In molti si chiedono perché i
Grillini abbiano perso tanti consensi. La risposta diretta è molto semplice:
perché non sanno parlare.
E non dico non sanno parlare al popolo, difetto che non li differenzierebbe granché dagli altri; no, questi nuovi deputati non sanno proprio parlare, e il Parlamento dove sono entrati da poco è il luogo dove si deve parlare, possibilmente anche bene, cioè in maniera efficace e persuasiva.
E non dico non sanno parlare al popolo, difetto che non li differenzierebbe granché dagli altri; no, questi nuovi deputati non sanno proprio parlare, e il Parlamento dove sono entrati da poco è il luogo dove si deve parlare, possibilmente anche bene, cioè in maniera efficace e persuasiva.
L’elettore, per quanto
sprovveduto possa essere, e molti non lo sono, perde fiducia in un deputato,
uomo o donna che sia, giovane o vecchio che sia, se costui, o costei, non sa
parlare. Questi neoeletti hanno poco di proprio da dire, e quel poco non sanno
esprimerlo. Grillo dovrebbe imporre loro non il silenzio ma la lettura di molti
libri buoni perché questi poveretti, intendo culturalmente, imparino delle idee
e sappiano a esprimerle, correttamente, politicamente, e pure - perché no? - retoricamente.
I Greci distinguevano gli educati dai male educati, dagli ineducati, loro
stessi dai barbari, con il criterio della facoltà verbale.
Il parlare male, fa male all'anima. Lo afferma Socrate nel Fedone: "euj ga;r i[sqi… a[riste Krivtwn, to; mh; kalw'" levgein ouj movnon eij" aujto; tou'to plhmmelev", ajlla; kai; kakovn ti ejmpoiei' tai'" yucai'"" (115 e), sappi bene… Ottimo Critone che il non parlare bene non è solo una stonatura in sé, ma mette anche del male nelle anime.
Fa male a chi parla e fa male a chi ascolta.
Non faccio nomi poiché non ho ancora sentito nemmeno un parlamentare grillino capace di parlare: questi poveri di lingua balbettano qualche luogo comune imparato a memoria, poi si allontanano. Al popolo questo non è mai andato bene. Né ai Greci, né ai Latini, né ai razionalisti, né ai religiosi.
Partiamo da questi. Nelle prime parole del suo Vangelo l’apostolo, Giovanni identifica il lovgo~, il verbum, la parola insomma con l’ajrchv, con il principium, con l’Essere primo: " jEn ajrch'/ h\n oJ lovgo", kai; oJ lovgo~ h\n pro;" to;n qeovn, kai; qeo;" h\n oJ lovgo". ou|to" h\n ejn ajrch'/ pro;" to;n qeovn. pavnta di' aujtou' ejgevneto, kai; cwri;" aujtou' ejgevneto oujdevn. In principio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum et Deus erat Verbum. Hoc erat in principio apud Deum. Omnia per ipsum facta sunt, et sine ipso factum est nihil (1, 1-3), in principio c'era la Parola e la Parola era con Dio e la Parola era Dio. Questa era in principio con Dio. Tutto fu fatto tramite lei e senza lei nulla fu fatto.
Il parlare male, fa male all'anima. Lo afferma Socrate nel Fedone: "euj ga;r i[sqi… a[riste Krivtwn, to; mh; kalw'" levgein ouj movnon eij" aujto; tou'to plhmmelev", ajlla; kai; kakovn ti ejmpoiei' tai'" yucai'"" (115 e), sappi bene… Ottimo Critone che il non parlare bene non è solo una stonatura in sé, ma mette anche del male nelle anime.
Fa male a chi parla e fa male a chi ascolta.
Non faccio nomi poiché non ho ancora sentito nemmeno un parlamentare grillino capace di parlare: questi poveri di lingua balbettano qualche luogo comune imparato a memoria, poi si allontanano. Al popolo questo non è mai andato bene. Né ai Greci, né ai Latini, né ai razionalisti, né ai religiosi.
Partiamo da questi. Nelle prime parole del suo Vangelo l’apostolo, Giovanni identifica il lovgo~, il verbum, la parola insomma con l’ajrchv, con il principium, con l’Essere primo: " jEn ajrch'/ h\n oJ lovgo", kai; oJ lovgo~ h\n pro;" to;n qeovn, kai; qeo;" h\n oJ lovgo". ou|to" h\n ejn ajrch'/ pro;" to;n qeovn. pavnta di' aujtou' ejgevneto, kai; cwri;" aujtou' ejgevneto oujdevn. In principio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum et Deus erat Verbum. Hoc erat in principio apud Deum. Omnia per ipsum facta sunt, et sine ipso factum est nihil (1, 1-3), in principio c'era la Parola e la Parola era con Dio e la Parola era Dio. Questa era in principio con Dio. Tutto fu fatto tramite lei e senza lei nulla fu fatto.
Quindi
il verbo si fece carne: "kai;
oJ lovgo" savrx ejgevneto"
(14). Io collego questa affermazione, del tutto arbitrariamente se volete, alla
facundia persuasiva che attira gli ascoltatori che possono essere le
donne, poiché è in corpo di donna che il verbo si fa carne, ma in generale
affascina ogni fruitore della parola bella.
La
parola brutta, ossia pedestre, vuota e insignificante, ripugna e respinge.
Lo
sapeva benissimo don Milani che ha capito questa verità quando afferma:
"Bisogna sfiorare tutte le materie un po' alla meglio per arricchirsi la parola.
Essere dilettanti in tutto e specialisti nell'arte della parola"[1].
E’
importante anche ascoltare, per carità, una facoltà collegata, a quella del
parlare poiché si impara a parlare leggendo e ascoltando e chi non dà
importanza alla parola, non legge né ascolta. Costui parla a vanvera e
pochi lo ascoltano.
Torniamo
ai Greci.
Ulisse
se la cava sempre grazie alla forza e alla bellezza delle sue
parole. Odisseo come eroe e artista della parola viene individuato già da
Omero: nella teicoskopiva [2] del terzo canto dell'Iliade, Priamo chiede
a Elena di identificare i capi dei guerrieri Achei visibili dalla torre presso
le porte Scee; uno gli pareva "meivwn
[3] me;n kefalh'/ jAgamevmnono"
jAtreïvdao, / eujruvtero" d j w[moisin ijde;
stevrnoisin ijdevsqai" (vv.
193-194), più piccolo della testa di Agamennone Atride, ma più largo di spalle
e di petto a vedersi. La maliarda risponde che quello era Odisseo esperto di
ogni sorta di inganni e di accorti pensieri (v. 202).
Quindi
Antenore aggiunge che egli l'aveva visto una volta a Troia, in ambasciata con
Menelao, e quando i due erano seduti, era più maestoso Odisseo, ma, come si
alzavano, Menelao lo sovrastava delle larghe spalle ("stavntwn me;n Menevlao" uJpeivrecen
eujreva" w{mou"", v.
210).
Odisseo,
in piedi, se stava zitto, sembrava un uomo ignorante o addirittura uno furente
e pazzo, ma, quando parlava, dal petto mandava fuori parole simili a fiocchi di
neve d'inverno (Iliade, III, v. 222), ossia manifestava la potenza della
natura.
Nell’XI
canto dell’Odissea Alcinoo dice all’ospite itacese che ha morfh; ejpevwn, bellezza di parole kai;
frevne~ ejsqlaiv e saggi pensieri e
che il suo racconto è fatto con arte, come quello di un aedo (vv.
367-368).
Nel
Filottete di Sofocle, Odisseo chiarisce al giovane Neottolemo il
percorso che l'ha portato a prediligere la glw'ssa (lingua) rispetto
agli e[rga (le azioni): "ejsqlou' patro;" pai', kaujto;" w]n nevo" pote;-
glw'ssan me;n ajrgo;n, cei'ra d j ei\con ejrgavtin:-nu'n d j eij" e[legcon
ejxiw;n oJrw' brotoi'"-th;n glw'ssan, oujci; ta[rga, panq j hJgoumevnhn" (vv.
96-99), figlio di nobile padre, anche io da giovane un tempo avevo la lingua
incapace di agire, la mano invece operosa; ora però, giunto alla prova, vedo
che per gli uomini la lingua ha la supremazia su tutto, non le azioni.
La
capacità di parlare è preziosa in tutti i campi, da quello dell’avvocato, a
quella del medico, del prete, dell’esteta, del seduttore.
"Non
formosus erat, sed erat facundus Ulixes / et tamen aequoreas torsit amore deas",
bello non era, ma era bravo a parlare Ulisse, e pure fece struggere d'amore le
dee del mare, scrive Ovidio nell'Ars amatoria (II, 123-124).
Sono
versi non per caso citati da Kierkegaard nel Diario del seduttore.
Odisseo non usa sempre questa facoltà in maniera etica: Pindaro lo colpevolizza per il fatto che ha ingannato Aiace l’incapace di parlare /a[[glwsso~ [4] che poi si è ucciso.
Odisseo non usa sempre questa facoltà in maniera etica: Pindaro lo colpevolizza per il fatto che ha ingannato Aiace l’incapace di parlare /a[[glwsso~ [4] che poi si è ucciso.
Quindi
la lingua può essere un’arma a doppio taglio e può trarre il suo fuoco dalla
Geenna, come afferma l’apostolo Giacomo[5].
Questo
è vero, ma è pure vero che l’assenza della capacità di parlare danneggia la
vita. Isocrate sottolinea il valore anche etico del lovgo" inteso come parola e come pensiero: "to; ga;r levgein wJ" dei' tou' fronei'n
eu\ mevgiston shmei'on poiouvmeqa, kai; lovgo" ajlhqh;" kai;
novmimo" kai; divkaio" yuch'" ajgaqh'" kai; pisth'"
ei[dwlovn ejstin" (Nicocle,
7) il parlare come si deve, lo consideriamo segno massimo del saper pensare, e
un discorso veritiero, legittimo e giusto è l'immagine di un'anima buona e
leale.
Potrei
ricordare tanti altri autori che celebrano il valore della parola, e la onorano
come una dea[6].
Invece
concludo tornando agli a[glwssoi, ai Grillini privi di eloquenza.
Mi
rivolgo anzi direttamente a loro, a voi Grillini a[glwssoi, e lo faccio non
senza un poco di simpatia venata di compassione dopo il vostro insuccesso di
ieri del quale non ho gioito: imparate a parlare, e, se avete delle idee, e
forse le avete, imparate a esprimerle, prima con chiarezza e scioltezza, poi
con eleganza.
Leggete
i Greci e i Latini, possibilmente in lingua. Dante ha imparato a scrivere da
Virgilio, Virgilio da Omero, da Euripide e da altri autori greci.
Orazio
nell’Ars poetica prescrive: “vos exemplaria Graeca / nocturna versate
manu, versate diurna” (vv. 268-269), voi leggete e rileggete i modelli
greci, di notte e di giorno.
Concludo
con Ovidio, uno dei cinque poeti che Dante indica tra gli autori della bella
scuola di Omero[7]: "Iam
molire animum qui duret, et adstrue formae: / solus ad extremos permanet ille
rogos. / Nec levis ingenuas pectus coluisse per artes / cura sit et linguas
edidicisse duas" (Ars amatoria, II, vv. 119-122), oramai
prepara il tuo spirito a durare, e aggiungilo all'aspetto: solo quello rimane
sino al rogo finale. E non sia leggero l'impegno di coltivare la mente
attraverso le arti liberali, e di imparare bene le due lingue.
Il latino e il greco ovviamente. Senza con questo disprezzare altre lingue.
Il latino e il greco ovviamente. Senza con questo disprezzare altre lingue.
Giovanni
Ghiselli g.ghiselli@tin.it
Il
blog che leggete http://giovannighiselli.blogspot.it/
È
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[1]Lettera a una professoressa, p. 95.
[2] Osservazione dalle mura, spettacolo dalle mura.
[3] Cfr. latino minor.
[4] Nella Nemea VIII , Pindaro ricorda il torto subito da Aiace a[glwsso~ (v. 24), privo di eloquenza.
[5] La lingua è un piccolo membro e si vanta di grandi cose (mikro;n mevlo" kai; megavvla aujcei'). Eppure essa è un fuoco, è il mondo dell'iniquità (oJ kovsmo" th'" ajdikiva") e contamina tutto il corpo e incendia la ruota della nascita e trae la sua fiamma dalla Gehenna (kai; flogizomevnh uJpo; th'" geevnnh")… Ogni specie di fiere e di uccelli e rettili e animali marini si doma ed è stata domata dalla razza umana, ma la lingua nessuno degli uomini può domarla, è un male inquieto, pieno di veleno mortifero (Epistola di Giacomo, 3, 2-8). La mancanza della lingua è un grave handicap, ma la lingua ingannevole produce il male e la morte. Lo scita Anacarsi che andò ad Atene nel 591 e fu ospite e amico di Solone, interrogato che cosa fosse insieme bene e male per gli uomini, rispose “la lingua” Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, I, 8.
[6] O poeta, divina è la Parola;
Ne la pura Bellezza il ciel ripose
Ogni nostra letizia
e il Verso è tutto (D’Annunzio, L’Isotteo)
[7] Mira colui con quella spada in mano,
che vien dinanzi ai tre sì come sire.
Quelli è Omero poeta sovrano;
l’altro è Orazio satiro che vène;
Ovidio è il terzo, e l’ultimo è Lucano
…
Così vidi adunar la bella scola
Di quel signor dell’altissimo canto
Che sovra li altri com’aquila vola (Dante, Inferno, IV, 87-90; 94-96)
[2] Osservazione dalle mura, spettacolo dalle mura.
[3] Cfr. latino minor.
[4] Nella Nemea VIII , Pindaro ricorda il torto subito da Aiace a[glwsso~ (v. 24), privo di eloquenza.
[5] La lingua è un piccolo membro e si vanta di grandi cose (mikro;n mevlo" kai; megavvla aujcei'). Eppure essa è un fuoco, è il mondo dell'iniquità (oJ kovsmo" th'" ajdikiva") e contamina tutto il corpo e incendia la ruota della nascita e trae la sua fiamma dalla Gehenna (kai; flogizomevnh uJpo; th'" geevnnh")… Ogni specie di fiere e di uccelli e rettili e animali marini si doma ed è stata domata dalla razza umana, ma la lingua nessuno degli uomini può domarla, è un male inquieto, pieno di veleno mortifero (Epistola di Giacomo, 3, 2-8). La mancanza della lingua è un grave handicap, ma la lingua ingannevole produce il male e la morte. Lo scita Anacarsi che andò ad Atene nel 591 e fu ospite e amico di Solone, interrogato che cosa fosse insieme bene e male per gli uomini, rispose “la lingua” Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, I, 8.
[6] O poeta, divina è la Parola;
Ne la pura Bellezza il ciel ripose
Ogni nostra letizia
e il Verso è tutto (D’Annunzio, L’Isotteo)
[7] Mira colui con quella spada in mano,
che vien dinanzi ai tre sì come sire.
Quelli è Omero poeta sovrano;
l’altro è Orazio satiro che vène;
Ovidio è il terzo, e l’ultimo è Lucano
…
Così vidi adunar la bella scola
Di quel signor dell’altissimo canto
Che sovra li altri com’aquila vola (Dante, Inferno, IV, 87-90; 94-96)