dolori: eroi, delinquenti, pazzi, pensatori, amanti, religiosi" [176] .
-Tibulli: il poeta nell'elegia proemiale (I, 19) in effetti si presenta, in contrapposizione al guerriero Messalla Corvino, suo amico e protettore del resto, come un servo legato e umiliato da Delia:"me retinent vinctum formosae vincla puellae,/et sedeo duras ianitor ante fores" (vv. 55-56), mi trattengono legato le catene della bella fanciulla, e siedo come portiere davanti ai duri battenti.-tua (sott. carmina): di Properzio.-Cyntia sola fuit: echeggia le dichiarazioni dello stesso poeta nel monovbiblo" , il primo dei quattro libri di elegie, pubblicato nel 28 a. C. "Tu mihi sola domus, tu, Cynthia, sola parentes (I, 11, 23) , tu sola sei per me, Cinzia, la casa, sola i genitori, e, nell'elegia successiva i già citati vv. 19-20 che escludono tutte le altre donne. Siccome questi tovpoi amorosi si ripetono, in tutti i tempi, a vari livelli, ricordo una canzone di amore struggente, molto in voga nei primi anni sessanta, L'uomo del banjo, che faceva:" è lei la prima e l'ultima, che cosa mai ci avrà?/ è lei la più difficile che solo male mi fa!". Nihil novi sub sole !.-lecto…Gallo: ablativo assoluto. E' il primo elegiaco del canone di Quintiliano che attribuisce grande credito a questi poeti:"elegia quoque Graecos provocamus"( Institutio oratoria, X, 10, 93), anche  nell'elegia sfidiamo i Greci. Noi lo conosciamo attraverso la mediazione di Virgilio, della quale si è già parlato, e per pochi versi che contengono già le parole chiave dell'elegia latina:domina, servitium amoris, nequitia "che definisce uno dei caratteri distintivi di questa vita vissuta con sofferenza contro i valori portanti della morale quiritaria" [177]
Conte avverte che l'attribuzione a Gallo di otto dei nove versi, trovati di recente, è dubbia; "ma certo questi frammenti papiracei ci consegnano un'immagine di Gallo vicina a quella tramandataci da Virgilio, e sembrano confermare la sua importanza come mediatore fra neoterismo ed elegia augustea" [178] .  Ovidio nei Tristia, ricapitolando la sua vita, riconoscerà a Gallo il primo posto nell'elegia, almeno in ordine di tempo:"Vergilium vidi tantum, nec avara Tibullo/tempus amicitiae fata dedere meae./Successor fuit hic tibi, Galle, Propertius illi,/quartus ab his serie temporis ipse fui" ( IV, 10, 51-54), Virgilio lo vidi soltanto, né il destino avaro concesse tempo per la mia amicizia a Tibullo [179] . Egli successe a te Gallo e Properzio a lui, quarto dopo questi in ordine di tempo fui io.- nescio quid : è il vago e l'indefinito che ogni poesia deve avere. Lo ha chiarito Leopardi che del resto non è un estimatore di Ovidio:  sostiene sia un poeta che descrive piuttosto che dipingere come Virgilio o scolpire come Dante [180]   e che "si lasciava trasportare dalla sua vena e copia, con poco uso della lima, siccome p. lo stile, così p. la lingua" [181] . E più avanti:"ei non ha maggior intento né più grave, anzi a null'altro mira, che descrivere, ed eccitare e seminare immagini e pitturine, e figure, e rappresentare continuamente" (p. 3480). Io credo che il pur grandissimo recanatese non avesse gli strumenti extraletterari per capire Ovidio.
Altro  motivo di sofferenza, anzi il più grande, è la gelosia causata dalla presenza di un rivale:" aemulus est nostri maxima causa mali" (v. 768). Di questa piovra del cervello abbiamo già detto; il rimedio suggerito da Ovidio è quello di non figurarsi alcun rivale e di pensare che lei dorma sola nel letto:" At tu rivalem noli tibi fingere quemquam/inque suo solam crede iacere toro" (vv. 769-770). Sappiamo da Saffo, e dall'esperienza. che difficilmente la donna lo fa volentieri: "E' tramontata la luna/e le Pleiadi; è a metà/
 la notte [182] , trascorre la giovinezza/e io dormo sola" [183]  ( fr. 94D.).
 La presenza di un rivale, di un altro amante o pretendente, rende più cara e preziosa la donna. Vengono fatti, al solito, esempi tratti dal mito: Oreste si innamorò di Ermione quando questa aveva cominciato a essere di Pirro, figlio di Achille, ed Elena divenne cara a Menelao, che era andato a Creta senza di lei, quando Paride la portò a Troia. Achille piangeva (flebat Achilles, v.777) come gli fu tolta Briseide. Il pianto dell'eroe Achille, biasimato da Platone che considera indegni di lettura le lacrime e i lamenti del figlio di Tetide, dovunque si trovino rappresentati [184] , viene interpretato da Ovidio come segno della potenza dolorifica insita nella gelosia che dunque va evitata. I suggerimenti contro questo mostro sono tanti. Il Sulmonese consiglia di scappare a gambe levate dal covo della donna quando si è trovata la forza di lasciarla, facendo come Ulisse con i Lotofagi e le Sirene:" Illo Lotophagos, illo Sirenas in antro/ esse puta; remis adice vela tuis" (789-790), pensa che in quell'antro ci siano i Lotofagi e le Sirene; ai tuoi remi aggiungi le vele. La forza del pensiero insomma deve controbattere e superare quella dell'istinto e dell'emotività. Altrimenti si potrebbe finire come Medea.
 Pavese consiglia un altro pensiero contro il "mostro dagli occhi verdi":" Perché essere geloso? Lui non vede in lei quel che vedo io-probabilmente non vede nulla. Tanto varrebbe esser geloso di un cane o dell'acqua della piscina. Anzi, l'acqua è più all-pervading di qualunque amante" [185] . E, diversi anni dopo:"Una donna, con gli altri, o fa sul serio o scherza. Se fa sul serio, allora appartiene a quell'altro e basta; se scherza, allora è una vacca e basta" [186] .
Del resto ne Il mestiere di vivere troviamo scritto pure:" Chi non è geloso anche delle mutandine della sua bella, non è innamorato".
 La guarigione completa, conclude Ovidio, ci sarà quando potrai dare un bacio al rivale:"oscula cum poteris iam dare, sanus eris" (v. 794), probabilmente poiché ti ha liberato da un grave peso.
Quindi Ovidio passa ai cibi accentuando la componente medica del resto sempre presente nel suo  poemetto:"Daunius an Libycis bulbus tibi missus ab oris/an veniat Megaris, noxius omnis erit " (797-798), la cipolla della Daunia o mandata dalle coste libiche o importata da Megara sarà sempre nociva. In questa prospettiva, ribaltata rispetto a quella del viagra o alle pratiche cui si sottopone Encolpio contro l'impotenza, nocivo significa eccitante.
 Tale è anche la rucola:"Nec minus erucas aptum vitare salaces,/et quicquid Veneri corpora nostra parat " (799-800), e non è meno opportuno evitare la rucola afrodisiaca e tutto quanto dispone il nostro corpo a Venere.-salaces, da salax, connesso a salio, salto, significa propriamente "che fa saltare". "La radice deriva dall'indoeuropeo *sal- che ha dato come esito in greco aJl-, in latino sal-" [187] . In greco salto si dice a{llomai.
Nell'Ars amatoria, che condivide l'impianto didascalico dei Remedia amoris ,ma vuole insegnare il contrario, Ovidio consiglia gli stessi e altri cibi afrodisiaci a chi non deve risparmiare i lombi:"bulbus et, ex horto quae venit herba salax/ovaque sumantur, sumantur Hymettia mella/quasque tulit folio pinus acuta nuces" ( II, 422-424), si prenda la cipolla, e la rucola eccitante che viene dall'orto, le uova e si prenda il miele dell'Imetto e i pinoli che produce il pino dalle foglie aghiformi.
 La cipolla (bolbov" ) è con le conchiglie e le lumache, tra gli ingredienti principali anche del povto" aJduv" (v. 17), il magnifico banchetto che svela l'amore di Cinisca nel XIV idillio di Teocrito.  
 La cipolla e la rucola anche da Marziale sono messi tra gli afrodisiaci che peraltro non aiutano Luperco abbandonato dalla mentula:"sed nihil erucae faciunt bulbique salaces" (III, 75, 3), niente ti fanno la rucola e le cipolle eccitanti. 
Veniamo quindi al vino:" Vina parant animum Veneri, nisi plurima sumas/ et stupeant multo corda sepulta mero./Nutritur vento, vento restinguitur ignis;/lenis alit flammas, grandior aura necat./Aut nulla ebrietas, aut tanta sit, ut tibi curas/eripiat; si qua est inter utrumque nocet " (vv.805-808), il vino dispone l'animo a Venere, se non ne prendi troppo e non vengono intontiti i sensi sepolti dal molto vino. Viene nutrito dal vento, dal vento viene pure spento il fuoco; una lieve brezza alimenta le fiamme, un vento più grande la spenge. O non ci sia l'ebbrezza o sia così grande da portarti via gli affanni, se una si trova a metà, ti fa male.-Vina: Una riflessione sugli effetti erogeni del vino si trova ne L'asino d'oro di Apuleio. Il curiosus protagonista Lucio, preparandosi a un incontro amoroso con  l'ancella Fotide, ricevuta in dono un'anfora di prezioso vino invecchiato, vini cadum in aetate pretiosi,   invita l'amante a bere insieme il liquido di Bacco elogiandolo come il miglior  viatico per percorrere una lunga rotta sulla barca di Venere:"Ecce-inquam,-Veneris hortator et armĭger Liber advenit ultro! Vinum istud hodie sorbamus omne, quod nobis restinguat pudoris ignaviam et alacrem vigorem libidinis incutiat. Hac enim sitarchĭa navigium Veneris indĭget sola, ut in nocte pervigili et oleo lucerna et vino calix abundet " (II, 11), ecco, dico, che stimolatore e armigero di Venere arriva Libero spontaneamente ! Beviamocelo tutto oggi questo vino che spenga in noi la viltà del pudore e susciti un focoso vigore di libidine. In effetti la barca di Venere ha bisogno soltanto di questo approvvigionamento in modo che,  durante la notte di veglia, la lucerna sia piena d'olio e la coppa di vino.
Anche il portiere del castello di Macbeth , una specie di portiere dell'inferno come ipotizza di essere con ironia sofoclea [188] , disquisisce,  intorno agli effetti del bere sulla libidine: la provoca e la sprovoca; provoca il desiderio ma ne porta via l'esecuzione. " Therefore, much drink may be said to be an equivocator with lechery ", perciò bere molto si può denominare colui che rende equivoca la lascivia: la crea e la distrugge; la spinge innanzi e la tira indietro; la persuade e la scoraggia; "makes him stand to, and not stand to", la mette in piedi e non la tiene su, insomma la equivoca col sonno e dandole una smentita la pianta (II, 3). In questo monologo, "di un fine umorismo lucianesco…occorrono certe allusioni a fatti contemporanei, che allora, cioè quando Shakespeare scriveva il Macbeth  [189] , dovevano essere a common topic [190] , o, come diremmo noi, sulla bocca di tutti, e che ci riportano a quell'anno" [191]  (1606). Chiarini fa l'esempio della parola equivocator usata due volte nel monologo e che allude alla dottrina gesuitica dell'equivocazione invocata da Enrico Garnet, superiore dell'ordine dei gesuiti processato nel 1606 appunto per l' accusa di avere partecipato alla congiura delle polveri (gunpowdwer  plot) ordita dai cattolici, nel 1605, contro Giacomo I.
 
 Si può aggiungere e precisare che bere alcolici, in quantità non eccessiva, può disinibire in certi casi o, in altri, fare obliare la scarsa attrazione sentita in condizione di lucidità per un partner che non ci piace.       
Siamo giunti all'epilogo:" Hoc opus exegi: fessae date serta carina/;/ contigimus portus quo mihi cursus erat./ Postmodo reddetis sacro pia vota poetae,/carmine sanati femina virque meo"  (vv. 811-814), ho portato a termine quest'opera: offrite corone alla nave stanca; abbiamo toccato il porto cui era diretta la rotta. In seguito renderete le dovute grazie al sacro poeta, uomini e donne risanati dalla mia poesia.-exegi: ricorda exegi monumentum, ho portato a termine un monumento, di Orazio (Carmina, III, 30,1).-carinae: torna ancora la metafora della navigazione.-sanati :" l'ultimo verso con il significativo sanati recupera alla struttura superficiale l'impronta di trattato medico e sembra rispondere al v. 43 del proemio didascalico, discite sanari per quem didicistis amare" [192] .
A questa didattica dell'amore ovidiana voglio aggiungere alcuni suggerimenti presi, oltre che dall'esperienza, da autori moderni, consigli che  possono essere sintetizzati da una riflessione di Musil:  se da un lato può essere vero che "la morale non esiste perché non la si può dedurre da qualcosa di stabile" e quindi "vi sono soltanto delle regole per l'inutile conservazione di condizioni transitorie", come afferma Ulrich il protagonista de L'uomo senza qualità, è altresì vero quello che aggiunge subito dopo:"sostengo che non vi è profonda felicità senza morale profonda" [193] .
Quindi la guarigione dalla pena amorosa richiede non solo le Pieridi come asserisce Teocrito all'inizio dell'idillio XI (vv. 1-3),  o quell' abbraccio e quello  stendersi insieme con i corpi nudi suggerito da Longo Sofista, [194]  ma una moralizzazione del rapporto.
In altre parole, è bene osservare la persona amata, come se fosse un meraviglioso fenomeno naturale, senza volere né cambiarla né possederla; si tratta di rispettarla nel senso etimologico suggerito da Fromm:" Rispetto non è timore né terrore; esso denota, nel vero senso della parola (respicere =guardare), la capacità di vedere una persona com'è, di conoscerne la vera individualità. Rispetto significa desiderare che l'altra persona cresca e si sviluppi per quello che è. Il rispetto, perciò esclude lo sfruttamento; voglio che la persona amata cresca e si sviluppi secondo i suoi desideri, secondo i suoi mezzi, e non allo scopo di servirmi" [195] . E ancora: se amo una persona "io la rispetto, cioè (secondo il significato etimologico di re-spicere ) io la guardo come essa è obiettivamente e non travisata dai miei desideri o dalle mie paure. La conosco, sono penetrato oltre la sua apparenza fino al fondo del suo essere e ho collegato me stesso con lei dal profondo del mio essere" [196] .

La sofferenza amorosa, se viene compresa, può essere produttiva, comunque va superata.
 Certo, dalla donna che ci fa soffrire si impara anche.
 Su questo possiamo sentire Proust:"Una donna di cui abbiamo bisogno, che ci fa soffrire, trae da noi serie di sentimenti ben più profondi, ben altrimenti vitali di quanto possa fare un uomo superiore che ci interessi. Resta da sapere, secondo il piano su cui viviamo, se davvero ci sembra che il tradimento col quale ci ha fatto soffrire una donna sia ben poca cosa in confronto delle verità che ci ha rivelate, verità che la donna, paga d'aver fatto soffrire, non avrebbe potuto comprendere...Facendomi perdere il mio tempo, facendomi soffrire, forse Albertine mi era stata più utile, anche sotto l'aspetto letterario, di un segretario che avesse messo in ordine le mie "scartoffie". Tuttavia, allorché un essere è così mal conformato (e può darsi che nella natura un tal essere sia proprio l'uomo) da non poter amare senza soffrire, e da aver bisogno di soffrire per imparare certe verità, la vita d'un tale essere finisce col riuscire ben spossante!" [197] .
L'amore maturo significa un'uscita da questo stato di squilibrio. Alla fine dell'amore di Swann troviamo un suggerimento per  la guarigione. Vediamo:" appena Swann se la poteva raffigurare senza orrore, appena rivedeva bontà nel suo sorriso...il suo amore ridiventava soprattutto un gusto delle sensazioni dategli dalla persona di Odette, del piacere che provava nell'ammirare come uno spettacolo o nell'interrogare come un fenomeno, l'alzarsi di uno sguardo, il formarsi d'un suo sorriso, l'emissione d'un tono di voce" (p. 322).
Amare una persona rispettandola dunque significa osservarla senza la pretesa di cambiarla, contemplarla come si può fare con un paesaggio o un tramonto.
Una soluzione del genere si trova ne La Noia  di Moravia:"insomma, lei non volevo più possederla bensì guardarla vivere, così com'era, cioé contemplarla, allo stesso modo che contemplavo l'albero attraverso i vetri della finestra" [198] .
Anche il protagonista di Un Amore  di Buzzati arriva alla comprensione e alla compassione per la ragazza che l'ha fatto soffrire siccome  gli ha rivolto contro  l' intenzione che lui aveva di usarla, osservandola sine ira et studio :" dal sonno di lei così abbandonato e confidente viene a lui un senso di pietà e di pace, una specie di invisibile carezza" [199] .
La Zambrano suggerisce di uscire dalla caverna del proprio io per il superamento dell'amore come invidia dell'altro. "ben presto nell'amore l'altro si trasforma in uno. L'invidia, invece, conserva ostinatamente l'alterità dell'altro, senza permettergli di raggiungere la purezza dell'uno. E mantenendo l'altro, l'avidità aumenta sino alla frenesia…la differenza tra l'invidia e l'amore sembra trovarsi nella visione: l'amore vede l'altro come uno; l'invidia vede ciò che potrebbe essere uno come l'altro…L'invidioso, che sembra vivere fuori di sé, è un individuo immerso nel proprio intimo: invidere, già nella sua composizione, dichiara il dentro che c'è in quel guardare l'altro. Guardare e vedere un altro non fuori, non dove l'altro sta realmente, ma in un dentro abissale, un dentro allucinato che si confonde con la solitudine, dove non trova il segreto che ci fa sentire noi stessi" [200] .
L'invidia si supera trovando la propria identità:"se cerchiamo l'identità di essere qualcuno al di sopra e al di là di quello che ci accade e di quello che viviamo, allora non potrà nascere l'invidia. Perché l'invidia è passione dell'altro, passione dell'identità dell'altro, passione della libertà dell'altro, nella propria vacillante unità e libertà" [201] .
 
Concludiamo il capitolo con l'antistrofe del terzo Stasimo dell'Antigone :
Greco
"Tu anche dei giusti le non più giuste/menti trascini alla rovina:/tu anche questa contesa consanguinea/di uomini hai scatenato;/e vince il desiderio vivace/degli occhi della fidanzata bella nel letto/e siede accanto nella gestione delle grandi /leggi: ineluttabile infatti/gioca la dea Afrodite" (vv. 791-800).
-ajdivkou": prolettico. Le menti giuste traviate dall'amore diventano ingiuste solo quando l'amore è malato. Si può pensare alla gelosia: "the green-eyed monster, which doth mock/ the meat it feeds on " [202] , il mostro dagli occhi verdi che si fa beffe del cibo di cui si pasce.-e [cei" taravxa": forma perifrastica costituita da e [cw e dal participio aoristo di taravssw, simile al nostro passato prossimo.-xuvnaimon: ipallage che sottolinea ulteriormente la consanguineità sempre notata da Sofocle.-blefavrwn: indica gli occhi.-eujlevktrou: composto di euj e levktron, "letto" per indicare le gioie che possono sconvolgere la razionalità e l'equilibrio fino a creare attriti o addirittura guerra tra i consanguinei. Il sostantivo è formato sulla radice lec-/loc- con la quale si formano anche  a [loco" , compagna di letto, moglie, e lovco" , "agguato".
Da questa etimologia possiamo vedere la doppia valenza della donna: accogliente e soccorrevole oppure nemica e letale. Tale ambiguità del linguaggio si può notare anche confrontando a [loco"  con a [koiti" , "moglie", colei che dorme insieme, da aj copulativo+ kei'mai, "giaccio", formato sulla radice kei-/koi- su cui si forma keimhvlion, "oggetto riposto", "tesoro". La sposa dunque può esssere un agguato, un tesoro, e altre cose ancora: si ricorderanno la rete (Agamennone, 1116) e l'inganno scosceso (Teogonia , 589 e Opere , 83). Diverse tra le grandi tragedie  hanno a che fare con il letto il quale non poche volte è il mobile più importante del palazzo, come nota Kott a proposito dell'Alcesti.
. Nelle Trachinie di Sofocle c'è una presenza quasi ossessiva del talamo nuziale:"ejxaivfnh" sf& oJrw'-to;n JHravkleion qavlamon eijsormwmevnhn", subito la vedo lanciarsi sul talamo di Eracle (vv.912-913); "oJrw' de; th;n gunai'ka demnivoi" toi'" JHrakleivoi"", vedo la donna nel letto di Eracle...(v.915-916); "kaqevzet& ejn..mevsoisin eujnathrivoi"", sedeva in mezzo al letto coniugale (v.918); "wj' levch te kai; numfei'& ejmav", o letto e mia stanza nuziale(v.920). Nell'Alcesti, dove la coppia"funziona", c'è un vero e proprio culto del letto: qui l'eroina muore affermando la sua fedeltà, prima che allo sposo, a questo vero e proprio feticcio domestico:"prodou'nai ga;r s& ojknou'sa kai; povsin-qnh/skw", non volendo tradire te e lo sposo/muoio(vv.180-181). -pavredro": apposizione di iJvmero". E' formato da paravvvvv - e eJvdra, "sede" la cui "radice deriva dall'indoeuropeo *sed - che ha dato come esito in greco eJd-/sd- (>z-), in latino sed- " [203] .- iJvmero" è il desiderio per una persona presente. Platone spiega molto chiaramente la differenza tra questo termine e povqo":"himeros  indica il desiderio diretto verso un partner che è presente, ovvero il desiderio che sta per essere soddisfatto, pothos , invece, il desiderio nei confronti di un assente, ovvero il desiderio che soffre di non potersi appagare: il rimpianto, la nostalgia [204] " [205] .
 Il pastore Dafni nell'Idillio VIII di Teocrito mette il povqo" di un uomo per una tenera fanciulla tra i mali spaventosi del mondo: come l'inverno per gli alberi, l'arsura estiva per le acque, il laccio per gli uccelli, le reti per gli animali selvatici (vv. 56-59).   -qesmw'n: Il Desiderio appunto è una delle grandi leggi del mondo: essa riguarda uomini e ferae pecudes  [206]  , gli animali selvaggi, ognuno dei quali segue la dea dell'amore cupide  dovunque ella voglia condurlo.-a [maco": torna, circolarmente, l'invincibilità dell'amore la cui dea  (  jAfrodivta è forma dorica per  jAfrodivth) del resto non infligge solo guerre e ferite ma sa anche elargire ludi e giochi. Aristofane infatti afferma che Qewriva, la festa, odora di grembi di donne che corrono sui campi:"o [zei...kovlpou gunaikw'n diatrecousw'n eij" ajgrovn", (Pace , v. 536). In questo Stasimo, volendo si può trovare un'anticipazione del tovpo" del servitium amoris. P. Fedeli ci riferisce che alcuni studiosi (Copley e Stroh) ritengono "che il motivo nella formulazione tibulliana e properziana sia tipicamente romano" mentre un altro (Murgatroyd) "giunge alla conclusione che il motivo è attestato sin dall'Antigone di Sofocle. Il Murgatroyd, però, non si è preoccupato di distinguere se lo stato di servitium si riferisca alla condizione dell'uomo oppure a quella della donna e se, in questo caso, rifletta lo stato di totale dedizione della moglie nei confronti del marito nella società greca; non si preoccupa, infine, di considerare se si tratti di esempi generici di schiavitù nei confronti del dio Amore piuttosto che nei confronti della persona amata" [207] .-ejmpaivzei: da questo stasimo si vede che l'amore può essere causa di rovina ma anche fonte di gioco:"Afrodite è più dea del gioco che dell'amore, in un certo modo è la divinità dell'amore-passione. Tutti i disegni neoclassici lo hanno compreso, e hanno anche inteso l'amore come gioco" [208] .   
 
note:

 [1]  I. Dionigi,  La Natura Delle Cose , p. 82
 [2]  Dall'Introduzione di G. B. Conte a Lucrezio La Natura Delle Cose , p.17.
 [3]  I. Dionigi, op. cit., p. 127.
 [4]  De rerum natura, III, 992-994.
 [5]  Conte, Scriptorium classicum , 5, p. 17.
 [6]  All'ombra delle fanciulle in fiore, p. 80.
 [7]  E. Fromm, L'arte d'amare , p. 43.
 [8]  Per una spiegazione e breve rassegna di tale metafora e allegoria vedi il mio commento all' Antigone , Loffredo 2001, pp. 62-63.
 [9]  Non potresti vederne una che tenti qualche novità, sostiene Prassagora. Subito prima aveva usato la metafora nautica:"to; de; koinovn w{sper Ai [simo" kulivndetai" (Ecclesiazuse, v. 208), lo Stato invece beccheggia  , come Esimo. Questo era probabilmente uno zoppo in vista. 
 [10]  Tra le onde e la guerra.
 [11]  L'arcipelago, p. 41.
 [12] G. B. Conte, Scriptorium Classicum , 5, p. 51.
 [13] G. B. Conte, Scriptorium Classicum , 5,  p. 52.
 [14]  Conte, Scriptorium classicum 5, p. 16.
 [15] G. B. Conte, Scriptorium Classicum , 5, p. 52
 [16]  Lucrezio, La Natura Delle Cose , commento di Ivano Dionigi, p. 409.
 [17] G. Berto, La cosa buffa , p. 79.
 [18] Adelchi , atto IV.
 [19]  G. B. Conte, Scriptorium Classicum , 5, p. 53.
 [20]  Pitica VII, vv. 95-96.
 [21]  Marìa Zambrano, L'uomo e il divino , p. 139. La vida es sueño (1635) è il capolavoro di Calderòn de la Barca (Madrid 1600-1681).
 [22] G. B. Conte, Scriptorium Classicum , 5, p. 54.
 [23] F. Kafka, Il castello , p. 84.
 [24] G. B. Conte, Scriptorium Classicum , 5, p. 54.
 [25]  Lucrezio, La Natura Delle Cose, commento di I. Dionigi, p. 410.
 [26] G. B. Conte, op. e p. citate sopra.
 [27] G. B. Conte, op. e p. citate sopra.
 [28] E. Fromm, L'arte d'amare , p. 35.
 [29] Il mestiere di vivere , 15 ottobre 1940.
 [30] G. B. Conte, op. e p. citate sopra.
 [31] La quiete dopo la tempesta , v. 32.
 [32] Parerga e paralipomena , Tomo II, p. 414.
 [33] Parerga e paralipomena , Tomo II, p. 665 ss.
 [34] L'anello di Clarisse , p. 198.
 [35] Il mestiere di vivere , 25 dicembre, 1937.
 [36] W. Reich, L'assassinio di Cristo , p. 66.
 [37] M. Detienne-J. P. Vernant, Le astuzie dell'intelligenza nell'antica Grecia , p. 3 e sgg.
 [38]  Apollonio Rodio, Argonautiche, II, 75.
 [39]  Aspasia , vv. 89-91.
 [40] Cent'anni di solitudine , p. 237.
 [41] G. B. Conte, Scriptorium Classicum , 5, p. 56.
 [42] La strada di Swann , p. 394.
 [43]  G. Ugolini, Lexis , p.369.
 [44] I. Dionigi, La Natura Delle Cose , p. 413.
 [45]  L. Tolstoj, Resurrezione (del 1899), p. 47.
 [46] G. B. Conte, Scriptorium Classicum , 5, p. 56.
 [47] I. Dionigi, La Natura Delle Cose , p. 413.
 [48] Sei personaggi in cerca d'autore  ( parte prima).
 [49]  C. Pavese, Il mestiere di vivere,  10 marzo 1938.
 [50] Atto secondo. Cechov è vissuto tra il 1860 e il 1904. Il gabbiano è del 1895.
 [51] Il mestiere di vivere  , 31 ottobre 1938.
 [52] Il mestiere di vivere , 17 gennaio 1938.
 [53]  Cfr. il già citato Agamennone di Eschilo, v. 1116.
 [54] C. Pavese, Il mestiere di vivere , 26 aprile, 1936.
 [55] W. Jaeger, Paideia , p.72
 [56] G. B. Conte (introduzione di), Ovidio Rimedi contro l'amore.
 [57] Mozart-Da Ponte, Le nozze di Figaro , IV, 8.
 [58]  Cfr. Ovidio,  Ars Amatoria , II, 123-124.
 [59] F. Kafka, Il castello , p. 296 ss.
 [60] G. B. Conte, Scriptorium Classicum , 5, p. 58.
 [61]  Antigone (del 1942), p. 78.
 [62]  Molière, Il misantropo , II, 4.
 [63] I. Dionigi, op. cit., p. 414.
 [64] G. B. Conte, Scriptorium Classicum , 5, p. 59.
 [65] I. Dionigi, op. cit., p. 415.
 [66] F. Dostoevskij, Delitto e castigo , pp. 531 e sgg.
 [67] Il Principe , 17.
 [68] Gerontion , vv. 47-49).
 [69] Il Principe , 15.
 [70] Il mestiere di vivere , 3 agosto 1937.
 [71]  Major Barbara, Act  III.
 [72] F. Kafka, Il processo  , IX capitolo,  pp. 220-221.
 [73] P. Citati, Kafka , pp. 157-158.
 [74] F. Dostoevskij, Delitto e castigo , p. 620.
 [75]  I Guermantes , p. 128.
 [76] Frammenti di un discorso amoroso ,  p. 42
 [77]  G. Ugolini, Lexis , p. 245.
 [78] G. B. Conte, Scriptorium Classicum , 5, p. 60.
 [79] Ode, 4 , in Lirica ungherese del '900 .
 [80] Dialoghi con Leucò, Gli Argonauti .
 [81] L. Pirandello, Lettera alla sorella Lina , 31 ottobre 1886.
 [82] F. Nietzsche, Di là dal bene e dal male , p. 200.
 [83] G. B. Conte, Scriptorium Classicum , 5, p. 61.
 [84] Si ricorderà "son volpi vezzose" de Le nozze di figaro .
 [85] Cfr. G. Ghiselli, Sofocle, Antigone , pp. 121-130.
 [86] G. Leopardi traduce"In carità reciproca...ambo i consorti dolcemente invecchiano".
 [87] Parerga e paralipomena  Tomo II, p. 832 e ss.
 [88] G. Leopardi, Il pensiero dominante , v. 104.
 [89]  Citazione tratta da Giacomo Leopardi, Canti , p. 231.
 [90] Nota il platonismo.
 [91] Nota il tovpo" della ferita amorosa.  
 [92] Sesso e carattere , p. 124.
 [93]  I. Svevo, La coscienza di Zeno, p. 170.
 [94]  A game of chess  (una partita a scacchi appunto) è il titolo della II sezione de La terra desolata  di Eliot e allude proprio alla mancanza di schiettezza e moralità dei rapporti umani.
 [95]  Lettere, Bocca di Magra, agosto 1950.
 [96] G. B. Conte, introduzione a Ovidio Rimedi contro l'amore , p. 32.
 [97]  Ozio neghittoso. Conte aggiunge in nota "di quello che era un motivo catulliano (51, 16 s. Otium, Catulle, tibi molestum est;/otio exsultas nimiumque gestis ) l'elegia aveva fatto uno dei temi ricorrenti che corrispondono alla sua scelta fondamentale per la nequitia , e spesso con essa coincidono.
 [98]  G. B. Conte, introduzione a Ovidio Rimedi contro l'amore, p. 39.
 [99]  Madame Bovary, p. 104.
 [100] G. B. Conte, introduzione a Ovidio Rimedi contro l'amore , n. 39, p. 52. 
 [101] G. B. Conte, introduzione a Ovidio Rimedi contro l'amore , p. 40.
 [102]  G. B. Conte, Scriptorium classicum 2, p. 173.
 [103] con riferimento alla poetica del naturalismo e a Zola che intendeva utilizzare nella letteratura il metodo sperimentale delle scienze avvalendosi appunto di documenti. Tucidide nel Proemio  presenta il suo metodo di lavoro con il verbo xunevgraye che propriamente significa "compose una suggrafhv, ossia un'opera condotta sui documenti".
 [104]  Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo,  Il giocoso in Callimaco , p. 382.

 [105] G. B. Conte, Scriptorium classicum 2, p.176.
 [106]  G. B. Conte, Scriptorium classicum 2, p. 176.
 [107] C. Miralles, Come leggere Omero  p. 82.
 [108]  F. Dostoevkij, I fratelli Karamazov, p. 318.
 [109]  G. Leopardi, Il sabato del villaggio, vv. 43-45.
 [110] L. Tolstoj, Guerra e pace, p.1228.
 [111] G. B. Conte, Scriptorium classicum 2, p. 180.
 [112] G. B. Conte, Scriptorium classicum 2,p.180.
 [113] In Plutarco, de glor. Ath. 5 p. 348 C
 [114]  Quello da cui Giasone "spinse nel mar gli abeti,/ e primo corse a fendere/ co' remi il seno a Teti" (V. Monti , Al signor di Montgolfier, vv. 2-4) 
 [115]  Ovidio, Rimedi contro l'amore, a cura di C. Lazzarini, p. 133.
 [116] Per un commento a questi versi vedi il mio Ulisse, il figlio, le donne, i viaggi, gli amori , con la scheda "Il seduttore intellettuale. Egisto" .
 [117] Cfr. la scheda su "La caccia"  appunto nel mio Storiografi Greci , Loffredo, Napoli, 1998, p. 193-196.
 [118] Nel IV libro delle Storie  Erodoto racconta la fallita spedizione di Dario contro gli Sciti descrivendo i costumi di questo popolo e il loro modo di guerreggiare: facevano terra bruciata e si allontanavano , una strategia  non molto diversa da quella dei Russi descritti da Tolstoj che in Guerra e pace  definisce ancora " piano di guerra scitica" quello "mirante ad attirare Napoleone nelle regioni interne della Russia" (p. 1031).

 [119] Eneide  III, 72, quando i Troiani si allontanano dalla Tracia.
 [120]  La lampada di Psiche , p. 48 e p. 51.
 [121] Odissea , X, 213 e 236.
 [122]  Medea, p. 103.
 [123] Metamorfosi , I, 9.

 [124]  A. C. Bradley, op. cit., p. 399.
 [125]  Per le Arpie cfr. Apollonio Rodio, Argonautiche, II, 289; poi Virgilio, Eneide, III, 225-258 e Dante, Inferno, XIII, 64-66. Per le Erinni cfr. le Eumenidi di Eschilo, vv.130-132. 
 [126]  I Guermantes, p. 82.
 [127] Una scheda su questo argomento si trova nel mio Storiografi Greci .
 [128] Plutarco, Vita di Alcibiade , 13.
 [129] Tacito, Annales , XVI, 18.
 [130] Inferno , XIII, vv. 64-66.
 [131] Orlando furioso , IV, 1.
 [132] TomoII, p. 61O.
 [133] Mozart e Salieri .
 [134]  L'uomo e il divino, p. 241.
 [135]  Sostituendolo con un trocheo o uno spondeo.
 [136] Odissea , XX, 17 sgg.
 [137]  Poco sopra l'autore tra gli eventi aveva considerato i lovgoi, i discorsi.
 [138] L. Canfora, L'agorà: il discorso suasorio in Lo spazio letterario della Grecia antica , I, 1, p. 385.
 [139]  G. D'Annunzio, Il fuoco, p. 108.
 [140]  Del quale pure abbiamo letto dichiarazioni di fedeltà oltre la vita.
 [141]  Svevo, La coscienza di Zeno, p. 461.
 [142]  La coscienza di Zeno, p. 331.
 [143] Ovidio, Rimedi contro l'amore , a cura di Caterina Lazzarini, p. 154.
 [144]  Il Principe, XVIII.
 [145]  C. Pavese, Il mestiere di vivere, 5 agosto 1940.
 [146]  Bruno Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo , p. 372.
 [147]  Aristotele, Poetica , 1451b.
 [148] Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo , p. 371.
 [149] G. B. Conte, introduzione a Ovidio rimedi contro l'amore , p. 43.
 [150]  F. Dostoevskij, Il giocatore, p. 42.
 [151]  M. Proust, La prigioniera, p. 183.
 [152]  L. Tolstoj, Anna Karenina, p. 366.
 [153]  Cocotte, vv. 67-69.
 [154]  Il mestiere di vivere, 30 settembre 1937.
 [155]  Il mestiere di vivere, 16 agosto 1950.
 [156]  T. Mann, La morte a Venezia, pp. 62-63 e p. 118.
 [157]  Il riflesso del tragico antico nel tragico moderno,  Tomo secondo, p24 e pp.33-34.
 [158] Tacito, Annales , XIV, 53.
 [159]  Ecce homo (del 1888), p. 37. 
 [160]  L'uomo e il divino, p. 262.
 [161]  Ovidio Rimedi contro l'amore , p. 163.
 [162]  G: Parini, Il Mattino , vv.267-271.
 [163] La strada di Swann , p. 363.
 [164]  Etica Nicomachea, IX, 8, 1169a 18 ss.
 [165]  W. Jaeger, Paideia, 1, p. 47.
 [166]  E. Morin, op. cit., p. 74.
 [167]  Cfr. :" sunt lacrimae rerum et mentem mortalia tangunt" (Eneide, I, 462), ci sono lacrime per le sventure e le vicende mortali toccano il cuore.
 [168] L'Innocente.p. 145.
 [169]  G. D'Annunzio, Il Piacere, p. 40.
 [170]  H. Hesse, Siddharta , p.135.
 [171]  G. D'Annunzio, Il piacere, p. 155.
 [172]  Tristia, IV, 10, 1.
 [173] Tiranno di Macedonia dal 413 a. C.      
 [174]  Il giocoso in Callimaco, in La cultura greca e le origini del pensiero europeo, p. 379.
 [175]  Ora invece significa facoltà di licenziare arbitrariamente.
 [176] H. Hesse, Klein e Wagner , p. 162.
 [177]  G. B. Conte, Scriptorium classicum, 2, p. 104.
 [178] G. B. Conte, Scriptorium classicum, 2, p. 104.
 [179]  Morì nel 19 (come Virgilio) o nel 18 a. C.
 [180]  Zibaldone, 2523.
 [181] Zibaldone, 3063.
 [182] La divisione della locuzione mezzanotte ha forse influito sull'espressione di Leopardi "è notte senza stelle a mezzo il verno"(Aspasia , 108)
 [183] Orazio (in Sat . I, 5, 82-83) utilizzerà, in un contesto ironico, il luogo saffico:"hic ego mendacem stultissimus usque puellam/ad mediam noctem expecto ", qui io sono tanto stupido da aspettare fino a mezzanotte una ragazza bugiarda.
 [184] Repubblica , 388b.
 [185]  Il mestiere di vivere, 21 febbraio 1938.
 [186]  27 dicembre 1946.
 [187]  G. Ugolini, Lexis , p. 109.
 [188]  Egli esordisce dicendo: questo si chiama bussare per davvero! Se un uomo fosse portiere dell'inferno (if a man were porter of hell-gate) avrebbe l'abitudine antica di girare la chiave (II, 3). Non "possiamo fare a meno di sentire che nel far finta di essere il portiere dell'inferno egli è terribilmente vicino alla verità" (Bradley, op. cit., p. 424).
 [189]   Regnò sulla Scozia dal 1040 al 1057.          
 [190]  A proposito dei nostri tovpoi!
 [191]  Cino Chiarini (a cura di) Macbeth , p. XII.
 [192] Ovidio Rimedi contro l'amore , p. 175.
 [193] R. Musil, L'uomo senza qualità , p. 846.
 [194]  Le avventure  pastorali di Dafni e Cloe, II, 7.
 [195] L'arte d'amare , p. 43.
 [196]  E. Fromm, Psicanalisi della società contemporanea , p. 40.
 [197] M. Proust, Il tempo ritrovato , pp. 239 e 242.
 [198] Moravia, La Noia , Bompiani, Milano, 1984, p. 345.
 [199] D. Buzzati, Un Amore , Mondadori, Milano, 1965, p. 250.
 [200]  L'uomo e il divino pp. 258-259.
 [201]  M. Zambrano, L'uomo e il divino p. 264.
 [202] Shakespeare, Otello , III, 3.
 [203] G. Ugolini, Lexis , p. 186.
 [204] Platone, Cratilo , 240a-b.
 [205] J. P. Vernant, L'individuo, la morte, l'amore , p. 120.
 [206] Lucrezio, De rerum natura , 15.
 [207]  Lo spazio letterario di Roma antica, 1, p. 168.
 [208]  M. Zambrano, L'uomo e il divino, p. 244.


2 commenti:

  1. se l'amore è una superstizione voglio essere superstiziosa. Giovanna Tocco

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