NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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venerdì 16 novembre 2012

Lettera di De Gasperi a sua moglie - di Giovanni Ghiselli







Voglio commentare la lettera che Alcide De Gasperi scrisse
alla moglie Francesca il 6 agosto 1927 dalla clinica Ciancarelli di Roma.


E’ un’epistola che contiene, oltre  ricordi personali con
squarci lirici,  il riassunto e il  programma di una vita politica che non può
essere disgiunta da quella morale e intellettuale.

In queste poche pagine ho
potuto incontrare da vicino, il politico onesto, l’uomo colto, la persona per
bene  di cui avevo perduto da tempo l’esperienza diretta ascoltando, con
disgusto crescente, i trafficoni e traffichini contemporanei.


Parto dalla cultura di De Gasperi. La sua lettera contiene
citazioni in italiano, e in latino, dalla Divina Commedia, dall’Antico e dal
Nuovo Testamento.


L’uomo politico non può ignorare la tradizione del popolo
che intende guidare, non può non avere una visione d’insieme delle vicende
storiche avvenute nei secoli, una conoscenza almeno scolastica[1]
dell’arte e del pensiero elaborati, nel tempo, dagli spiriti più elevati della
sua madre terra. Chi ha la pretesa di guidare un popolo e non ha sentito la
necessità di conoscere tali spiriti, o se li ha letti ma non li ricorda e non li
menziona, significa che non appartiene alla loro famiglia, che non è in sintonia
con loro, che non è uno spirito elevato, ma è  interessato soltanto al potere e
al profitto personale.


 Il demagogo becero, la demagoga arrogante, l’ignorantone
astuto, prima o poi vengono sorpresi con le mani nel sacco, a rubare.


Aristofane nelle sue commedie mette alla berlina tali
personaggi, come Paflagone che nei Cavalieri

[2]
, rappresenta  l’arcidemagogo
Cleone  il quale inganna Demo, il popolo, un vecchietto scorbutico e sordastro[3],
 che però alla fine lo smaschera quale ladro e mentitore.


Il prototipo dell’arruffone viene apostrofato dal coro come
lo strillone  che rimescola il fango (v.
307)
, intriga e sconvolge l’intera  città degli Ateniesi (vv. 310-311).


Aristotele descrive Cleone, il personaggio storico che
dominò la vita politica ateniese dalla morte di Pericle (429) al 422, come
“colui che per primo si mise a urlare dalla tribuna e a vomitare insulti”[4].


Tucidide lo descrive come
 “il più violento dei cittadini  e quello più capace di persuadere  la
massa”[5].



Nella commedia di Aristofane, Paflagone-Cleone, una volta
scoperto nella sua volgarità rapace e violenta, verrà assegnato al ruolo che si
confà alla sua natura: schiamazzare in ignobile gara con prostitute e bagnini[6]
.


Non vengono in mente certi linguacciuti ciarlieri ubiqui in
tutte le televisione dove vengono chiamati  per chiacchierare,  urlare, e
confondere le menti?


Altri vanno a schiamazzare nelle piazze, nelle vie e sulle
spiagge, ma lo scopo è sempre quello di creare confusione.


Nelle Anime morte
di Nikolaj Gogol’ , un farabutto suggerisce di confondere le idee per
rendere impossibile il compito di fare giustizia: “Confondere, confondere: e
nient’altro…introdurre nel caso nuovi elementi estranei, che coinvolgano altri,
complicare e nient’altro. E che si raccapezzi pure il funzionario pietroburghese
incaricato. Che si raccapezzi…Mi creda, appena la situazione diventa critica, la
prima cosa è confondere. Si può confondere, aggrovigliare tutto così bene che
nessuno ci capirà nulla”
[7].





De Gasperi si scusa con la moglie e le figlie per il tanto
tempo che ha dedicato alla politica togliendone molto alla famiglia,  ma
contestualmente non rinnega la fedeltà alla propria natura, di persona che
impiega  gran parte della propria vita per la polis, e si dedica al  bene
comune.


 Insomma la politica come missione e come parte
dell’identità: una volta diventato quello che sei, quello che la tua natura, il
tuo carattere ti spingono a essere, non devi arretrare,  non puoi  uscire
dall’orbita del tuo destino, per usare le parole dello Statista trentino.


Gli
uomini veri, scrive Hesse, sono come le stelle fisse“La
maggior parte degli uomini sono come una foglia secca, che si libra e si rigira
nell'aria e scende ondeggiando al suolo. Ma altri, pochi, sono come stelle
fisse, che vanno per un loro corso preciso, e non c'è vento che li tocchi, hanno
in se stessi la loro legge e il loro cammino”
[8]


De Gasperi denuncia la violenza che minaccia il seme del
progresso.


In quegli anni si affermava e consolidava la dittatura
fascista “con tristo annunzio di futuro danno”[9].


 Infatti: la violenza genera il tiranno canta il coro dell’Edipo
re di Sofocle[10].
Ora la violenza è nell’aria e spesso rimane impunita: faccio l’esempio che, come
ciclista esposto a ogni sopruso perpetrato da automobilisti e motociclisti, mi
riguarda da vicino: ragazze fiorenti, e pure donne e bambini, vecchi che girano
in bicicletta senza fare male a nessuno, e magari, se ci sono ancora, pure gli
spazzacamini, vengono ammazzati a centinaia ogni anno da assassini ubriachi o
drogati che restano impuniti, o quasi, in ossequio al diritto del più forte di
opprimere il più debole, fino a ucciderlo, senza che tale enorme iniquità riceva
smentite da chi dovrebbe occuparsi del bene comune. Ma le automobili devono
essere vendute, e a chi  le compra  va concessa licenza di uccidere secondo la
logica criminale del mercato oramai senza Stato che lo regoli.


La violenza però non è forza, scrive il nostro Statista,
poiché la forza è giustizia, verità, libertà, dolcezza, pace.


In queste parole si sente il logos, la ragione e la
passione dell’uomo, quel pathos, che Hegel considera elemento della ragione.


Pericle morì dicendo che il trofeo del quale era più fiero,
il suo merito più alto era che nessuno degli Ateniesi aveva dovuto portare il
lutto per causa sua[11].
Invero quest’uomo politico, uno dei più celebri e celebrati di sempre, volle e
iniziò la guerra del Peloponneso che causò rovine e lutti ai suoi nemici e pure
ai suoi concittadini, ma la frase è bella lo stesso, e probabilmente il figlio
di Agariste che poco prima di partorirlo  aveva sognato di dare alla luce un
leone[12],
in punto di morte capì che la guerra omicida è male, che mandare la gente a
morire è male[13],
che il compito dell’uomo politico è salvare le vite, non annientarle. La sua
eloquenza era comunque lontana da qualsiasi ciarlataneria banale e volgare[14].
Inoltre era superiore al denaro[15],
nel senso che non si impossessò mai di quello pubblico, ma lo impiegò per i
monumenti dell’Acropoli, per bellezza subito antichi, e ancora oggi ammirati per
la nobile semplicità e la luminosa armonia.  Lo stile aristocratico, la
dimensione estetica non gli mancavano.





Questa del resto  non dovrebbe mai essere separata da
quella etica che ravviso in diversi punti della lettera in  questione. La somma
dell’etica è “lavorare per l’elevazione degli umili”. Questa è “la sorgente
della mia vita morale” scrive nobilmente De Gasperi.


Aggiungo Musil e Montaigne


" Sostengo che non vi è profonda felicità senza
morale profonda"[16].


"Ogni altra scienza è dannosa a colui che non ha la
scienza della bontà"[17];


Ora pare che tale principio sia stato ribaltato in quello
anti-morale e antiestetico di  adoperarsi per la sempre maggiore umiliazione
degli umili.





Chi è povero, e il numero degli indigenti aumenta di mese
in mese, presto non potrà più permettersi non solo alcuno svago, ma addirittura
l’istruzione e la salute. E’ una vergogna che la spudoratezza degli avidi
cianciatori invitati in televisione non sente e non denuncia.


“Vi sono gli uomini di preda, gli uomini del
piacere,
gli uomini di buona fede”, scrive il marito prima dei saluti alle
moglie Francesca e alle figlie. Gli uomini di preda sono gli spietati che non
concepiscono, nemmeno immaginano, l’arricchimento spirituale conseguito
attraverso il dare e il donare.


 Gli uomini del piacere sono gli edonisti rozzi che si
affaticano involti nel diletto della carne[18].


Gli uomini di buona fede, non solo quella cristiana, sono
coloro che hanno dei principi, credono nella difesa della propria identità e
della vita, e possiedono un metodo. Questo   è, etimologicamente, cioè in senso
proprio, una via (hodós) sulla quale procedere senza lasciarsi sbigottire
da ostacoli e difficoltà. Quando le vie  appaiono troppo impervie, erte e
 insuperabili, gli uomini di buona fede ricorrono per aiuto ai loro maestri
spirituali.


Riporto alcune parole di questo nostro maestro che cita i
suoi maestri: “ Non potrei mai narrarti un episodio del carcere. Un giorno, con
uno spillo di sicurezza ch’era sfuggito per miracolo alle infinite perquisizioni
cor­porali, avevo inciso sulla bianca parete della cella in lettere maiuscole
così: «BEATI QUI LUGENT QUONIAM IPSI CONSOLA­BUNTUR». (Beati quelli che
piangono perché saranno conso­lati)
. E in un altro cantuccio avevo
incominciato ad incidere l’altra beatitudine: «Beati quelli che hanno sete della
giusti­zia...».





Concludo citando alcuni versi di tre antichi  profeti della
Giustizia: Esiodo, Solone, Eschilo. Sono tra quegli exemplaria Graeca ,
modelli greci, che Orazio suggerisce di consultare giorno e notte[19]





Esiodo[20]
nel suo poema agricolo afferma “giustizia, quando si giunge alla fine, supera la
prepotenza , e soffrendo anche lo stolto impara (Opere e giorni, vv.
217-218).


Purtroppo non va sempre così. Nel senso che
quelli davvero  stolti non imparano niente nemmeno dal dolore.





E più avanti:


Prepara mali a se stesso l'uomo che li prepara per un
altro


e il cattivo progetto è pessimo per chi l'ha progettato
( Opere e Giorni, vv.265-266).





Per quanto concerne il diritto del più forte, ossia
quello affermato dallo sparviero che uccide e mangia l’usignolo:


“Questa legge per gli uomini ha disposto il Cronide,


per i pesci e le fiere e gli uccelli alati


di mangiarsi a vicenda, poiché non c'è giustizia tra
loro;


agli uomini invece ha dato giustizia che è la migliore"(Opere
e giorni
, 276-279).





Per quanto riguarda le difficoltà poste sulla via del
valore e della virtù


“Davanti alla virtù hanno messo il sudore gli dèi


immortali: lungo e ripido è il sentiero verso il valore:


e scabroso all'inizio; ma quando uno sia giunto alla
vetta,


allora diviene facile, pur rimanendo duro” (Opere
e giorni
, vv.289-292).





Altrettanto devoto della
Giustizia, è Solone, poeta e uomo politico ateniese nominato arconte
nell’anno 594 a. C., con  funzioni di legislatore  e pacificatore delle fazioni
in lotta:


"Splendide figlie della
Memoria e di Zeus Olimpio,


Muse Pieridi, ascoltate la
mia preghiera:


concedetemi il benessere da
parte degli dei beati, e di avere una buona,


 reputazione da parte di
tutti gli uomini sempre;


e di essere in tal modo
dolce per gli amici e amaro per i nemici


rispettato dagli uni,
temibile a vedersi per gli altri.


Ricchezze desidero averne,
ma possederle ingiustamente


non voglio: in ogni caso più
tardi è solita arrivare Giustizia[21].





Concludo questa rassegna
con
Eschilo,
un altro
uno dei profeti della Giustizia.


"Non c'è difesa- di ricchezza contro Sazietà,
per l'uomo- che con arroganza ha preso a calci il grande altare- di Giustizia,
con il proposito di annientarla" (Agamennone[22],
primo stasimo, vv. 381-384).


Poco più avanti questi versi
rendono visibile, quasi con un senso di compassione, l’insensatezza infantile e
crudele di chi danneggia la vita che lo punirà[23]:
Ogni rimedio è vano. Non rimane nascosto,/ma
risalta, luce di sinistro bagliore, il danno;/e, come bronzo cattivo/per
sfregamento e colpi,/diventa nero, se sottoposto a giustizia, poiché/insegue,
come un fanciullo, un uccello che vola"(Agamennone, vv 388-394).








Nell ultimo dramma
dell’
Orestea,
  le Erinni, sulla via di diventare Eumenidi, ossia Benevole, prescrivono 
"Rispetta l'altare di Giustizia,- e non disprezzarlo calciandolo con piede ateo-
in vista del guadagno: infatti poi segue il castigo"(

Eumenidi,
vv.539-541).






Leggete i classici onorevoli parlamentari, consiglieri e
assessori vari, urlatori da piazze e da spiagge, leggeteli e rileggeteli, per
favore. Da Omero a De Gasperi, passando per  altri diversi auctores,
ossia accrescitori.


Nocturna versate manu, versate diurna. Usate le mani
per girare le pagine dei libri dopo averle lette e imparate, usatele per
istruirvi e moralizzarvi, non per rubare





  


Giovanni ghiselli

g.ghiselli@tin.it
  











[1]

Una volta a scuola si leggevano i classici: alle medie Omero in
traduzione, al ginnasio Virgilio in latino, al liceo Solone, Platone,
Sofocle, Euripide in greco. Parlo di quella scuola, non di questa di
oggi.





[2]

La più politica delle sue commedie rappresentata nel 424 a. C.





[3]

Cavalieri, v. 40.





[4]

Costituzione degli Ateniesi, 28, 3





[5]

Storie III, 36, 3





[6]

I cavalieri, v. 1400.





[7]

Nikolaj Gogol ‘, Anime morte (del 1842) ,trad. it.
Garzanti, Milano,  1990,  p.375.





[8]

H. Hesse, Siddharta,
trad. it. Adelphi, Milano, 1981,
p. 98.





[9]

Dante, Inferno XIII, 12





[10]

Secondo stasimo, v. 873.





[11]

Plutarco, Vita di Pericle, 38





[12]

Erodoto, VI, 131.





[13]

Temo che i nostri politici guerrafondai non lo capiranno neanche
in punto di morte. Certamente non l’hanno capito in occasione delle
morti atroci di tanti ragazzi mandati in giro a uccidere ed essere
uccisi. 





[14]

Plutarco, Vita di Pericle, 5.





[15]

Plutarco, nella Vita di Pericle (15),  scrive che questo
Stratego ateniese rese la sua città da grande grandissima, eppure non
accrebbe di una sola dracma il patrimonio che il padre gli aveva
lasciato.





[16]
R.
Musil, L'uomo senza qualità ,  trad.
it. Einaudi, Torino, 1972
., p. 846.





[17]
Montaigne, 
Saggi , trad. it. Adelphi,
Milano, 1996,
p. 185 e p. 199.





[18]

Cfr.Dante Paradiso, XI, 8-9





[19]

Vos exemplaria Greca-nocturna versate manu, versate diurna.
Ars poetica
268-269.





[20]

Seconda metà dell’VIII sec. A. C..





[21]

Elegia Alle Muse, 1-8.





[22]

Prima tragedia della trilogia Orestea, rappresentata nel
458 . C.






[23]

"In qualche modo verrete sconfitti. Qualche cosa vi sconfiggerà.
La vita vi sconfiggerà" (G. Orwell, 1984, p. 282) dice Winston,
il protagonista del romanzo al suo torturatore.






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