giovedì 5 febbraio 2015

La storia di Didone X parte

Notturno
foto di m. roversi

La notte agitata
Nemmeno la notte che porta riposo a tutte le creature lenisce l'affanno[1] dell'abbandonata: "Nox erat et placidum carpebant fessa soporem[2]/corpora per terras silvaeque et saeva quierant/aequora, cum medio volvontur sidera lapsu,/cum tacet omnis ager, pecudes pictaeque volucres,/quaeque lacus late liquidos quaeque aspera dumis/rura tenent, somno positae sub nocte silenti/(lenibant curas et corda oblita laborum. [3])/At non infelix animi Phoenissa neque umquam/solvitur in somnos oculisve aut pectore noctem/accipit: ingeminant curae rursusque resurgens/saevit amor magnoque irarum fluctuat aestu " (vv. 522-532), Era notte e i corpi stanchi raccoglievano per le terre il placido sonno e le selve e le acque furiose erano tranquille, quando le stelle si volgono alla metà del loro giro, quando tace ogni campo, le bestie e gli uccelli variopinti, sia quelli che abitano per largo tratto i limpidi laghi, sia quelli delle campagne ispide di cespugli, posati nel sonno sotto la notte silenziosa (calmavano gli affanni e i cuori dimentichi delle fatiche). Ma la Fenicia infelice nell'animo non si libera mai nel sonno e non accoglie la notte negli occhi o nel petto: raddoppiano gli affanni, e l'amore, insorgendo di nuovo, infuria e fluttua in un grande ribollimento di ire.
Ecco dunque il contrasto tra la quiete della natura e l'agitazione della creatura che si sente in colpa. La tragedia in effetti nasce sempre da un cozzo tra l'uomo e l'universo ai cui ritmi invece ogni vivente deve adeguarsi. I modelli di questo notturno sono diversi. Il più antico e suggestivo è quello di Alcmane[4]: "Dormono le cime dei monti e i burroni/e le balze e anche le gole/e le specie degli animali quante ne nutre la nera terra/e le fiere montane e la stirpe delle api/e i mostri negli abissi del mare purpureo; /dormono le razze degli uccelli dalle ampie ali" (fr. 58 D.). Questo frammento probabilmente faceva parte di un partenio recitato durante una festa notturna, e, da poesia di occasione, è divenuto un topos con un seguito tanto lungo nella letteratura europea che non è il caso di fare l'elenco delle imitazioni. Si può notare che non mancano echi di formule omeriche, come del resto è di derivazione epica l'osservazione attenta del mondo della natura. Tale attenzione è conseguenza di un rapporto vivo con il mondo ed è rivolta alla quiete e all'armonia di un cosmo da cui l'uomo non è ancora escluso.
Il contrasto rilevato da Virgilio si trova già in Apollonio Rodio quando cala la notte che porta il desiderio del sonno a tutti, ma non a Medea tenuta sveglia dal desiderio di Giasone: "quindi la notte portava la tenebra sopra la terra; nel mare i marinai fissarono l'Orsa Maggiore e le stelle di Orione dalle navi, e qualche viandante e custode di porte desiderava il sonno, e un denso torpore avvolgeva una madre di bambini morti; né c'era più abbaiare di cani per la città, né chiasso sonoro: il silenzio possedeva la tenebra che diventava nera. Ma il dolce sonno non prese Medea: molti pensieri la tenevano sveglia poiché le mancava Giasone e temeva la possente forza dei tori" (Argonautiche, III, 744-753). Alla natura forte e sana del lirico arcaico è già succeduto un mondo che incornicia il dolore degli uomini. Quella madre di bimbi morti sembra anticipare vedove, orfani e simili creature sofferenti di Pascoli.
Nella Didone di Virgilio questo dolore indeterminato diviene odio per la vita causato dal senso di colpa. La Fenicia infatti si accusa da sola e incrimina anche la sorella che aveva caldeggiato lo sciagurato amore: "Quin morere, ut merita es, ferroque averte dolorem. /Tu lacrimis evicta meis, tu prima furentem/his, germana, malis oneras atque obicis hosti. / Non licuit thalami expertem sine crimine vitam/degere, more ferae, talis nec tangere curas/ Non servata fides cineri promissa Sychaeo " (vv. 547-552), Piuttosto muori, come ti sei meritata, e con il ferro scaccia l'affanno. Tu vinta dalle mie lacrime, tu per prima, sorella, carichi me, furibonda, di questi mali e mi getti al nemico. Non mi è stato possibile passare la vita senza nozze e colpa, come una bestia, e non toccare tali affanni: non è stata osservata la fedeltà promessa al cenere di Sicheo. -Quin: corregge l'ipotesi precedente di seguire Enea con i suoi Tirii. -morĕre: imperativo. -ut merita es: lo stipendium meritato con l'indulgenza verso l'istinto amoroso è la morte. -talis=tales. L'antitesi di questo triste e letale "tradimento" postumo si trova nella fabula milesia, della "Matrona di Efeso"[5], la vedovella che poche ore dopo la morte del marito si tolse le gramaglie, e tutto il resto, senza rimorsi né ubbìe, dando retta a un soldato che oltretutto dovette appendere il cadavere dello sposo amato al posto di quello di un ladrone sottratto a una croce e affidato alla sua sorveglianza.
Le bestie, rimugina Didone, non si sposano né si sentono in colpa per l'accoppiamento. "Il mos ferarum , il modo di vivere delle fiere, è richiamato non come un modo di vivere inferiore, indegno dell'uomo, ma come un modo di vivere innocente: le fiere si accoppiano liberamente, promiscuamente, ma, appunto perché non hanno legami matrimoniali stabili e non ne sentono l'esigenza, sono innocenti. E' ben probabile che Virgilio tenga presente la descrizione dell'umanità primitiva del V libro di Lucrezio (925 ss.) e in particolare 932 volgivago (errando da ogni parte) vitam tractabant more ferarum : ma si sa quanto sia ambiguo l'atteggiamento di Lucrezio verso questo stato ferino; ferino, sì, ma più puro di quello attuale e forse anche meno infelice (opportunamente il Page confrontava anche con Ovidio, Fast. II 291 vita feris similis , che si riferisce alla vita primitiva e felice degli Arcadi). Il fraintendimento consiste soprattutto nell'interpretare more ferae come condanna morale dello stato ferino. Tale fraintendimento si trova già in Quintiliano (IX 2, 64), che, in conseguenza, era portato a sentire nel passo una contraddizione spiegabile coi sentimenti di Didone: da un lato ella si lamenterebbe del matrimonio, ma dall'altro lascerebbe prorompere il proprio sentimento e riconoscerebbe che una vita senza nozze sarebbe una vita da bestie"[6]. Quintiliano cita il v. 550 e parte del 551 aggiungendo un punto interrogativo e considerandoli un esempio della figura dell'emphasis: "Non licuit thalami expertem sine crimine vitam/degere, more ferae?" L'enfasi viene spiegata in questo modo: "cum ex aliquo dicto latens aliquid eruitur. . . Quamquam enim de matrimonio queritur Dido, tamen huc erumpit eius adfectus, ut sine thalamis vitam non hominum putet, sed ferarum " (Institutio oratoria, IX, 2, 64), quando da qualche detto scaturisce qualcosa di nascosto. . . sebbene infatti Didone si lamenti del matrimonio, tuttavia la sua passione prorompe là dove ella ritiene che la vita senza nozze sia non da uomini ma da bestie.
Quale che sia l'interpretazione di Quintiliano, nel testo di Virgilio l'amore e la colpa sono strettamente congiunti e la presenza dell'uno significa quella dell'altra.
Ma forse si può dare un'interpretazione meno arzigogolata citando Pirandello: "Un angelo, per una donna, è sempre più irritante d'una bestia"[7]. Soprattutto se l'angelo è un promotore di destini imperiali come Mercurio che si è recato da Enea per farlo fuggire.
Ella dunque sarebbe colpevole, Enea invece innocente poiché obbedisce agli ordini degli dèi che vengono ribaditi da Mercurio. Il quale gli appare in sogno e gli dice pure che Didone è risoluta a morire ("certa mori ", v. 564), ma questo non ha importanza né per l'uomo né per il dio. Quella infatti rivolge nel petto inganni e una sinistra scelleratezza: "illa dolos dirumque nefas in pectore versat "(v. 563). L'allitterazione in dolos dirumque sottolinea entrambe le colpe della disgraziata. Qui si vede che mentre il sogno, ossia il desiderio camuffato, suggerisce l'inganno e il misfatto, trova anche il modo di discolpare il dormiente proiettando sulla regina tutto il male che egli stesso è già preparato a perpetrare contro di lei.
Bisogna solo evitare di essere danneggiati dalla femmina "varium et mutabile semper " (v. 569) cosa variabile e mutevole sempre. Un locus questo, anzi un vero e proprio luogo comune diffuso non solo in letteratura ma anche nella testa di noi maschi. Forse per il fatto che si trova in rebus ipsis. Faccio solo pochi esempi: Petrarca echeggia questa communis opinio nel Sonetto CXLVIII: "Femina è cosa mobil per natura; /ond'io so ben ch'un amoroso stato/in cor di donna picciol tempo dura" (Il Canzoniere, CLXXXIII).
Boccaccio Filostrato VIII 301 "Volubil sempre come foglia al vento"; Nell'Aminta di Torquato Tasso Tirsi dice al protagonista della favola pastorale[8]: "in breve spazio/s'adira e in breve spazio anco si placa/Femina, cosa mobil per natura" (I, 2). Lo stesso luogo comune troviamo nel Rigoletto di Verdi-Piave: "la donna è mobile/qual piuma al vento,/muta d'accento/e di pensiero. /Sempre un amabile/leggiadro viso,/in pianto o in riso,/è menzognero. /E' sempre misero/chi a lei s'affida,/chi le confida,/mal cauto il core!/Pur mai non sentesi/felice appieno/chi su quel seno,/non liba amore! (III, 2).
Dopo avere parlato, l'immagine onirica del dio Mercurio tornò nell'oscuro e ribollente crogiolo dell'inconscio, ovvero, con le parole di Virgilio: "sic fatus nocti se immiscuit atrae " (v. 570), dopo avere detto così, si mescolò alla notte oscura. Il sogno però non si era mascherato abbastanza bene, sicché Enea si svegliò terrorizzato: "Tum vero Aeneas subitis exterritus umbris/corripit e somno corpus sociosque fatigat " (vv. 571-572), allora sì che Enea, spaventato dall'apparizione improvvisa, strappa il corpo dal sonno e incalza i compagni. A questo punto è necessaria un'occhiata alla teoria freudiana di cui è possibile avvalersi per interpretare la visione onirica di Enea.

La follia metodica dei sogni
Alcuni versi riferiti si prestano all'interpretazione di Freud il quale sostiene che "ogni sogno si rivela come una formazione psichica densa di significato"[9] e che nella follia onirica, come in quella di Amleto, c'è un metodo. L'autore de L'interpretazione dei sogni riconosce il suo debito alla letteratura classica: "Non diversa era l'opinione degli antichi sulla dipendenza del contenuto onirico dalla vita" (p. 20). Quindi cita, grosso modo, un episodio di Erodoto, , e, in latino dei versi di Lucrezio: "Et quo quisque fere studio devinctus adhaeret,/aut quibus in rebus multum sumus ante morati/atque in ea ratione fuit contenta magis mens,/in somnis eadem plerumque videmur obire: /causidici causas agere et componere leges,/induperatores pugnare ac proelia obire,/nautae contractum cum ventis degere bellum,/nos agere hoc autem et naturam quaerere rerum/semper et inventam patriis exponere chartis [10]", De rerum natura , IV, 962-970, e generalmente la passione cui ciascuno è strettamente legato, o ciò su cui ci siamo molto intrattenuti prima, e in quel meditare si è più contenuta la mente, nei sogni di solito ci sembra di incontrare i medesimi pensieri: gli avvocati trattano cause e confrontano leggi, i generali combattono e affrontano battaglie, i marinai continuano la guerra ingaggiata coi venti, noi facciamo quest'opera, e indaghiamo la natura sempre, e, scopertala, la esponiamo in carte latine.
Intanto vediamo l'etimologia di somnium : la radice sopn- >somn- deriva dall'indoeuropeo *supn-che ha dato come esito in greco uJpn- da cui u{pno" .
Queste immagini oniriche di Enea dunque secondo Lucrezio corrispondono ai suoi pensieri e desideri diurni
Ma torniamo all'inventore della psicoanalisi che utilizza molto i classici.
Spesso il sogno è l'appagamento mascherato di un desiderio rimosso; in altre parole le idee latenti nel presentarsi si mascherano, quindi, per conoscerle, bisogna cavar loro la maschera. Allora dobbiamo tenere conto della condensazione per cui "ogni situazione porta la traccia di due o più reminiscenze della vita reale. . . non è neanche raro che il processo del sogno si diverta a formare un'immagine composta con due idee contrastanti; per esempio una giovane donna sogna di portare un ramo fiorito, quello dell'angelo nei quadri dell'Annunciazione (simbolo d'innocenza; questa giovane si chiama Maria). Soltanto, in questo caso, il ramoscello porta dei fiori bianchi e carnosi simili alle camelie. (Il contrario dell'innocenza: la signora dalle camelie)"[11].
La condensazione onirica tra l'altro può spiegare gli ibridi mostruosi della mitologia e della letteratura.
Poi, sempre per risalire alla parte latente, e vera, si deve considerare lo spostamento psichico o spostamento nel sogno: "tutto ciò che vi era di essenziale nelle idee latenti è rappresentato nel sogno da particolari secondari"[12]. Per giunta le idee latenti si manifestano travestite, attraverso immagini: "Tali idee non ci si presentano sotto la forma verbale più riassuntiva possibile, con la quale noi abbiamo l'abitudine di concretare i nostri pensieri, ma il più delle volte trovano un mezzo simbolico per esprimersi, il mezzo di cui si serve il poeta che nella sua opera fa uso di raffronti e di metafore" (p. 67). Il sogno infatti si rappresenta "con una serie di immagini visive" (p. 68) le quali sono alimentate dai ricordi che hanno lasciato maggiore impressione e "la cui origine risale addirittura alla prima infanzia". Le idee latenti, dicevamo, si camuffano perché la coscienza non le ammette, e i sogni, che si formano con lo stesso procedimento dei sintomi nevrotici e dei lapsus, "sono realizzazioni velate di desideri inibiti"(p. 102).
Subito dopo Freud suddivide i sogni "dal punto di vista di realizzazione di desideri… in tre categorie: in primo luogo sta il sogno che senza camuffamenti rappresenta un desiderio non inibito. E' questo il sogno di tipo infantile che diviene sempre meno frequente man mano che il fanciullo cresce. . . In secondo luogo abbiamo il sogno camuffato che rappresenta un desiderio inibito. La maggior parte dei nostri sogni è di questo tipo ed ecco perché non possono venir compresi senza l'analisi. . . Infine viene il sogno che esprime un desiderio inibito senza travestimento o con un travestimento molto ridotto. Quest'ultimo sogno è sempre accompagnato da una sensazione di angoscia che lo costringe all'interruzione" (p. 103).

continua



[1] Del resto nelle Metamorfosi di Ovidio la notte è "curarum maxima nutrix " (VIII, 82) la più potente nutrice di ansie amorose e infonde audacia erotica a Scilla innamorata di Minosse.
[2]" Il passo ha un parallelo famoso in Apollonio (III, 744 ss.), del quale possediamo anche una parte della traduzione di Varrone Atacino (fr. 124 Pascal: Desierant latrare canes, urbesque silebant: -omnia noctis erant placida composta quiete), che ha ispirato più di un bel verso a V. Ma V. ha intonato qui uno dei suoi più bei notturni, molto più largo, pacato e dolce dei suoi modelli, più tragicamente contrastante con la situazione di Didone, ricchissimo di quei suoni S, R, L, che creano veramente un'interpretazione musicale del silenzio". (R. Calzecchi Onesti, op. cit., p. 301.)
[3]I migliori editori espungono questo verso considerandolo un'interpolazione ricavata dal molto simile IX 225.
[4] Lirico corale, di lingua dorica, del VII secolo
[5] Satyricon,111-112.
[6]A. La Penna - C. Grassi, op. cit., p. 481.
[7] Ciascuno a suo modo, atto I.
[8] Del 1573.
[9]L'interpretazione dei sogni, p. 23.
[10] Gli ultimi tre versi non compaiono nella citazione freudiana.
[11]Freud, Il sogno e la sua interpretazione , pp. 45 e 53
[12]Freud, Il sogno e la sua interpretazione. , p. 59

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