lunedì 16 febbraio 2015

Una lezione sui classici

SapienzaPavimento Duomo di Siena, particolare


16 febbraio 2015

Il sapere non è sapienza (Euripide, Baccanti, v. 395). Questa si tuffa nel fiume della vita. Due uomini teoretici: Socrate e Faust. Dodds: cleverness is not wisdom. Il grande dittatore di Chaplin: “More than cleverness we need kindness and gentleness”. L’odiosa sapienza (ejcqra; sofiva) denunciata da Pindaro. La cultura è potenziamento della natura (Nietzsche). Eliot. Cicerone. Lo studio deve servire alla vita e all’attività . La vita stessa è fatta per la vita (Leopardi). Petronio. Marziale (hominem pagina nostra sapit). Il Galileo di Brecht: la scienza deve alleviare le fatiche dell’esistenza umana. Ancora Nietzsche e gli “uomini correnti” come la moneta. Thomas Mann: c’è un nesso tra la filologia e la bellezza e la dignità razionale dell’uomo. I saperi fumosi del didattichese, e i saperi umani di Teseo nell’ Edipo a Colono e di Antigone nelle tragedie di Sofocle. Terenzio, I fratelli Karamazov di Dostoevskij, Oblomov di Gonĉarov e L’ospite inquietante di Galimberti: Lucifero era il più intelligente degli angeli. Massimo Cacciari e la filologia non sedentaria, la filologia che contra-dica l’ora. Nietzsche e le due filologie: una, quella delle talpe, suscita scherno, l’altra, quella delle idee, provoca odio[1].
 Questo discorso metodologico, prossimo alla conclusione, può essere sintetizzato e autorizzato con una bella espressione dello stesso Euripide: "to; sofo; n d j ouj sofiva" (Baccanti , v. 395), il sapere non è sapienza. La sofiva è lo scopo di quella cultura che Nietzsche chiama tragica: "la sua principale caratteristica consiste nell'elevare a meta suprema, in luogo della scienza, la sapienza". La sapienza si tuffa nel fiume della vita. Il sapere al contrario è il fine dell'uomo teoretico il quale "non osa più affidarsi al terribile fiume dell'esistenza: angosciosamente egli corre su e giù lungo la riva”[2] . Uomini teoretici secondo Nietzsche sono Socrate e Faust, il primo convinto, il secondo scontento “: A un vero Greco come dovrebbe apparire incomprensibile Faust, l’uomo di cultura moderno in sé comprensibile, che si precipita insoddisfatto attraverso tutte le discipline, dedito alla magia e al diavolo per brama di sapere, che ci basta mettere a confronto con Socrate per vedere come l’uomo moderno cominci ad avere sentore dei limiti di quel piacere socratico per la conoscenza, e come dal vasto e deserto mare del sapere aneli a una costa!”[3] .
A Faust manca la Natura: “Dove afferrarti, infinita Natura? E voi mammelle, dove?” (Notte). Egli è l’uomo teoretico pentito e assetato di vita.
“Il punto di partenza non è più l’ignoranza, la selva oscura; ma la sazietà e vacuità della scienza, l’insufficienza della contemplazione, il bisogno della vita attiva. La sapiente Beatrice si trasforma nell’ignorante e ingenua Margherita; e Faust non contempla ma opera: anzi il suo male è stato appunto la contemplazione, lo studio della scienza, e il rimedio che cerca è ribattezzarsi nelle fresche onde della vita”[4].
Il diavolo appare in abito di scolaro vagante. Si presenta come “lo spirito che sempre nega”.

E. Dodds indica un nesso tra questa sentenza del primo stasimo delle Baccanti e la transvalutazione denunciata da Tucidide di cui abbiamo detto[5] : “ ‘cleverness is not wisdom’, ‘the world’s Wise are not wise’ (Murray). Here again the Chorus take up a thought expressed in the preceding scene: to; sofovn has the same implication as in 203[6]; it is the false wisdom of men like Pentheus, who fronw'n oujde; n fronei' (332, cf. 266 ff. , 311 ff. ), in contrast with the true wisdom of devout acceptance (179, 186)…for the paradoxical form cf. I A. 1139 oJ nou'~ o{d j aujto; ~ nou'n e[cwn ouj tugcavnei[7], Or. 819 to; kalo; n ouj kalovn[8]. Such paradoxes are the characteristic product of an age when traditional valuations are rapidly shifting in the way described in the famous passage of Thucydides on the transvaluatation of values, 3, 82”[9], ‘l’ingegnosità non è sapienza’, ‘la Maniera del mondo, non è saggia’ (Murray). Qui di nuovo il Coro assume un pensiero espresso nella scena precedente: il sapere ha la stessa implicazione che al v. 203; è la falsa sapienza di uomini come Penteo, il quale pur avendo la mente non ha la sapienza (332, cfr. 266 ss. [10] 311 ss. [11]), in contrasto con la vera saggezza della della pia accettazione (179, 186[12])…per il modulo paradossale cfr. Ifigenia in Aulide 1139 , Oreste 819. Tali paradossi sono il prodotto caratteristico di un’età in cui le valutazioni tradizionali stanno rapidamente cambiando nel modo descritto nel famoso passo di Tucidide sulla transvalutazione dei valori, 3, 82.
Un’ idea del genere si trova nel discorso finale del film di Chaplin The great dictator (1940): il barbiere, sosia di Hynkel-Hitler, scambiato per il grande dittatore deve parlare alla folla con parole che legittimino e anzi esaltino la prepotenza del tiranno, presentato come il futuro imperatore del mondo dal ministro della propaganda Garlitsch-Goebbels. Ebbene il piccolo grande uomo non rispetta la parte che gli hanno assegnato e dice di non volere comandare su nessuno, ma aiutare tutti. Poi continua così: “Our knowledge has made us cynical, our cleverness hard and unkind. We think to much and feel to little. More than machinery we need humanity. More than cleverness we need kindness and gentleness”, la nostra conoscenza ci ha resi cinici, la nostra intelligenza duri e scortesi. Noi pensiamo troppo e sentiamo troppo poco. Più che di macchinari abbiamo bisogno di umanità. Più che di intelligenza abbiamo bisogno di bontà gentilezza.

La sapienza non è di vedute basse e volgari: Pindaro nell’ Olimpica IX afferma che diffamare gli dei è odiosa sapienza (tov ge loidorh'sai qeouv"-ejcqra; sofiva, vv. 37-38), e che le montagne della sapienza, essendo scoscese (sofivai menv-aijpeinaiv, 107-108), comprendono la forza della natura e richiedono grandi energie per scalarle.
Vale la pena di riferire anche l'esegesi di T. Mann: "A questa tragica saggezza, che benedice la vita in tutta la sua falsità, durezza e crudeltà, Nietzsche ha dato il nome di Dioniso"[13]. La sapienza dei Greci insegna a vivere con coraggio, spinge il giovane a diventare quello che è. “I greci impararono a organizzare il caos, concentrandosi, secondo l’insegnamento delfico, su se stessi, vale a dire sui loro bisogni veri, e lasciando estinguere i bisogni apparenti”[14]. Questi oggi sono indotti dalla pubblicità.

Il ragazzo con il nostro aiuto può capire che la cultura deve essere "qualcos'altro che decorazione della vita, cioè in fondo unicamente dissimulazione e velame, poiché ogni ornamento nasconde la cosa ornata. Così gli si svelerà il concetto greco della cultura (…) il concetto della cultura come una nuova e migliore physis, senza interno ed esterno, senza dissimulazione e convenzione, della cultura come unanimità fra vivere, pensare, apparire e volere[15].
“Voglio, una volta per tutte, non sapere molto. - La saggezza pone dei limiti anche alla conoscenza”[16].
“Eliot affermava: “Qual è la conoscenza che noi perdiamo nell’informazione e qual è la sapienza (wisdom) che perdiamo nella conoscenza?. Si tratta, nell’educazione, di trasformare le informazioni in conoscenza, di trasformare la conoscenza in sapienza…”[17].
Si ricordi il già citato: “After such Knowledge, what forgiveness? ”[18], dopo una tale conoscenza, cos’è mai il perdono?
Già Cicerone nel De officiis[19] mette in rilievo il fatto che la conoscenza (cognitio) sarebbe manchevole in un certo modo e incompiuta (manca…atque inchoata) se non ne seguisse alcuna attività pratica: "si nulla actio rerum consequatur (I, 153).
Tale attività deve vedersi nella tutela dei vantaggi dell'uomo, e, siccome riguarda la società del genere umano, tale actio va anteposta alla conoscenza priva di azione : " haec cognitioni anteponenda est" I, 153.
Se alla conoscenza non fosse connessa la virtus, che contribuisce alla tutela degli uomini, tale cognitio risulterebbe solivaga et ieiuna (I, 157), isolata e arida. Quindi ogni officium che mira ad societatem tuendam, a difendere la società umana, deve essere anteposto ai compiti che si limitano alla conoscenza teorica (De officiis, I, 158).
Lo studio va fatto per la vita e per l’attività poiché la vita stessa è fatta per la vita e per l’attività: “La vita è fatta naturalmente per la vita, e non per la morte. Vale a dire è fatta per l’attività, e per tutto quello che v’ha di più vitale nelle funzioni dei viventi (5 Maggio 1822)”[20].

Anche il classicismo e il realismo di Petronio, attraverso lo scholasticus Encolpio, denunciano la separazione della scuola dalla vita: "et ideo ego adulescentulos existimo in scholis stultissimos fieri, quia nihil ex his, quae in usu habemus aut audiunt aut vident, " (Satyricon, 1, 3), e perciò io penso che i ragazzi nelle scuole diventino stupidissimi, poiché niente ascoltano o vedono di quello che è utile nella vita.
Petronio[21], epicureo, atticista e classicista, dichiara che la vita contiene situazioni più interessanti di tutte le scuole di retorica.
E' la critica della scissione tra letteratura e vita che si ritrova in Marziale: "Non hic Centauros, non Gorgonas Harpyasque/invenies: hominem pagina nostra sapit "(X, 4, 9-10), non qui troverai Centauri, Gorgoni e Arpie: la nostra pagina sa di uomo.
Insomma ogni conoscenza, compresa quella delle lingue classiche, deve servire al progresso dell'uomo.
Il Galileo di Brecht nell'ultima scena del dramma[22] afferma il dovere morale di rendere il sapere funzionale al bene dell'umanità: "Che scopo si prefigge il nostro lavoro? Non credo che la scienza possa proporsi altro scopo che quello di alleviare le fatiche dell'esistenza umana. Se gli uomini di scienza non reagiscono all'intimidazione dei potenti egoisti e si limitano ad accumulare sapere per sapere, la scienza può rimanere fiaccata per sempre, ed ogni nuova macchina non sarà fonte che di nuovi triboli per l'uomo".

L'egoismo degli affaristi invece vuole una scienza e una scuola che portino al profitto monetario. Secondo questa gente "l'educazione sarebbe definita come l'esatta cognizione per cui si diventa completamente attuali, nei bisogni e nella loro soddisfazione, per cui però, in pari tempo, si dispone, nel modo migliore, di tutti i mezzi e le vie per guadagnare il più facilmente possibile del denaro. Formare il maggior numero possibile di uomini correnti- a quel modo per cui si dice corrente di una moneta- questo dunque sarebbe il fine; e un popolo, secondo questa concezione, sarà tanto più felice quanti più uomini correnti del genere possederà…Qui si odia ogni educazione che renda isolati, che ponga dei fini al di là del denaro e del guadagno…Secondo la moralità che qui è valida, si apprezza…una istruzione rapida per diventare presto un essere che guadagna denaro e una istruzione approfondita quanto basta per diventare un essere che guadagna moltissimo denaro"[23].
Cfr. Le “femmine da conio” di Dante (Inferno XVIII, 63),
 La pubblicità, tanto quella dichiarata quanto quella occulta dei vari ruffiani conduttori di tante trasmissioni vuole fabbricare uomini correnti come la moneta e femmine da conio. Dunque: via ruffian!

Non deve esserci conflitto tra il sapere scientifico e la sapienza umanistica.
Gli insegnanti di lettere antiche devono essere maestri di umanità, e di quell’ umanesimo del quale non possono fare a meno gli scienziati.
 E' quello che Thomas Mann fa dire a Serenus Zeitblom nel Doctor Faustus: "non posso far a meno di contemplare il nesso intimo e quasi misterioso fra lo studio della filologia antica e un senso vivamente amoroso della bellezza e della dignità razionale dell'uomo (. . . ) dalla cattedra ho spiegato molte volte agli scolari del mio liceo come la civiltà consista veramente nell'inserire con devozione, con spirito ordinatore e, vorrei dire, con intento propiziatore, i mostri della notte nel culto degli dei"[24]. E’ il caos che si fa cosmo.
Il didattichese parla di quattro saperi fumosi. A questi contrappongo altro sapere. Quello che il vecchio Sofocle attribuisce a Teseo nell'Edipo a Colono : "e[xoid j ajnh; r w[n[25]"(v. 567), so di essere un uomo. E' la coscienza della propria umanità senza la quale ogni atto violento è possibile.
Il sapere di essere uomo che cosa comporta?
Significa incontrare una creatura mezza distrutta come è Edipo cieco, esule e mendico, provarne pietà, incoraggiarla ponendo domande, chiedendo di che cosa abbia bisogno: “kaiv s j oijktivsa"-qevlw jperevsqai[26], duvsmor j Oijdivpou, tivna-povlew" ejpevsth" prostroph; n ejmou' t j e[cwn, -aujtov" te chj sh; duvsmoro" parastavti"", (vv. 556-559), e sentendo compassione, voglio domandarti, infelice Edipo, con quale preghiera per la città e per me ti sei fermato qui, tu e l’infelice che ti aiuta. Quindi significa ascoltare, mettersi nei panni del supplice e comprendere con simpatia poiché siamo tutti effimeri, sottoposti al dolore e destinati alla morte.
" Fammi sapere-continua l’umano re di Atene- infatti dovresti raccontarmi misfatti atroci perché mi sottraessi; poiché so che anche io sono stato allevato da straniero, come te, e in terra straniera ho affrontato più di ogni altro uomo lotte rischiose per la mia vita, sicché non rifuggirei dal salvare nessuno straniero, come ora sei tu, in quanto so di essere uomo (e[xoid j ajnh; r w[n, v. 567) e so che del domani nessun attimo appartiene più a me che a te"(vv. 560-568). Queste parole potrebbero essere utili alla rieducazione dei razzisti nostrani.
E' una dichiarazione di quella filanqrwpiva che si diffonderà in età ellenistica e partorirà l'humanitas latina.
Una simile dichiarazione di umanesimo, quale interesse per l'uomo e di Terenzio: " : "Homo sum: humani nil a me alienum puto "[27]. disponibilità ad ascoltarlo, leggiamo nel più famoso verso
 Comprendere comporta un processo di identificazione, lo abbiamo detto anche riferendo l’umorismo di Pirandello e la terapia del rovesciamento di Bettini[28]. Ascoltare è parte essenziale di questo umanesimo, ascoltare e farsi ascoltare: "Se avrai davanti a te gente cattiva che non vorrà ascoltarti, prosternati davanti ad essa e chiedile perdono, poiché, in verità, anche tu sei colpevole se non vogliono ascoltarti. E se non puoi farti ascoltare dagli uomini ostili, taci e servili con umiltà, senza mai perdere la speranza"[29].
Anche Oblomov di Gonĉarov nega valore all'intelligenza che non comprende l'umanità: "Voi credete che il pensiero possa fare a meno del cuore. No, il pensiero è reso fecondo dall'amore. Tendete la mano all'uomo caduto per sollevarlo, o piangete lacrime amare su di lui, se egli è finito, ma non lo schernite. Amatelo, riconoscete voi stesso in lui e trattatelo nel modo in cui trattereste voi stessi"[30].
“Ma oggi chi si prende cura del cuore? Del cuore in senso forte, così come Pascal lo descrive quando parla di esprit de finesse da armonizzare con l’ esprit de géometrie [31], quindi con la nostra intelligenza che, senza cuore, non diventa solo lucida e fredda, ma origine prima del male, quel male assoluto che il Genesi descrive quando, nl tratteggiare la figura di Lucifero, ne parla come del “più intelligente degli angeli”[32][33].
Un altro sapere che raccomando, poiché fonda la coscienza di una identità non gregaria, è quello di Antigone nella tragedia di Sofocle. Quando Ismene le fa notare : "tu hai il cuore caldo per dei cadaveri gelati" (v. 88), ella risponde : " ajll j oi\d j ajrevskous j oi|" mavlisq j aJdei'n me crhv" (Antigone, v. 89), ma so di essere gradita a quelli cui soprattutto bisogna che io piaccia".
Sulla filologia non fasulla, non sedentaria, non priva di amore, sentiamo una riflessione di Massimo Cacciari: "Sia chiaro: sedentaria filologia…non è filologia. Filologia è amore per il logos, per l'inesauribile energia della parola vivente, dei ritmi che assume, delle voci che la incarnano. Una ricerca interminabile del logos, così come la filo-sofia lo è della sapienza. Filologia e filosofia sono assolutamente inseparabili - ed è per questo che vanno insieme nella condanna che l'ora ha pronunciato nei loro confronti…Filologia è rigorosa disciplina. Perché un testo ci parli, anzi: contra-dica l'ora, occorre saperlo intendere oltre la sua lettera, ma dopo averla per intero attraversata!… L'insegnamento dei classici dovrebbe indurci a un 'salutare macro-terrore per la lingua' (Nietzsche) "[34].
Nietzsche prende in considerazione due tipi di filologie e due tipi di avversari della filologia: “Ovunque si incontrano schernitori sempre pronti a dare una stoccata alle “talpe” filologiche[35], a quella genia che inghiotte polvere ex professo, e che, se anche una zolla è stata scalzata già dieci volte, la scalza e la smuove per l’undicesima. Ma per questo tipo di avversari la filologia è un passatempo certo inutile ma innocuo e non dannoso, un oggetto di scherzo e non di odio. Un odio rabbioso e sfrenato contro la filologia alberga invece ovunque l’ideale viene temuto in quanto tale, ovunque l’uomo moderno si inginocchia in felice adorazione di sé e la grecità viene considerata come superata e perciò del tutto indifferente. Di fronte a questi nemici, noi filologi dobbiamo sempre contare sul sostegno degli artisti e delle nature artistiche, perché solo loro possono capire che sul capo di chiunque perda di vista l’indicibile semplicità e la nobile dignità dei Greci pende la spada della barbarie, e che nessun progresso della tecnica e dell’industria, per splendido che sia, nessun regolamento scolastico, per aggiornato che sia, nessuna formazione politica della massa, per diffusa che sia, possono proteggerci dalla maledizione di un cattivo gusto ridicolo e scitico e dall’annientamento per opera della bella e terribile testa di Gorgone del classico ”[36].

giovanni ghiselli

p. s.
questo capitolo della mia metodologia è parte del percorso che esporrò il 24 febbraio dalle 15 alle 17 nel liceo Leonardo da Vinci di Casalecchio. L’ingresso è aperto ai cittadini




[1] Cfr. 46 e 49.
[2] La nascita della tragedia , p. 122 e p. 123.
[3] La nascita della tragedia , p. 120.
[4]F. De Sanctis Storia della letteratura italiana, 1, p. 155.
[5] Cap. 17.
[6] Le tradizione ricevute dai padri, quelle che possediamo/coeve con il tempo, nessun ragionamento le abbatterà, /neppure se per opera di menti appuntite viene trovato il sapere (oujd j eij di j a[krwn to; sofo; n hu{rhtai frenw'n) (Baccanti, vv. 201-203), parla Tiresia (ndr)
[7] Questa astuzia, sebbene costui abbia astuzia, non funziona. Clitennestra parla ad Agamennone che fa il finto tonto Ndr.
[8] E’ secondo stasimo. il Coro di fanciulle argive che deplora l’assassinio di Clitennestra, un atto ambiguo . può apparire bello ma non lo è. Ndr.
[9] E. R. Dodds, Euripides Bacchae, p. 121
[10] Quando un uomo saggio abbia preso buoni spunti/per le sue parole, non è grande impresa il parlare bene; /tu hai sì una lingua sciolta, come se avessi senno, /ma nei tuoi discorsi non c'è senno (Baccanti, 266-269). Ndr
[11] Via Penteo, da' retta a me. /non presumere che il potere abbia potenza sugli uomini, /e non credere, se tu hai un'opinione, ed è un'opinione malata, /di avere una qualche sapienza; invece accogli il dio nella nostra terra/e fai libagioni e baccheggia e incoronati la testa. (Baccanti, 309-313) Ndr.
[12] O Carissimo, poiché ho inteso udendo la tua voce/saggia da un uomo saggio, stando nella reggia/eccomi pronto con questo costume del dio; /bisogna infatti che quello essendo figlio della figlia mia/(Dioniso che si rivelò dio agli uomini)/per quanto ci è possibile sia esaltato come grande. /Dove bisogna danzare, dove fermare il piede, /e scuotere la testa canuta? Fai da guida tu vecchio/a me vecchio, Tiresia. tu infatti sei saggio. /Poiché non potrei stancarmi né di notte né di giorno/di battere la terra con il tirso. ci siamo dimenticati volentieri/di essere vecchi (Baccanti, 178-190). E’ Tiresia che parla a Cadmo. Ndr.
[13] T. Mann, La filosofia di Nietzsche (del 1948), in Nobiltà dello Spirito, p. 814.
[14] Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia per la vita, in Considerazioni inattuali, II, p. 160
[15]Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia per la vita in Considerazioni inattuali, II, p. 160.
[16] Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, p. 5.
[17] Morin, La testa ben fatta, p. 45.
[18] T. S. Eliot, Gerontion, v. 34.
[19] 44 a. C.
[20] Leopardi, Zibaldone, 2415.
[21] Penso che l'autore del Satyricon sia l' elegantiae arbiter della corte di Nerone (cfr. Tacito, Annales, XVI, 18). .
[22] Vita di Galileo, del 1957. Cito dalla traduzione di Emilio Castellani.
[23] F. Nietzsche, Considerazioni inattuali III, Schopenhauer come educatore, p. 211.
[24]T. Mann, Doctor Faustus , pp. 12 e 14.
[25] Questa espressione può essere un ottimo punto di partenza per spiegare il participio predicativo, e poi “condirlo” , come si diceva (capp. 18 e 19) , con la letteratura.
[26] Aferesi da ejperevsqai, infinito aoristo da ejpeivromai, “domando”
[27]Heautontimorumenos , 77.
[28] Cfr. 21. 1.
[29] F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov , p. 403.
[30] Ivan Gonĉarov, Oblomov (del 1859), p. 53.
[31] B. Pascal, Pensées (1657-1662, prima edizione 1670); tr. It. Pensieri, Rusconi, Milano 1991, &21.
[32] Genesi, 3, 1.
[33] U. Galimberti, L’ospite inquietante, p. 50.
[34] In Di fronte ai classici, p. 25.
[35] Per i filologi come talpe cfr. la lettera di Nietzsche a Erwin Rohde, del 20 novembre 1868. “Quella brulicante genia di filologi dei giorni nostri, quell’affaccendarsi da talpe, con le cavità mascellari rigonfie e lo sguardo cieco, contente di essersi accaparrate un verme, e indifferente verso i veri, urgenti problemi della vita”.
[36] Omero e la filologia classica, p. 221. 

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